E’ la gemma - la cuvée de prestige - della casa,
ideata dal fondatore nel 1952 per onorare i Conti di Champagne. Solo
Chardonnay, solo da uve Grand Cru della Costa dei Bianchi, solo la prima
spremitura - la cuvée – che passa
dieci anni sui lieviti - la mia ha 5 anni di sboccatura - con rémuage e dégorgement rigorosamente
manuali.
Oro incantevole, dal perlage finissimo e assiduo, per un naso intenso, composito e
seducente una cifra.
Per una buona mezz’ora tantissima pasticceria
- crema e brioche appena sfornata – e
mineralità crayeuse, che ti imbullona
il naso al calice. Poi è il turno della frutta matura, bianca e gialla – pera,
pesca e agrumi - con incursioni anche in territorio esotico.
Il mutamento del quadro olfattivo, davvero
senza tregua, riserva presenza marcata anche di legni pregiati, frutta secca
(mandorla) e tocchi floreali.
La bocca è un po’ diversa, meno sfaccettata e
loquace, con l’annata calda che si avverte già al primo assaggio, e progredirà
a passo spedito, non agevolata da un’acidità, sì presente, ma che ha
evidenziato qualche rallentamento.
Palato diverso dal quadro olfattivo ti
dicevo, ma la materia si sente eccome, grazie all’assaggio che si sviluppa con
splendide e solide note di cedro e precisi lineamenti gessosi e speziati –
zenzero e pepe a nastro – ancorchè l’emergere di una nota legnosa - non di
pacchiana falegnameria – e non totalmente assorbita, un qualcosa di meno
nobile, rispetto al naso, un qualcosa che andava oltre la vaniglia, mi ha un
filo sorpreso.
Bocca che si mantiene morbida, più larga che
profonda, con finale dolce, dominato dalla fortissima presenza dello zenzero
legato a filo doppio con la gessosità, inconfondibile, di quelle zone.
E’ mancato lo scatto, che avrebbe proiettato
in orbita il flacone.
E’ il ’99, baby. Se ne disponi, il faut
profiter, prima che imbocchi la discesa.
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