lunedì 29 ottobre 2018

Rapita dal Pirata: pizza e cucina di mare 2.0 sulla spiaggia di Laigueglia

 
- Silvia Vecchione -
-lifeonthetopfloor-


Sono stata rapita dai pirati sulla spiaggia di Laigueglia. Forse perché l’intento di fare una passeggiata serale ai primi di ottobre si scontrava con la cruda realtà: è buio, la sera, ai primi di ottobre. Me lo ricorda sempre chi vive da queste parti, ma io ogni volta preferisco illudermi che al mare le cose vadano decisamente meglio, sempre, e che ci voglia parecchio tempo per far tramontare l’estate.


Salvo qualche raro momento di autoctono imbruttimento, quando mi concedo di sentirmi in vacanza lascio da parte lo smartphone e assumo un’aria piuttosto svagata. La milanese che cammina per la spiaggia di Laigueglia con aria svagata è facile preda all’occhio esperto dei pirati. Figuriamoci se è ottobre e se c’è la luna piena. La luce si riflette sulla maglia rossa creando un effetto semaforo che, invece di dire stop, dichiara: “ehi, sono qui dopo un lungo viaggio in autostrada…e ho anche fame!”. Così, arrivano i pirati. Anzi, arriva lui, Il Pirata. Luca, Il Pirata.


Mi hanno sempre detto di non accettare caramelle dagli sconosciuti…ma sulla pizza qualcuno ha mai detto qualcosa? Il Pirata di Laigueglia solletica l’appetito degli affamati sfornando pizze profumatissime. Poi, ammicca alla Johnny Depp, e non ha bisogno di lunghe storie e saghe cinematografiche per convincerti ad accomodarti al tavolo.



A quel punto, tu sei immobile e lui sfodera lo scrigno del tesoro: pesce e crostacei di prima qualità e freschezza assoluta. “Grazie per il rapimento, non è che su questo galeone adesso ci posso anche restare?” Il Pirata sorride e risponde “c’è posto per te” stappando per l’occasione una bottiglia di Hommage à William Deutz: brindisi in purezza 100% Pinot Noir. 


Arriva a tavola il cestino di pane, grissini e taralli, cui è difficilissimo resistere: tutto fatto in casa, complice il forno a legna, responsabile anche di sfornare le famose pizze che dal 1987 conquistano la riviera.


Da innocente vacanziera rapita divento regina della flotta, ospite d’onore: “Ti piace il pesce crudo? Ci pensiamo noi”. Arriva in tavola una deliziosa tartare di ricciola spolverata in diretta con tartufo bianco: il taglio è rustico, ma la materia prima è impeccabile e la preparazione le rende onore. A seguire, il tataki di palamita con maionese di salsa di soia e infusione di finocchio: pirati coraggiosi, che si spingono fino all’oriente con un piatto dai toni esotici e gusto equilibrato, che esalta la freschezza della palamita grazie a una punta di sapidità ben dosata in cremosità.




Poi, arriva in tavola il piatto della serata, il tagliolino 40 tuorli con calamaretti, burro e tartufo bianco: tutta questa eleganza, morbidezza, setosa consistenza in una pizzeria? Che gli scettici si lascino rapire. Ottimo accompagnato allo Chablis Vaudésir Grand Cru Olivier Leflaive, che ne esalta delicatamente la sapidità marina senza annegarne la dolcezza.


Poi, ecco la nuova creazione di Luca, la Zuppa 2.0, che nasce dai ricordi di casa per svilupparli in chiave contemporanea: una diagonale in evoluzione che rivisita la classica zuppa di pesce sorprendendo a ogni assaggio.

La triglia tartufata
Una bella festa direi, felice di essere stata rapita per la serata giusta. Anzi, visto il pienone sul galeone, qualcosa mi fa pensare che qui sia sempre la serata giusta…un motivo – o una scusa – per tornare, magari ad assaggiare la pizza che, con il suo profumo tentatore, galeotta fu sulla spiaggia di Laigueglia.

S.V.



mercoledì 24 ottobre 2018

DINA NEWS


- Michela Brivio- 

“La mancanza è molto più di un semplice ricordo”.
Era passato tanto e troppo tempo dall’ultimo ingresso in casa Dina/Gipponi. Cosa sarà successo in questo laboratorio creativo del gusto, e non solo, in questi mesi?
Ovviamente social, scritti, scatti e il primo riconoscimento come novità dell’anno dall’Espresso mi tengono aggiornata, mantenendo vivo il ricordo, ma è la mancanza il richiamo fortissimo a quel campanello e a tutto quello che ne consegue, consapevole che sarà sempre una nuova prima volta.
Leggere lo stupore degli amici a cui voglio regalare un’esperienza è unico e sentirsi Alice altrettanto.
Niente caduta come nella fiaba ma è la decompressione che permettere il passaggio dal mondo reale a quello gipponiano.
Ma ora passiamo alle news se no rischio di perdere il filo del post di oggi.
1. Maître

Nino Campo, nuova figura in sala, che ci accoglie già alla porta di casa.
Ventisettenne, giovane come tutti i membri di famiglia e con Dina già nel cuore: si percepisce il coinvolgimento emotivo e professionale e tutto il resto viene e verrà da sé.
E’ attento, elegante, professionale, anche nel capire e percepire l’ospite, e gli auguro di godersi il suo lavoro e quello che gli sta capitando lì.

2. Menù


Stay foolish, not hungry il percorso di degustazione che scegliamo. 7 portate. Fiducia. “Nessun dettaglio per aprire il cuore”. Sempre. Riassaggio con piacere alcuni tra i miei preferiti. Un attimo di pausa per pensarci. Lo sono tutti. Ecco un piccolo riepilogo.


Brodo di casa
Brodo di verdure torbido, volutamente non chiarificato. “Accogliente nella sua imperfezione, ma spero buono”.



Casoncello crudo ma cotto
Casoncello di carne apparentemente crudo.


Casomai venisse a pranzo Davide Oldani
Crema di cipolla acida, all'interno una spuma di grana padano 43 mesi, e sopra una quenelle di gelato di cipolla rossa di tropea


Tutto ci passa attraverso e ci cambia
Crema di cozze con crema di pomodoro confit piccante, erbe aromatiche, aria di limone, pane croccante e tartare di fungo




Vi rode il fegato
Piatto dedicato a uno dei 7 vizi capitali, l’invidia: fegato di Fassona appena scottato e servito con salsa bordolese, cipolle fritte, noci tostate e riduzione di mela alla curcuma



L’agnello nella bocca del lupo
Agnello sfilacciato e stracotto, servito in un cartoccio di pane carasau, maionese alla curcuma, cumino, coriandolo, zenzero, crema yogurt e menta, cetrioli acidi, germogli di abete e genziana. “Sporcatevi le mani”.

E ora le news, con tanta invidia degli amici. Povero il loro fegato. Condivido il piacere. Mi conoscete e non potrei goderne da sola.


Uno, nessuno, centomila

“Io sono vivo  e non concludo. La vita non conclude. E non sa di nomi, la vita. Quest'albero, respiro tremulo di foglie nuove. Sono quest'albero. Albero, nuvola, domani libro o vento: il libro che leggo, il vento che bevo. Tutto fuori, vagabondo.
(…) E l’aria è nuova. E tutto, attimo per attimo, è com’è, che s’avviva per apparire. Volto subito gli occhi per non vedere più nulla fermarsi nella sua apparenza e morire. Così soltanto io posso vivere, ormai. Rinascere attimo per attimo. Impedire che il pensiero si metta in me di nuovo a lavorare, e dentro mi rifaccia il vuoto delle vane costruzioni.
(…)“perché muoio ogni attimo, io, e rinasco nuovo e senza ricordi: vivo e intero, non più in me, ma in ogni cosa fuori”. (L. Pirandello)

Adoro la “follia” di Alberto e adoro i piatti in cui la traduce e si lascia andare. Queste novità hanno un carattere davvero forte ed esplosivo. I sapori sono netti e decisi. Sperimentazioni sensoriali. Essere coinvolta nella nascita ed evoluzione di un piatto non ha eguali in emozione. Grazie.
I cappelletti mettono quasi soggezione tanto sono fatti perfettamente. Ma il fatto è meglio della perfezione, ormai lo abbiamo imparato in questa casa, quindi assaggiamoli. Ritrovo una delle note che più mi piacciono di lui, l’amaro, che ormai riconoscerei ad occhi chiusi perché è unico (tra i miei frequentati) nel riuscire così bene a utilizzarlo, dandogli protagonismo ma anche equilibrio con il resto del piatto: dolcezza, sapidità e astringenza.
Cappelletti di pollo, coca cola e burro di arachidi con brodo di alghe, salicornia, riduzione di coca cola, china e genziana. Ribes ghiacciato a parte.
Non sono per i tanti ingredienti in un piatto ma qui tutto mi si stravolge.



La mela del peccato

Arte e design in ogni dove, anche nel piatto. Ecco un’altra bellissima sfumatura del cuoco, anche se mi rendo conto che è ormai riduttivo chiamarlo così.
Non è una strega a posare la mela nel piatto e non ci si addormenta all’assaggio, in attesa del principe che con un bacio ti risveglia.
Chissà cosa succede in quella cucina. Ci sarà un grimorio gipponiano con un elenco di ingredienti, combinazioni e produttori tra i più improbabili?
Rimango ogni volta senza parole per il suo genio innato e inevitabilmente penso a quello che sarebbe con una più lunga esperienza e formazione alle spalle. Ma dura un attimo perché lo preferisco così.
Questa commistione di favole mi eccita. Passo da una all’altra divertendomi. Arriva il momento di rompere il frutto caramellato e scoprirne il ripieno. Torta di mele destrutturata? Più o meno.  
Crema pasticcera alle carrube, gelatina di mela acida, mela al marsala. Riso alla base.
Cuore e fegato di pollo al centro.
Il peccato qual è? E’ che siamo alla fine del percorso.

3. Vini
La carta propone solo scelte di cuore del cuoco e del sommelier Marco Abeni. Aprire una delle loro bottiglie è sempre scoprire un mondo altrettanto meraviglioso come tutto il resto.
Iniziamo con una bolla del territorio. Ma chi è questa sconosciuta? Dal breve racconto di questa piccola realtà e del suo artefice, la giovanissima Alessandra Divella, c’innamoriamo già. Assaggiamo la sua prima annata, 2012 e ne rimaniamo colpiti. Il nome della bottiglia che scegliamo ha già in sé la descrizione dell’azienda. NI.ente solfiti aggiunti, NI.ente dosaggio. Gli altri NI andremo a scoprirli direttamente, anche se curiosando in interet leggo NI. ente acciaio, NI. ente controllo delle temperature.
Cuvée di Pinot nero e Chardonnay (48 mesi sui lieviti): seducente, elegante ma anche con tratti molto decisi e diretti, la sintesi di quello che adoro. E’ una chicca, vera e senza chimica, di un’artigiana del vino che ha carattere e che non vedo l’ora di conoscere, ringraziando loro e chi come loro traghetta sulle tavole questi artisti.

Ni Ni Dosaggio Zero 2012 - Divella

Anche per la scelta dell’altro vino ci affidiamo al nostro amico a tavola perché ci fa sempre assaggiare e scoprire cose interessanti. Qui anche lui è un po’ spiazzato leggendo una carta piacevolmente “diversa” e dopo la bolla punta dritto ad un Veltiner slovacco.
Abbiamo scelto il preferito del sommelier. Lo leggiamo dal volto e ascoltando le sue parole che ci convincono ancor più dell’esperienza che andremo a fare.
Azzerare la mente, decompressione. Ora siamo pronti a recepire altro a cui siamo abituati.
Ci piace. Ci diverte. Ci incuriosisce. Apriamola.
Un bicchiere sensoriale e pericoloso perché non finiresti mai di riempirlo talmente ne scopri l’unicità.
Il Veltiner ha l’acidità che adoro, viva e molto verticale, il Riesling dona invece la parte aromatica, sottile e delicata, e una buona mineralità. Wow. Questa cantina è un po’ più scomoda da raggiungere quindi ce la godiamo per bene.

Traja Boxeri 2016 - Slobodne Vinarstvo (90% Gruner Veltiner e 10% Riesling)

4. Compleanno

17 Novembre sarà un anno di Dina. Auguri. Capita proprio nel periodo più rosso e caldo dell’anno …..
La prima candelina. Sento nelle sue parole l’incredulità di quanto fatto e ricevuto in così poco tempo ma soprattutto la progettualità per il futuro, un futuro che mette questa casa al primo posto, anche su allettanti proposte esterne. Ma lui è speciale e rinuncia. Non è da tutti.
Niente news in merito a cosa succederà dal 18 novembre. Certe cose sta all’autore svelarle e a noi viverle. Vi dico solo che non vedo l’ora. E ancora una volta stravolgerà ogni pensiero che state facendo e ogni certezza, se mai ne abbiate avute qui.

“Il segreto, cara Alice, è circondarsi di persone che ti facciano sorridere il cuore. È allora, solo allora, che troverai il Paese delle Meraviglie”. (Cappellaio Matto)

Michela Brivio

domenica 21 ottobre 2018

La joie de vivre in terra di confine: Diego Pani al Marco Polo di Ventimiglia


- Silvia Vecchione -
-lifeonthetopfloor-



Una palafitta affacciata sulla spiaggia, si dice, i cui paletti affondano ben più in profondità che in un'evanescente distesa di sabbia. Per conquistare una terra di confine e tenersela stretta servono radici belle solide: quelle del Ristorante Marco Polo di Ventimiglia risalgono al 1960, anno in cui Oreste e Maria Pani hanno dato il via all'attività, destinata a prosperare all'interno della famiglia per le successive tre generazioni. 

Fiero capitano dagli anni '80, Marco Pani guida il galeone con a fianco la moglie Ivana e, oggi, salpa alla scoperta di nuove frontiere insieme al figlio Diego, venticinque anni tutti fatti di passione, determinazione, competenza e personalità. Alle sue spalle, la tradizione di casa e una brillante formazione che lo ha portato a viaggiare fra Patagonia, Parigi e Montecarlo, sperimentandosi accanto ai più gradi chef francesi; uno fra tutti, il Maestro Alain Ducasse, con cui ha lavorato per tre anni, fino a diventare uno dei suoi allievi prediletti.


Diego ci accoglie con entusiasmo ed esuberanza. Il sorriso è di chi non vede l'ora di mettersi al lavoro e lo sguardo rivela sicurezza, decisione e concentrazione. Il nostro tavolo è all'interno, vicino alle finestre e affacciato sul terrazzo, oltre il quale s'intravede la spiaggia privata, anch'essa finemente agghindata in tonalità blu Marco Polo. Più in là, il mare appare calmo e lucente. Siamo in settembre, la giornata è calda ma la lieve brezza è bastata a convincere un buon numero di buongustai come noi a uscire di casa e incamminarsi a riva per un pranzo stellato.

La terrazza si popola velocemente e gli ospiti, quasi beneficiando dell'atmosfera che li circonda, sembrano a un tratto tutti belli e ben vestiti: avevo avuto la stessa impressione qualche anno fa, girovagando per le vie di Le Marais e Saint-Germain a Parigi. Entrano, attraversano la sala, volteggiano verso il terrazzo - ho il ricordo di un'elegante signora in abito giallo di chiffon - varcano la soglia e diventano più belli.

Immaginiamoceli poi al primo sorso di champagne e al primo ricciolo di burro. Non so, una specie di magia, che mi ha ricordato, per l'emozione e la joie de vivre, il dipinto Bal au Moulin de la Galette. Renoir era a Montmartre e noi a Ventimiglia, ma Francia, vino e buona cucina non mancano né lì né qua; e un piccolo salto nel passato ci è anche concesso: non si chiama vintage contemporaneo lo stile di Diego?


L'ho detto, a Diego, quell'aragosta ce l'ho ben impressa: piatto del giorno e aragosta almeno del decennio - sfido chiunque si voglia cimentare a superarla. Aragosta mi-cuite, fresca dal mercato di Ventimiglia, dove ho fatto un giro in mattinata, straniera fuori luogo in elegante décolleté di suede e completo floreale, e dove la famiglia Pani si rifornisce ogni giorno del pescato più fresco, per rendere giustizia al mare da cui proviene e per impreziosirlo al tocco di francesissimi fiocchi di burro. 

Toujours du beurre: arriva al tavolo come un trofeo, l'aragosta mi-cuite al burro, accompagnata da una finta crêpe di patate e cipolle, che addolcisce la sapidità intensa del mare e bilancia la crudezza di un piatto schietto, vivo, vero, forte e onesto, come piace a me. La sincerità mi conquista e a Le Moulin de la Galette, secondo me, non si scherza: se qualcuno ti vuole invitare a ballare, sono certa, te lo chiede. À la santé, sono sguardi e danze, joie de vivre e bellezza di confine: in trasformazione, in divenire. Vietato stancarsi, o adesso o mai più, come nelle pennellate impressioniste di Renoir.


Le acciughe panate e fritte in crosta di nocciole giocano in casa, riportando la Liguria con i piedi per terra. Seguono la stessa filosofia i fiori di zucchina, mentre il raviolo ai funghi racconta l'autunno che sta per iniziare, quello che, al Marco Polo, chiuderà la spiaggia ma non la porta. Il rombo cotto all'osso accompagnato dalla passatina di ceci e pinoli, così come il pescato del giorno abbinato a un raffinato contorno di cannolicchi, sono di Diego il manifesto: #FishIsTheNewMeat.


Venticinque anni, quindi un bell'hashtag me lo concedo; tanta tecnica, però; tanta conoscenza, tanta esperienza, tanta dedizione e abilità: il giovane francese di Ventimiglia, il figlio d'arte e Renoir della Riviera, cuoce il pesce come se fosse carne. Giocando in casa, pianta palafitte marine nella solidità della terra; e non sbaglia. Non sbaglia un colpo, tanto da confonderci la testa con la dolcezza proustiana de Les Petites Madeleines: a lui, forse, ricordano Parigi; a me ricorderanno, sempre, di un'impeccabile aragosta assaporata in terra di confine, dove la gente diventa più bella, nell'atmosfera giocosa ed elegante di una domenica d'estate a Le Moulin de la Galette.









S.V.

venerdì 19 ottobre 2018

Quattro mani di mezzo

- Michela Brivio -

Sono tra quelli che non hanno resistito all’inizio della nuova stagione Cibo di Mezzo e che quindi ha goduto di una serata davvero speciale: la quattro mani alla Dispensa Pani e Vini con il cuoco di casa, Marco Acquaroli e l’ospite Stefano Cerveni, Ristorante Due Colombe*.

E’ amore. Già dichiarato per i fuori casa, cuoco e sommelier Gianluca Goatelli, da sempre e per sempre ormai, e ora nato anche qui e per questo progetto, dal 15 ottobre al 2 dicembre godibile in tutti i ristoranti e da tutti i produttori aderenti (vd post precedente a riguardo).


L’aperitivo è servito al banco all’ingresso, circondati da tutta la Franciacorta in bottiglie, i salumi e formaggi che risplendono dalle vetrine e dai presenti con cui condividere la serata.
Conosco finalmente i promotori dell’iniziativa Carlos Mac Adden e Paolo Maioli, ritrovo con piacere amici del settore e con un bel bicchiere di Cortefusia la serata può iniziare.
Il benvenuto è raccontato, preparato e servito direttamente qui dai due protagonisti.



Battuta di fassona, olio di arancia e vermouth Lacerba
Cialda di topinambur con purea e fermentato
(M. Acquaroli)





Tartare di trota selvaggia, maionese al cipollotto, vermouth Lacerba e caviale di trota
Lumaca anni 80’
(S. Cerveni)

Poi loro si spostano in cucina e noi in sala per l’inizio della partita, che lo è semplicemente per l’alternanza dei piatti proposti. Non avrei rivelato il nome dei cuochi sul menù e lo raccomando per la prossima volta.

Sempre difficile una quattro mani: i cuochi si conoscono per la prima volta in cucina con le rispettive brigate e i piatti devono susseguirsi con equilibrio, armonia e in crescendo.
Questa magia è successa, e non è così scontato anzi…

L’esperienza e la maturità di Stefano si sono perfettamente unite alla cucina di Marco, in cui Cerveni si riconosce 10 anni fa. Un bellissimo augurio e complimento per il padrone di casa, a cui tutti ci siamo piacevolmente uniti.



Apre le danze l’ospite con la sua Consistenza di funghi porcini, fiori e foglie. Si sente l’autunno in bocca e visto che meteorologicamente tarda ad arrivare è ancora più un piacere. Un gioco davvero perfetto, aspetto che apprezzo sempre tanto perchè valorizza un unico ingrediente estraendone tutta l’essenza nelle diverse consistenze proposte.


Consistenza di funghi porcini, fiori e foglie (S. Cerveni)

La risposta è la Sardina Presidio Slow Food al barbeque. Uno degli aspetti più belli di questa cena è stato il profumo. Ogni piatto aveva una carica olfattiva davvero inebriante. Fondamentale per una degustazione che ti avvolga in tutti i sensi.

Qui è la tecnica il gioco, perché ci sono tutte e tre le possibili preparazioni bbq in un unico piatto e ognuna regala la sua sfumatura. Della sardina non si butta via nulla. Va mangiata tutta. Altra sorpresa è ancora la consistenza. Ci si aspetta l’essicata o, vista la tipologia di cottura, qualcosa di diverso e invece alla croccantezza esterna si contrappone un cuore morbido.



Sardina Presidio Slow Food al barbeque (M. Acquaroli)

L’asticella dei sapori è già bella alta e il carattere dei due molto diretto, forte e deciso.
Si alza ulteriormente con i primi piatti.
Stefano propone una delle preparazioni che più amo, la pasta fresca con ripieno liquido. Per la serata sono Tortelli, zafferano, bagoss, salvia e limone, da mangiare rigorosamente in un sol boccone, per godere di un’esplosione in bocca che ha effetti indescrivibili. Quando uno è bravo è bravo.




Tortelli, zafferano, bagoss, salvia e limone (S. Cerveni)

E ora come la mettiamo con la risposta?
Divinamente. Marco ha saputo reggere l’intensità del piatto precedente con un risotto altrettanto maschile. Perfetta cottura ed equilibrio degli ingredienti.



Risotto, burro di malga, maialino e pesci di lago (M. Acquaroli)

Concludiamo con due assoli.



Scottona al Sampì, aceto di miele e ortaggi (S. Cerveni)



Cioccolato e Amaro 030 (M. Acquaroli)


Piccola pasticceria


C’è un piatto senza nome, l’ultimo, quello che unisce i due cuochi nei ringraziamenti reciproci, dove emerge stima, passione e condivisione di valori, quelli che fanno vibrare il cuore e che battono in questo progetto che vede uniti loro e tutti gli altri cuochi, i produttori e il territorio.


Una professione diventa tanto altro se a muoverla è tutto questo. Grazie perché è solo così che l’enogastronomia può riacquisire la sua natura e ritornare ad essere veicolo di cultura, emozionando. Avanti tutta e buon Cibo di Mezzo a tutti.
Non durerà solo in queste occasioni e nei menù proposti nei due periodi dell’anno, ma sempre in chi come loro crede e porta avanti ogni giorno questa missione e passione.

Un ringraziamento per le foto a Nicolò Brunelli.

Michela Brivio