giovedì 31 ottobre 2013

Mille Caffè


del Gaglioffo del Faro

Fanne pure di caffè, anche ad un euro l’uno. Se ne fai mille al giorno saranno comunque mille euro al giorno, ma soprattutto mille persone che avranno deciso di venire nel tuo bar, anche se solo per un caffè. E un’altra volta potrebbero tornare per una colazione da fare con cappuccino e brioche, o per un toast e una birra, per un aperitivo in compagnia o per un after dinner in solitario, tanto per far due chiacchiere con te , che stai dietro il bancone tutto il giorno non solo per fare dei buoni caffè ma anche per condividere del tempo con quel piccolo mondo che ti viene a trovare nel tuo locale.

Il bar dei mille caffè potrebbe così diventare il centro di attenzione del quartiere, o addirittura di tutta la piccola cittadina dove si trova. Alla stessa maniera, all’interno di un albergo di medie o grandi dimensioni, il bar potrebbe rappresentare almeno la stessa cosa, se non di più, e diventare il cuore pulsante di tutta la vita che si svolge dentro quel meraviglioso microcosmo che si chiama Hotel.

E lui era molto bravo in quel ruolo. Prima nel suo bar di quartiere e poi quando fu chiamato a fare caffè dietro il banco di un bar d’albergo. Piazzandosi nella sua postazione privilegiata, leggermente più in alto del “versante cliente”, poteva tener d’occhio parecchio spazio, ed essere tenuto d’occhio da parecchi clienti di passaggio, che scendevano dalle camere per uscire dall’albergo.

Pantalone nero, gilet gessato, camicia bianca impeccabile e cravattino nero, trasmetteva informalità e professionalità a qualsiasi ora del giorno si presentasse dalle parti del suo piccolo regno: il bar. Con il suo fare amichevole e confidenziale si era guadagnato stima e simpatia non solo da parte dei clienti abituali ma anche da parte di quelli occasionali. Tutti quelli che comunque, uscendo dalla loro camera se ne andavano direttamente fuori dall’albergo per prendere un aperitivo o per andare a cena.

Invece, da un po’ di tempo, grazie ai suoi modi di fare, qualche cosa era cambiato. La sua umanità, la sua professionalità e la sua capacità avevano convinto molti a passare prima da lui di uscire. E così diventò normale  che dalle parti del bar si creassero giornalmente capannelli di gente allegra che condivideva le prime chiacchiere serali con il primo e poi  con il secondo aperitivo.

I gruppetti di gente al bar contagiarono presto anche i clienti single che si unirono goliardicamente alle compagnie già formatesi. A quel punto, invece di uscire a cena, molti di essi decisero di fermarsi al ristorante dell’hotel che beneficiò della capacità del barman. E dopo cena, non finiva lì il suo lavoro, perché erano di nuovo gli stessi che avevano prima preso un aperitivo e che avevano cenato al ristorante dell’albergo, che tornavano per un after dinner o per un birra defaticante prima andare a dormire.


Il bar che fatturava si e no qualche caffè diventò quasi più importante del ristorante, incassando inaspettatamente cifre simili o superiori. Ma un albergo è fatto anche da altri spazi vitali da sviluppare, per esempio il bar della piscina in estate, o quello della SPA durante l’inverno. Per lanciare al meglio la stagione invernale tra bagni turchi, hamman, saune e idromassaggi, il nostro ottimo barman si prodigò nel servizio Champagne Spa. Servizio molto apprezzato dai clienti più brillanti, anche per effetto della disidratazione da alte temperature. Manco a dirlo, la situazione andò diverse volte vicino al “fuori controllo”, ma la direzione chiuse un occhio, privilegiando il fatturato a qualche momento di euforia forse eccessiva.

Del barman dalle mille risorse se ne parlava spesso nella zona, e l’eco delle belle serate a circuito chiuso raggiunse una nota star dello sport, un famoso calciatore. Molto famoso, ma molto famoso, che ovviamente ci teneva alla sua privacy, ma che non si voleva far mancar nulla fuori dal campo di calcio, fosse pure stata la serata che precedeva una partita importante.

Il nostro VIP, più noto per i suoi ritardi che per i gol domenicali, si presentò stavolta con la solita fidanzata (…) e altre due amiche, come dire, non proprio alle prime armi. Il nostro caro barman si presentò con una bella scorta di munizioni (bottiglie di Champagne intendo) e diede il via al percorso benessere.


La disidratazione ebbe il sopravvento, e la sete si fece sentire presto. Il tepore degli ambienti comuni contribuirono ad accentuarla, facendo evaporare gli ultimi freni inibitori. Quella notte la situazione degenerò in maniera diversa dal solito, e così il nostro barman cadde nelle acque della vasta vasca idromassaggio con il fantasista sudamericano e le sue fantasiose accompagnatrici di varia origine e talento.

Il mattino seguente il bar era deserto,  ma non fu per questo che fu allontanato da quell’albergo, e neppure perché le munizioni si esaurirono già alle cinque del mattino e lui non aveva la chiave per tornare in cantina, in boxer (a trovarli…) per prelevare altre bottiglie,  quindi non tanto perché lo Champagne fosse finito ma perché lui era finito sulla (o dentro? ) la fidanzata del calciatore, e siccome lei lo prese bene, lui no, lui proprio no, e protestò vivacemente con la direzione, facendo così ancora una volta tardi allo stadio.



gdf

mercoledì 30 ottobre 2013

Vermouth



di Giorgio Manara


ETIMOLOGIA E STORIA

• Si può confermare con assoluta certezza che la fama del Vermouth a livello mondiale sia indissolubilmente legata alla Città di Torino, anche se la Toscana verso la fine del 1700 fu per un certo periodo la culla di questo prodotto anche se solo a livello di consumo familiare!
• Tornando indietro nel tempo è conosciuto il fatto che il vino sia stato molto usato quale “veicolo di principi attivi medicinali”. Di fatto gli Enolati, ovverossia i vini medicamentosi, erano una delle forme più usate ed accettate per introdurre nell’organismo i principi medicamentosi di differenti erbe e spezie, grazie all’azione dell’alcool e dei differenti acidi organici contenuti nel vino.
• La nascita del vino vermouth si attribuisce al famosissimo medico Greco IPPOCRATE , nato nell’Isola Greca di Cos nel 460 A.C. 
• Fu infatti il primo a lasciar macerare nel generoso vino greco, l’arthemisia absinthium ed il dittamo cretico, due erbe originarie dell’isola di Creta e dal forte potere digestivo, è da ricordare che ancora tutt’oggi l’Arthemisia Absinthium è l’erba principale nella preparazione del Vermouth.
• Questo vino Ippocratico o vino all’assenzio mantenne questo nome fino al medio evo dove si arricchì dei profumi orientali importati dalle navi Veneziane dopo che i Romani l’avevano già copiata arricchendola di altre erbe e spezie tipo il mirto, il rosmarino ed il timo.
• E’ da notare che che il “vino Ippocratico fu prodotto in tutta Europa specialmente in Baviera dove in Tedesco l’Arthemisia absinthium, l’erba più importante nella produzione del vino absitnhiatum, si chiama WERMUT, e da questo quindi la denominazione tedesca di Wermut Wein.
• Altra spiegazione dell’etimologia della parola vermouth si deve al fatto che le truppe di Re Sole, nei loro spostamenti in Germania facessero largo uso di questo vino Wermut che infondeva loro coraggio……Wehr =armata -- Mut = coraggio!


La preparazione


• IL VINO E’ LA BASE PRINCIPALE DEL VERMOUTH DOVE (PER LEGGE) NON PUO’ ESSERE PRESENTE IN QUANTITA’ INFERIORE AL 75%

• IL VINO DEVE ESSERE BIANCO – PERFETTO NELL’EQUILIBRIO DEI GUSTI E PROFUMI, STABILIZZATO E LIMPIDO

• PROVENGONO DAL PIEMONTE DALLA ROMAGNA – PUGLIA E SICILIA AL FINE DI AVERE DEI TAGLI (ASSEMBLAGES) PER OTTENERE LA COSTANZA NELLA QUALITA’ RICHIESTA

• LE ERBE CHE CONFERISCONO AL VERMOuTH IL PARTICOLARE GUSTO E PROFUMO DEVONO ESSERE RACCOLTE ED USATE NEL “TEMPO BALSAMICO” CIOE’ QUANDO CONTENGONO IL MASSIMO DEI FAMOSI PRINCIPI ATTIVI DESIDERABILE

• E’ PER QUESTO MOTIVO CHE DI ALCUNE ERBE SI USANO I FIORI, IN ALTRE LE FOGLIE, IN ALTRE ANCORA SEMI – RADICI – RIZOMI E CORTECCIA

• ANCHE SE UNA VOLTA SI USAVA METTERE LE ERBE IN SACCHETTI DI TELA SOSPESI NELLA BOTTE CONTENENTE IL VINO, OGGI :
• OGGI SI OTTIENE LA MACERAZIONE IN GRANDI TAMBURI ESTRATTIVI (GRANDI RECIPIENTI ROTANTI DOTATI DI ELICHE CONTENENTI LE ERBE IN SOLUZIONE IDROALCOLICA
• ……O PIU’ SEMPLICEMENTE DISTILLATE IN PRESENZA DI ALCOL A DIFFERENTI GRADAZIONI IN RAPPORTO AL TIPO DI ERBA APPUNTO
• SONO COMUNQUE PIU’ DI 40 LE ERBE USATE NELLA LAVORAZIONE DEL VERMOUTH




L’ALCOOL


• VIENE USATO PER AVERE O SUPERARE LA GRADAZIONE MINIMA PREVISTA PER LEGGE (14,5°) E PER ASSICURARE IL MIGLIOR EQUILIBRIO DEI COMPONENTI 
• DEVE ESSERE PURISSIMO E RETTIFICATO AFFINCHE’ NELLA GRADAZIONE FINALE DEL PRODOTTO NON INCIDA CON GUSTI NEGATIVI E POSSA MANTENERE IN SOLUZIONE GLI OLII ESSENZIALI DELLE ERBE


LO ZUCCHERO

• IL SACCAROSIO AGGIUNTO NELLE QUANTITA’ DETERMINATE SERVE A DARE CORPO E MORBIDEZZA AL PRODOTTO E DI ATTENUARE IL SAPORE SGRADEVOLMENTE AMARO DI CERTE SOSTANZE COME AD ESEMPIO LA GENZIANA


IL CARAMELLO

• DETTO PER LEGGE “ ZUCCHERO BRUCIATO” E’ SACCAROSIO RISCALDATO LENTAMENTE FINO A 160° VIENE USATO SOLO PER I VERMOUTH ROSSI E CONFERISCE LORO IL COLORE ED IL SAPORE LEGGERMENTE AMARO E DAL TIPICO AROMA.


INFINE

1. I VARI PRODOTTI ( VINO – ESTRATTI DI ERBE – CARAMELLO – ALCOOL – ZUCCHERO) VENGONO POMPATI ATTRAVERSO TUBAZIONI NELLE DOVUTE QUANTITA’ IN UNA VASCA DI MISCELAZIONE MUNITA DI AGITATORI AFFINCHE’ GLI INGREDIENTI SI UNISCANO IN UN’AMALGAMA PERFETTA
2. ALL’INIZIO I VARI INGREDIENTI E PROFUMI EMERGONO ANCORA IN MODO INDIVIDUALEE DISORDINATO
3. PER QUESTO MOTIVO IL VERMOTUH DEVE RIPOSARE PER UN CERTO TEMPO AFFINCHE’ TUTTI I PROFUMI SI SPOSINO PER FORNIRE ALLA FINE UN “BOUQUET ARMONICO ED EQUILIBRATO
4. NEL TEMPO I SALI CONTENUTI NEL VINO TENDONO A CRISTALLIZZARE RISCHIANDO DI PROVOCARE L’INTORBIDIMENTO DEL PRODOTTO
5. VIENE QUINDI ACCELERATO QUESTO PROCESSO ATTRAVERSO UNA REFRIGERAZIONE A –8 GRADI PER 8-10 GIORNI E QUINDI FILTRATO AL FINE DI OTTENERE UN PRODOTTO LIMPIDO E BRILLANTE
6. DOPO UNA SERIE DI ANALISI PER CONTROLLARE L’IDONEITA’ DEL PRODOTTO AGLI STANDARD VOLUTI SI PASSA AD UNA ULTERIORE FILTRAZIONE STERILIZZANTE, PRIMA DELL’IMBOTTIGLIAMENTO FINALE

I VARI TIPI
1. EXTRA SECCO . : ZUCCHERO INFERIORE A 30 G/L
2. SECCO : ZUCCHERO INFERIORE A 50 G/L
3. SEMISECCO : ZUCCHERO COMPRESO FRA 50 E 90 G/L
4. SEMIDOLCE : ZUCCHERO COMPRESO FRA 90 E 130 G/L
5. DOLCE : ZUCCHERO SUPERIORE A 130 G/L

• E’ UTILE RICORDARE CHE I VERMOUTH DRY ITALIANI DAL GUSTO SECCO E FRUTTATO PROVENGONO DA VINI GIOVANI
• I VERMOUTH DRY FRANCESI DAL PROFUMO MATURO E DI COLORE GIALLO INTENSO
• PROVENGONO DA VINI INVECCHIATI


Giorgio Manara

martedì 29 ottobre 2013

Inseguendo la Chiocciolina di Slow Food


del Guardiano del Faro


“…la Chiocciola per le osterie, che più di altre entusiasmano per ambiente, cucina, accoglienza, assegnata quest’anno a 232 locali…” Quindi più o meno, meno che più, tante quante gli stellati Michelin o i medagliati Touring. Però qui si cerca altro. Non esattamente il top in senso assoluto quanto una selezione di locali di varia locazione ma che mantengano una comune aderenza filosoficamente sostenibile e territoriale, con un occhio anche al prezzo. Almeno, io penso di averle capite così le simpatiche chioccioline di Slow Food.



Però, cercando riferimenti diversi e incrociando le distinzioni di altre guide, dovremmo ritrovarne alcune -cercando bene- anche tra i Bib Gourmad Michelin, nelle menzioni di Buona Cucina del Touring, e nella fascia 13/15 ventesimi del L’Espresso. Più o meno, volendo fare questo esercizio di equilibrismo guidaiolo, che comunque (visti altri casi precedenti) non sempre riesce a chiarire il concetto, che in estrema sintesi dovrebbe essere sempre il solito : la ricerca del buon rapporto qualità prezzo per una cucina regionale.


Quando le  chioccioline le ritrovo anche sulle altre guide, normalmente i paragoni reggono, con qualche eccezione, ci mancherebbe, perché stiamo comunque ragionando sul campo dell’opinabile. Ma che questa La Molinella non ci sia invece su nessuna delle guide citate fa strano; l’eccezione che conferma la regola? Oppure resta da capire il perché le altre non segnalino, nonostante la zona sia particolarmente ricca di tavole molto frequentate dai turisti, specialmente francesi, quelli che si passano la voce in Cote d'Azur, e quando qualche cosa di buono e a buon prezzo appare dietro il loro angolo esclamano: Il-y-a un truc là-bas... donc... perché no?



Salendo e ridiscendendo la vallata che dal mare raggiunge Pigna, di parcheggi pieni quanti ne ho visti? Trattorie, ristoranti e agriturismi più o meno veritieri o mascherati, ma comunque ben guarniti al parcheggio. Invece qui le auto nel parcheggio saranno state tre, e i clienti seduti ai tre tavoli solo sei. Questo di domenica a pranzo, anche perché diversamente da quanto immaginabile in una zona dal clima così mite, salvo la domenica, questo agriturismo è quasi sempre chiuso all'ora di pranzo 



Oltre alla domenica a pranzo è però possibile cenare in almeno altre due o tre occasioni serali, e cioè sul fine settimana, come spesso accade quando parliamo di agriturismo, anche se mi sembra un peccato non poter godere del gradevole e tiepido patio che da sul giardino, salvo, probabilmente, nelle serate estive più calde.



L’orto regolamentare è giustamente reso visibile dallo stradino d’accesso, e i prodotti poi si ritroveranno nel piatto, anche se in misura piuttosto ridotta. Non c’è carta o menù scritto. Invece una breve ma ricercata carta dei vini è ben presente e ben confezionata, dove i vini proposti sono tutt’altro che estremamente contadini, ma bensì anche di buon nome e cognome.


Per le vivande bisognerà quindi attendere la gentile esposizione a voce, che si rivelerà assai breve, perché l’antipasto sarà uno (ma composto da 4 assaggi), i primi saranno due, mentre i secondi tre, ed avendo prenotato tre giorni prima, credo che dunque sia questa la normalità e non l'eccezione. I prezzi invece non si ha modo di conoscerli in anticipo, ma tenuto conto del risultato totale potrebbe essere proprio quello uno dei motivi per cui qui il parcheggio è praticamente vuoto mentre altrove no. Nonostante si conoscano le agevolazioni fiscali riservate a questi esercizi, non sarà raro veder salire il conto vicino ai 100 euro (per due persone) condividendo una bottiglia dal prezzo medio basso.




I piatti sono cucinati in maniera diligente ; piatti delicati e discretamente eseguiti secondo le più consolidate pratiche tradizionali, ma senza esagerare con condimenti, erbe aromatiche o ingredienti (come l'aglio) dal sapore molto incisivo.  Certo, magari in piena estate e con sessanta persone al tavolo potrebbe essere diverso il risultato... come mi riferiscono conoscenti ben informati, e quindi mi rimarrà il dubbio sulla strada che ho percorso per inseguire la simpatica chiocciolina, quella che ci ha guidato, piano piano, senza forzature, lungo questa stradina, fino a qui. Il suo segreto, però, stavolta non l'ho svelato. Non l'ho capito.


Nel patio, nella luminosa veranda, o chiamatela come volete, ci sono 24 gradi e un bel sole tiepido; però, chissà perché, forse sarà l'abitudine all'apertura serale che invita la proprietà a servire il pranzo solo all'interno, con tutte le luci accese e i tendaggi tirati, in difesa dalla luce naturale. Mica entrasse. Eh, belìn, i gusti son gusti...






L'antipasto della casa, composto da un barbagiuai farcito di zucca su bruss, da uno tortino di porri, da un previ (cavolo farcito) e dal consueto brandacujun.

I ravioli di borragine e bietoline...

I tagliolini di funghi (anche nell'impasto) con porcini

Il coniglio alle olive e timo, con panissette di ceci

Non c'è il gatto oggi, ma qualche lingua di lui si, per accompagnare un digestivo



gdf 12 minuti


lunedì 28 ottobre 2013

Dal Giuse, al Vescovado di Noli


gdf


"Il Giuse"
Metto subito le mani avanti dicendo che questa non è una recensione sul Vescovado di Noli. L'articolo completo è approfondito andrà in onda prossimamente su Reporter Gourmet, e con una serie di foto diverse da queste. Qui siamo al  Bar degli Armadilli e quindi mi sembra opportuno tenere un tono informale. E al Bar degli Armadilli un buon gin & tonic non deve mai mancare, meglio ancora se in spiaggia, dopo il servizio, insieme ad alcuni collaboratori del Giuse, in attesa di rientrare, loro in cucina ed io al faro. Rientrato leggerissimo ed appagato, con il sorriso sulle labbra.

Intanto ci facciamo un giro per Noli: due passi e qualche assaggio dell'ottima cucina di Giuseppe Ricchebuono, coadiuvato (nella redazione di questa carta) dal brillante ventottenne argentino Luis German Genovese, proveniente dalle cucine del D.O.M. di San Paolo del Brasile. Un giapponese, un argentino, un coreano, una spagnola. Il Giuse non si ferma mai, e trova periodicamente dei collaboratori molto bravi, in grado di recepire la sua traccia, sviluppandola poi sfruttando tecniche e intuizioni sperimentate altrove.

Ma di questo e altro ne riparlerò su RP, intanto facciamoci un giro per Noli, ricordando però un appuntamento, perché, approfittando di un periodo di chiusura del Vescovado, il Giuse dovrebbe andare a dividere lo spazio di cucina con Flavio Costa. L'appuntamento, se ho capito bene, sarebbe per la serata del prossimo 16 Novembre al 21.9 di Albissola. Se ne andranno a far la spesa la mattina e con quello che troveranno allestiranno un menù fusion, lavorando insieme per una giornata, pestandosi i piedi a quattro mani. Per info, in ogni caso, chiamate al 21.9. 












Finocchio, finocchio, finocchio...

Palamita in crosta di patata, giardiniera di verdure e maionese di bottarga

Sugarello marinato... zucca e  amaretto

Triglia, scorzonera, nocciole, liquirizia...


E altre buone cose, dal Vescovado di Noli.
A' bientot


gdf

domenica 27 ottobre 2013

Di solito funziona

Nino  Benvenuti 
 - di Marco 50 & 50 -

Non doverlo  fare per mestiere permette di scegliere. Dove mettere le gambe sotto il tavolo ma, cosa non meno importante, l’argomento del post.Per l’argomento del post uso un trucco, fingo di dover andare ad un ballo, metto una maschera, del mascara e accendo un cerone, di solito l’editore non mi riconosce, allora gli invio un pezzo di difficile collocazione e subito dopo, sapendo di coglierlo confuso già dopo le prime righe, rincaro la dose e gli mando dell’uva spina o un barattolo di nebbia sottovuoto.Di solito funziona.

Per i ristoranti è più difficile, mi informo, prendo nota, leggo le recensioni, sento i pareri, guardo le foto fatte con passione, ascolto i gourmet, valuto la distanza da casa, il rischio etilometro sulla strada del ritorno, i prezzi.
Di solito funziona.




Non ho la possibilità, di ripetere più volte una visita nello stesso ristorante o di fermarmi per la prima volta dove invece mi piacerebbe sostare a lungo, le variabili tempo, salute, denaro e l’invariabile (finché sopporta) quota rosa, formano un’incognita talmente difficile da risolvere che rende vana ogni programmazione.

I luoghi del cuore meritano un discorso a parte, nei posti dove si sta benissimo in qualche modo si torna andando ad erodere il portafoglio e la percentuale di tempo libero che col passare degli anni scende dal 100% a percentuali talmente tristi che non vale nemmeno la pena segnalare, il tempo da libero diventa impegnato e parla sempre e solo di argomenti che annoiano.
Poi per fortuna e purtroppo, il tempo a disposizione risale di percentuale ma, di pari passo, diminuisce la libertà di manovra, insomma come la giri la giri …

A proposito di spazio di manovra, ma anche di “post in libertà” mi chiedevo quale fosse nel settore un argomento importante, spesso solo sfiorato dagli addetti che devono mettere a fuoco soprattutto i piatti precedentemente messi sul fuoco dagli chef, ma anche tenere la mente e la penna fresca per descriverci al meglio i vini messi in fresco.

Ci sono due o tre persone che come dice un bartender  (al quale chiedo di regalarmi, anche in privato, il pezzo di vita che cela non affiancandolo al sapere) “intingono il pennino” e ci lasciano storie, prima di recensioni.
Con le storie arrivano ancora meglio i piatti, i vini, il calore e i profumi, difficilmente descrivono piatti freddi che invece lasciano ad altri come le recensioni della stessa temperatura.

Una di queste persone  è targata Perugia, un’altra fa la poetessa. Come non ci si può aspettare da tutti lo stesso naso e lo stesso palato, non auspico un racconto medievale per ogni  locale e nemmeno , meno male, uniformità di giudizi.

Mi chiedo però perché un aspetto così importante, sia volutamente, se considerato, considerato marginalmente da tutti, “pennini preferiti” compresi.
L’accoglienza, punto.
Ma l’accoglienza è un punto fermo.




Non credo si possa ridurre tutto citando la sorella di uno chef e pochi altri, e se in Gallia o altrove ci fossero altri Seni meritevoli, se si venisse a sapere che un appassionato che esce a cena con una quota ed erode i propri risparmi può diventare crudele più di Erode, se, pur mangiando e bevendo bene è accolto male.

Esco per diletto, da quando il letto era il diletto principale, non avrò visitato più volte tutti i locali meritevoli, ma ho eroso, molto. Oggi nel ristorante aziendale mangerò il mio mezzo pollo, così non dovrò chiedermi chissà chi sarà rimasto senza. Sono quindi una statistica, una percentuale, un campione, forse di nicchiate. Eppure nessuno di quelli che ascolto, di quelli con i quali mi confronto, torna in un locale se manca l’accoglienza.

Non compro neppure una verza, un etto di crudo, una Panda gialla senza logo, se le persone non mi convincono. Spesso spendo di più, ma preferisco dare a chi mi piace che a chi non mi convince, anche se, a parità di prodotto, potrei risparmiare dallo strafottente di turno. 

Michela Miti
Le moine, nemmeno se fatte dai monaci dello Iowa, non mi convincono, l’atteggiamento chiuso ma educato al limite del burbero lo accetto, ma non voglio sia superata questa sogliola nemmeno dalla mugnaia infarinata. Ma perché dovrei fare colazione in un posto, se chi me la prepara ha una voglia di fragola sulla guancia ma non ha voglia di servirmela, la colazione, sulla fragola è ancora tutto da vedere.

Perché avrei dovuto far regolare una vite da un ottico che non saluta, meglio da uno che conosce la pianta. Per gli occhiali nuovi  mi sono rivolto ad un altro ottico, che aveva un visione diversa, un’altra ottica, con me non è certo diventato ricco ma è già il terzo paio che mi vende, me-ditate, sulle lenti nessuna, li pulisce sempre bene.

Siamo disposti a dare una seconda possibilità ad un piccione rosa shocking e ad uno spilungone che ci serve con garbo un vino che sa di tappo, torniamo per riprovare il risotto che è mantecato male, sorvoliamo se le mele non sono annurche, anzi non sono proprio mele, ma se ci vengono servite con grazia, anche per una forma di educazione non le rimandiamo indietro. Maciniamo chilometri per una cena quasi perfetta che a volte, però, si conclude con un caffè cattivo, macinato male, eppure se l’accoglienza ci ha accompagnato fino a fine pasto, dimentichiamo il caffè e ordiniamo un distillato.

Quando arriviamo in un ristorante si capisce subito dalle prime note, che sentiamo in sottofondo prima ancora di aver varcato la soglia, che musica dovremo aspettarci, sono le sensazioni di pelle, le più importanti, se avremo usato uno sguardo non superficiale ci serviranno in seguito per capire tutto il resto, come quasi sempre, con le persone, nella vita.




L’accoglienza al ristorante è molto, se manca, la cena è incompleta ed il cerchio non si chiude,  ma deve venire spontanea come a casa, altrimenti non accogliamo nessuno e riguardiamoci un film già visto,” Due nel mirino” e sul divano.

Non per niente si dice arte del ricevere,  ma forse qualcuno che non ama l’arte ha frainteso anche la parola ricevere, che in effetti ha doppia valenza.
A Valenza Po negli anni il clima è cambiato, sono spariti i laboratori orafi e gli artigiani, il fiume è rimasto.

Non si vedono più le fiamme ossiacetileniche e i fumi, che mischiandosi alla nebbia davano vita ad un paesaggio surreale. E’ sparita anche la nebbia, chissà se così mascherato riuscirò trovare qualcuno che vende dell’uva spina già pulita, difficile, manderò dei fichi d’india.

Di solito funziona.


Marco 50&50