domenica 31 marzo 2013

Un Meursault senza il rischio del platonico


del Guardiano del Faro

Il giovane Marco Roccarino (nick name rccmrc) sta prendendo accuratamente nota delle sensazioni che gli sta fornendo senza riserve quel bicchiere di vino bianco; quei due bicchieri di vino bianco che ha davanti al naso, e sotto il naso. Sembra un codice fiscale il nick e la sua mail, come se ci fosse un motivo  per decodificarne il significato. E infatti Marco non è semplice da decodificare, piuttosto riservato e zitto, ad ascoltare. Ci voleva un bicchiere di vino straordinario per farlo uscire allo scoperto, senza decoder. Dopo quel bicchiere finalmente si è aperto al mondo, quello dei Meursault da antologia. Lui si occupa di vino per conto della società di distribuzione genovese I Vini del Sole di Enrico Cresta, e di conseguenza il suo naso ne sentirà qualche migliaio l'anno di vini più o meno buoni. Ma quando ha messo dentro il naso in questi due vini la sua faccia è cambiata e nessuna decodifica gli è stata necessaria per capire al volo. Li ha assaggiati prima di me, che il primo della serie, il Narvaux 2001 lo conosco bene, mentre il secondo non l'avevo ancora bevuto, dopo averne ritirata una mezza cassetta l'anno scorso da Madame. Il mio riferimento precedente ha vacillato. Quel meraviglioso Goutte d'Or 1999, di cui ho avuto la fortuna di berne 5 bottiglie delle meno di mille prodotte, mi è riapparso con un aura diversa. Il mio 5 per mille dovrebbe essere stato sufficiente per indicare senza dubbio che quello è stato il mio miglior Meursault di questa vita.

I Monaci di Citeaux, quando iniziarono a dedicarsi alla viticultura, lo fecero inizialmente grazie ad un dono ricevuto per il giorno di Natale seguente al completamento dell'Abbazia. Il Duca di Borgogna regalò loro un primo vigneto su cui operare. Un piccolo vigneto situato a Meursault. Chissà su quale cru iniziarono. Molto probabilmente non questo, che gode di buona fama grazie alla produzione confidenziale D'Auvenay, perchè se no sarà Les Perrières a dominare la scena tra le denominazioni comunali. In ogni caso, la faccia di Marco mi ha convinto ancor più del mio data base, che probabilmente (non subito) ma andrà aggiornato, perché questo giovane 2002 ha tutto e anche di più per entrare nella storia dei vini di questo comune, quello del mio campanile, quello un po' snob, che pur senza nessun grand cru spunta prezzi e raccoglie consensi spesso superiori a quelli dei suoi vicini di casa.



Les Gouttes d'Or è il premier cru di Meursault che ne apre la sequenza partendo dal centro del villaggio e uscendo verso Puligny. I premier cru sono quelli evidenziati in giallo. Goutte d'Or è il primo che si incontra, mentre Les Perrières è collocato all'estremo opposto, quasi al confine con le prime denominazioni di Puligny Montrachet. Ma ce l'avrà qualche difetto questo vino? Certo che ce l'ha, perché siccome le due parcelle da cui le uve provengono non arrivano -sommandole- a 0.2 ettari, il numero di bottiglie non arriva praticamente mai a superare migliaio. Il secondo è ovviamente il prezzo, perché scovarne qualcuna sul mercato nero a meno di 500 euro la vedo durissima. E allora qualcuno esclamerà: e meno male che per lo meno è eccezionale...Un Meursault D'Auvenay, una bottiglia con la quale non corri il rischio del platonico, in pè!

Ciao Enzo.

gdf 9 minuti


sabato 30 marzo 2013

Pomerol


del Guardiano del Faro

Il titolo non va d'accordo con l'immagine. Sicuramente no. O forse apparentemente no. Partiamo da non troppo lontano, lasciando in pace le anime dei Cistercensi, i muretti di Clos Vougeot, l'Abbazia di Citeux e tutto quanto quei meravigliosi Monaci sacrificarono della loro vita (l'età media alla morte era 28 anni), allo scopo di concentrare tra i muri del Clos più famoso al mondo la massima civilizzazione applicata alla viticultura.

Il fatto è che prima che Notre Dame du Pinot Noir iniziasse ad imbottigliare questa roba buona sotto la sua etichetta, quella del Domaine Leroy (questa dovrebbe essere la seconda annata se le sinapsi non mi tradiscono), di roba altrettanto buona in giro per la Borgogna degli anni '70 e '80 non è che ce se fosse molta, anzi, probabilmente con il gusto di oggi, se andassimo a sondare nei decenni bui del secondo dopo guerra borgognone troveremmo molti più cadaveri nelle cantine che nei cimiteri.

Quindi, come capitò a me capitò anche a quasi tutti quelli che si avvicinarono ai vini francesi di prendere sonore facciate sui vetri delle bottiglie di Borgogna (in rosso intendo), e quindi, avendole pagate anche care quelle ciofeche, per istinto di conservazione veniva naturale rivolgersi al più rassicurante bordolese, dove i prezzi non erano ancora esplosi, e dove con una cifra ragionevole si poteva bere qualche cosa di veramente interessante, e che andava già sopra ad un rarefatto claret, avvicinandosi già pericolosamente alle marmellate parkerizzate, ma non ancora in maniera troppo evidente, almeno non sempre, avendo a disposizione -in enoteche e ristoranti- bottiglie che riportavano in etichetta i due periodi a cavallo del mitico 1982.


Ma già c'era una piccola denominazione che faceva sanguinare il portafogli, e che non stava nel Medoc ma dall'altra parte del fiume. Non stava troppo vicino a Bordeaux ma a Libourne. Ma perchè ci piacevano così tanto i Pomerol? Cos'ha di speciale questa denominazione dominata da sua Maestà Petrus? Tra le molte cose queste: il terreno argilloso, la relativamente piccola dimensione della denominazione (800 ettari) e la prevalenza nel blend di Merlot. Si, però anche St.Emilion sembrerebbe specchiarsi similmente o deformato a questo abbozzo descrittivo, però un Pomerol è diverso da un vino  proveniente dalla bellissima collina di St.Emilion, mediamente più austero. E allora, se molti come me, con un palato ancora in via di formazione francesista, si avvicinarono prima a Bordeaux che alla Borgogna un motivo ci sarà stato, e poi chi ha avuto modo di andare oltre, avrà trovato a Pomerol la Borgogna che non aveva trovato in Borgogna, paradossalmente grazie a vini a base Merlot e non Pinot Noir.


"Per questa personalità setosa e untuosa si usa dire che i vini di Pomerol sono i Borgogna di Bordeaux", definizione che non mi sono inventato stamattina dopo un caffè corretto Sambuca ma che ho trovato su un sacro testo francese, che traduce così la sensazione storico-tradizionale collegata a questi vini, ma per nulla folkloristica, quanto vicina all'emozione che un vino di Pomerol può provocare in un bevitore seriale di Medoc. Qui sopra ce ne sono due bottiglie di Pomerol in mezzo ad altre cose di quelle parti, del Medoc. L'Evangile '99 è a parte, perché è già di per se stesso un vino a parte all'interno della medesima denominazione. Qui sopra ci sono un paio di pesi massimi della somma annata 2005 in Medoc: Léoville Barton e Léoville Poyferré. Il primo si riesce anche a bere abbastanza agevolmente già da ora, mentre il secondo rispecchia il gusto che da quelle parti definiscono "americano". C'è bisogno di parecchi anni perché tutta questa massa trovi la sua collocazione in maniera elegante e pacata. Intanto ci sarebbe il Léoville Las Cases '96 a dare un'indicazione abbastanza chiara sui tempi necessari perché il vino trovi un equilibrio e un suo centro di gravità, che però non ha lo stesso equilibrio quasi ruffiano di questo La Fleur de Gay della medesima annata. O l'eleganza non ostentata del Vieux Chateau Certan, anch'esso '96. Eleganza non ostentata ma quella capsula rosa non si può guardare.


Ma ancora una volta, anche se il nostro palato ormai ne ha viste di tutti i colori e di tutte le forme, alla fine, dovendo scegliere, se andrà ancora a parare nei paraggi di un Pomerol ci sarà un perché. In attesa di ritrovare le vecchie e buone abitudini, a partire dallo strep-tease di quella signorina del 1989, da rivedere alla prossima occasione; ma intanto godiamoci questa teen ager del 1999, veramente una grande bottiglia quella che Paolo (il vero The Wine Advocat), regge con estrema e giustificata soddisfazione.



gdf 

venerdì 29 marzo 2013

21.9 è il nuovo ristorante di Flavio Costa



Il sito è in costruzione, invece il ristorante esiste già,  e Flavio Costa lo riaprirà tra un paio di  settimane, e quindi l'immagine qui sotto è significativa solo per inquadrare otticamente la vista dalla terrazza. L'appuntamento è per metà aprile. Secondo me Flavio ha fatto bene a spostarsi vista mare. Bisogna provarci ad uscire dalle nicchie nascoste dell'alta cucina. Quell'epoca è finita per molti. Bisogna venire allo scoperto e mettersi in gioco di fronte ad un pubblico più vasto e che consenta di portare a casa un bilancio in attivo. In bocca al lupo Flavio. Io sono certo che la qualità rimarrà inalterata, ma probabilmente saggiamente legata ad un'offerta più popolare. Io la data del 12 aprile l'ho già evidenziata, perché questo spostamento rappresenta un evento per la Riviera. A presto allora, anche per scoprire il significato di questa insegna numerica.


gdf

giovedì 28 marzo 2013

Monfortino 1947

Ho letto da qualche parte che questo è probabilmente uno dei vini più straordinari che siano mai stati prodotti in Italia nello scorso secolo. L'incredibile longevità del Monfortino è nota, anzi, forse è proprio meglio berlo come facevano i nostri vecchi in Piemonte, molto vecchio. Ho buona memoria, avendo vissuto spesso la scena classica, quando il capo famiglia, a fine pranzo domenicale apriva le ante di un vecchio armadio ( le ante in basso ), quelle più prossime al pavimento, notoriamente freddo in quegli anni, e dall'apparente disordine tirava finalmente fuori  una vecchia bottiglia di Barolo. La si beveva a fine pranzo, con niente, o con un pezzo di grissino rimasto sulla tovaglia, o proprio volendo esagerare, con un pezzo di formaggio stagionato. L'ho riprovata ieri l'emozione, non con un 1947, ma con un 1953, pescato da questo fantastico lotto di anziani Monfortino e Gaja 1961. Il lotto è in vendita, le bottiglie sono queste, e chi volesse acquistarne qualcuna, o per fare un vero affare meglio tutte, si può rivolgere a Giacomo del Ristorante enoteca L'Infernotto di Genova, in pieno centro. Oppure a me, che ho tastato con mano, insieme ad un Gaja man come Max Sedda, la condizione del lotto. Abbiamo volutamente sacrificato un 1953 perché considerata un'annata piccola. Il vino, dopo qualche complicazione all'apertura (meglio dotarsi di leva-tappi a lame...) si è presentato con il colore che vedete qui sotto. Profumato di spezie, mandorle e cacao... come un vecchio Porto Tawny, da abbinare con un pezzo di parmigiano. Sembrava scarso, invece nel suo modo il vino ha tenuto un'integrità lodevole. Gli ultimi centilitri li abbiamo lasciati quattro ore nel decanter, appositamente, per valutarne l'evoluzione all'aria. Il vino ha continuato a migliorare, fino all'ultimo. Veramente una bella sorpresa questa, che invita ad insistere con le altre annate. Parliamo di un vino di sessantanni. E ormai mi capita raramente di affrontare una bottiglia più vecchia di me. Certo, con tutti quei Barbaresco 1961 ci potrei fare il bagno, ma preferirei condividerli, quindi, ripeto ci fosse qualcuno interessato a questo lotto di 18 bottiglie si faccia avanti.

Qualche difficoltà allo stappo, ma ce la posso fare

Max Sedda, agente Gaja e di molto altro per Genova e dintorni

Di queste ce ne sono 6. Quella con l'etichetta della data caduta è quella che abbiamo stappato e bevuto fino alla fine.

Quattro del più considerato 1955


Di queste ce ne sono altre...


Per info: L'infernotto (Mr.Giacomo) oppure alla mia mail. robertomostini@libero.it


mercoledì 27 marzo 2013

La scarpa e la zoccola


gdf  20-14

Ho sempre avuto il massimo rispetto per la zoccola. Così, d’istinto, perché la zoccola lo sa di esserlo e non nasconde il suo aspetto, il suo ruolo e il suo compito, o volendo esagerare, la sua missione. Non vuole essere un’altra cosa la zoccola, e soprattutto non fa finta o non si camuffa da un’altra cosa, perché la zoccola ha la sua dignità, e poi lo sa benissimo che fingendosi un’altra cosa, chessò, una scarpa borghese, non potrebbe reggerne le parti,  e chi l’affrontasse se ne accorgerebbe subito che non sta nei suoi veri panni. Ruvida, rigida, scoperta, pratica, antisdrucciolo, veloce, utile: questa è una possibile descrizione di una zoccola, diversa da una confortevole calzatura dove tutti i dettagli di comodità e di eleganza dovrebbero essere coerenti al prezzo richiesto. Si, lo so che ci sono anche zoccole molto costose, ma questo succede per colpa del mercato che le ha un po’ troppo sopravvalutate o perché dietro all’apparente semplicità ci sono studi, prove e sperimentazioni tutt’altro che economiche, a partire dalla rilevanza del pregio della curvatura dell’intelaiatura ottenuta, e della qualità della pelle con cui è stata rifinita, ed infine dai tessuti in cui è stata confezionata. La zoccola haute couture è comunque un caso limite quanto piuttosto raro.

Per il mio gusto personale preferisco la scarpa borghese, perché con la zoccola  il mio piede ha difficoltà di dialogo: non la controllerei bene, mi scapperebbe via da tutte le parti e il rischio di prendermi pure una storta sarebbe molto probabile. Almeno, così suppongo.

In ogni caso, per dare un po’ i numeri, se una buona zoccola ( non di marca ) può costare dai 20 ai 40 euro, una scarpa buona o molto buona può costare dai 200 ai 400 euro. Si va a paia, non singolarmente, è ovvio, ma meglio chiarire, come è abbastanza normale andare in coppia al ristorante a mangiare.

Ora, se vado a comprare una zoccola da 20 o 30 euro e questa presenta un difetto, mi posso arrabbiare, ma in fondo in fondo, se il difetto non la rende inutilizzabile, me ne farò una ragione in funzione del prezzo. Invece, se la scarpa borghese presenta uno o più difetti, allora, tenuto conto della cifra spesa comincerò ad alterarmi.

Se poi la scarpa è anche di gran marca ed è stata venduta per buona ( voir eccellente ) in uno dei negozi più belli ed eleganti del Centro,  allora l’alterazione potrebbe prendere un rilievo molto più elevato. Voglio dire, se la scarpa di lusso ha come base dieci dettagli di eccellenza da rispettare per valere il suo prezzo, se saranno almeno tre i difetti ( la regola base ) che riscontrerò, come minimo quella scarpa mi andrà scontata del 30%. Salvo voler far passare le deficienze come concettuali, relativizzando tutto a quel punto, come nella composizione fotografata in apertura, che per me rappresenta un'accozzaglia di prodotti gettati sul tavolo in ( apparente ) disordine, ma che in realtà celano un profondo significato che nessuno è in grado di cogliere, anche se alcuni sono convinti del contrario.

Quindi, su base 200 euro, caro il mio Ciabattino Haute Couture del Centro, io te ne darò "solo" 140  -che è già una follia- e in sintesi, nel mio grado di considerazione mi basterà levare un inutile zero per inquadrarti, facendo bene i conti. E se hai anche il coraggio di chiedermi dei soldi perché preferisco farmi infilare nelle tue pretenziose scarpe le mie affezionate stringhe che mi sono portato da casa invece delle tue ( esose ), allora stai veramente colmando la misura,  perché non sei stato nemmeno in grado di confrontarti con i tuoi colleghi prima di proporre cotanta "personalità", termine che tu usi al posto di "presunzione", perché l'Alta Moda non è per tutti; l'Alta Moda è un'esclusività di chi la sa creare ancor prima di chi se la può permettere da fruitore, anche se solo come status simbol.


 gdf 12 minuti



martedì 26 marzo 2013

Très Jolie | Château de Miraval Pink Floyd Jolie Pitt 2012








gdf rosè









APPELLATION
A.O.C côtes de Provence

CÉPAGES
Cinsault, Grenache, Syrah, Rolle

TERROIR
Miraval rosé provient des meilleures vignes du château, bénéficiant de sa propre vallée au cœur de la Provence, ainsi que d'une sélection de vignobles situés a proximité du village de Correns. Les sols sont argilo-calcaires, partiellement en terrasses d'une altitude moyenne de 350 mètres.
Le climat frais pour la région et d’importantes variations de température entre le jour et la nuit permettent de conserver des équilibres parfaits dans les vins.

VINIFICATION
Les raisins sont essentiellement vendangés le matin, puis triés et Eraflés. Pressurage direct pour le Cinsault, le Grenache et le Rolle. La Syrah est vinifiée par saignée. Vinification en cuve inox, sous contrôle de température (95%) et en futs (5%) avec batonnage.

NOTES DE DÉGUSTATION - MILLÉSIME_2012
Magnifique couleur rose pâle. Au nez, un bouquet fantastique d’arômes de fruits blancs, de fraises fraîches et de notes florales. Une bouche complexe avec des notes de framboises et de fraises des bois, des arômes d’herbes sauvages, d’agrumes et de pierre mouillée. Il y a une acidité rafraichissante, due à l’altitude du vignoble, et une fin de bouche ronde, longue et vibrante.
Détails Domaine
Le Château Miraval couvre 500 hectares de vignes, bois et oliviers à proximité du village de Correns, le premier village Bio de France. Domaine d’exception, il est l’un des seuls à disposer de sa propre vallée, qui s’étire d’Ouest en Est sur près de 4 kilomètres.

Partiellement organisé en terrasses de pierres sèches, le terroir du Château Miraval est fortement influencé par l’altitude des vignobles qui se situent en moyenne à 350 mètres. Les vignes disposent ainsi de journées chaudes et de nuits froides qui apportent fraicheur et équilibre aux vins. Les sols d’argile et de craie sont primordiaux pour retenir les réserves d’eau nécessaires et drainer l’excédent, contribuant ainsi à une maturation optimale des raisins.

Situé en bordure de la Via Aurelia - l’une des cinq principales routes romaines - Château Miraval a toujours occupé une place importante dans l’Histoire. Il semble qu’en 1252 Thomas d’Aquin séjourna quelques jours à Miraval. Au XVI ème siècle, le Prince de Naples rejoint la cour de France et s’y installe. C’est à partir de ce moment que Miraval apparait dans le registre des Maisons Nobles de France.

En 1970, le célèbre pianiste Jacques Loussier, alors propriétaire, crée sur le Domaine un studio d’enregistrement - Le Studio Miraval. De nombreux artistes vinrent alors y enregistrer leurs albums (Pink Floyd, Sting, Sade, The Cranberries...).

Aujourd’hui, Miraval est la résidence d’été de Brad Pitt et Angelina Jolie, qui en ont fait un lieu dédié à l’art - musique, cinéma, théâtre, gastronomie locale et grands vins.

Le vignoble du Château est cultivé en agriculture biologique, sans utilisation d’herbicides ou de pesticides. Le travail du sol et la vie sauvage qui résultent de ce mode de culture facilitent un enracinement en profondeur de la vigne.








Mis en bouteille par Brad Pitt et Angelina Jolie

Con le loro manine

Il vino è disponibile on-line sui 15 euro, e allora no?

gdf red carpet

lunedì 25 marzo 2013

Il tavolo a fianco


Il mattino ha l’oro in bocca, il mattino ha loro in bocca, il mattino ha l’oro in bocca, il mattino ha loro in bocca, il mattino ha l’oro in bocca, il mattino ha loro in bocca, il mattino ha l’oro in bocca, il mattino ha loro in bocca, il mattino ha l'oro in bocca, il mattino ha loro in bocca, il mattino ha l'oro in bocca, il mattino ha loro in bocca, il mattino ha l'oro in bocca, il mattino ha l'oro in bocca, il mattino ha l'oro in bocca…


gdf 2014



Ma perché devo diventare matto per queste cose, ma perché me la devo ancora prendere così tanto da diventare verde carciofo quando assisto a codesti misfatti? Tanto mica faccio ancora il cameriere? O il maitre, né tanto meno il sommelier. Che se la sbrighino da soli! E se non sono in grado di farsi rispettare che subiscano! Ma è questo mondo contromano che continua a farmi diventare matto a periodi, un mondo di persone che secondo me va al contrario, e lo dico mentre mi arrivano incontro quasi tutti dalla direzione opposta pretendendo arrogantemente di avere precedenza e buone ragioni per farlo. Ed è ancora più strano tutto ciò, perché la collettività non pensa, sono gli individui che pensano.

Mi vuoi rispondere al telefono, mi vuoi rispondere alle e-mail, mi vuoi rispondere a tema e non a vanvera se ti interpello? Vuoi essere puntuale a rimborsarmi alla scadenza, vuoi arrivare puntuale all’appuntamento, vuoi ricordarti quanto mi avevi promesso di fare? La vuoi smettere di sorpassarmi disinvoltamente a destra a velocità doppia? Si. ho capito che non te ne frega nulla di invadere la mia corsia con lo scooter mentre sorpassi tutti oltre la mezzeria, anche sulle sulle strisce pedonali. Devi anche sapere che una volta o l'altra, forse, terrò duro e ti stirerò senza pietà.

Ma allora aveva proprio ragione Roger Vergè l’ultima volta che lo vidi: mais alors c’est vous! Si Roger, sono io che mi sento fuori luogo, mentre piove, figurati oggi che grandina a Cannes, di nuovo.


Ma perché sono sempre le persone per bene che ci devono rimettere e non i mascalzoni, ma perché sono sempre loro a dover fare un passo indietro di fronte all’ignoranza e all’arroganza? Non parlo di me, e neanche dei correntisti ciprioti, ma dell’oste qui sotto al faro. Di nuovo fregato da un bellimbusto con bambina al seguito e con il plafond esaurito del bancomat. Se permette, riprovo al bancomat qui vicino, magari è il suo apparecchio che non funziona… E ciao anche a questo, che starà già spiegando alla piccola come si fa a stare al mondo andando contromano, fregando le persone per bene.

Mi fa tenerezza quest’oste. Ah se fossi stato al suo posto, ma per fortuna no, perché smisi di fare quel mestiere la mattina successiva alla notte  in cui fui tentato di mettere le mani in faccia – ma sarebbe più corretto dire “al collo” – a una come questa qui a fianco, però troppo famosa e troppo finta bionda per poterla passare liscia.

E invece il povero e remissivo buon oste se la sta gestendo al limite delle sue (scarse) capacità dialettiche per venirne fuori. Lui è rozzo ma semplice e buono. Lei rozza, arrogante e volgare Befana con le mimose appassite al tavolo. Befana di forma e di fatto, con la scopa parcheggiata nel porta ombrelli, a far la saputa a voce troppo alta e tanto fastidiosa con l’amica più giovane, la solita, quella fatta con lo stampino, di colore e forma, con la frangia troppo perfetta, quella che inevitabilmente cerca conforto al tavolo a fianco. Il mio.

Dovrei farmi i fatti miei, ma come è possibile farlo con questa che continua a richiamare l'attenzione dell'oste, non lasciandogli fare il suo lavoro, facendo le domande più insulse, più inutili, più banali e dove le risposte sono già tutte sottintese. Non ce la faccio.

Ma questi carciofi si può sapere come cz li vuoi? Se non mette il limone diventano neri! Lo vuoi capire che la finezza di una manciata di rossetti al vapore ti starebbero lontani mille miglia marine se solo potessero allontanarsi spontaneamente dall’acqua bollente? Ma no, senza dubbio ti avessero visto prima ci si sarebbero tuffati spontaneamente.

Barbaresco?!? Oh Santa Maria Goretti prega per noi. Barbaresco Dovunque sceglie la Signora, in dubbio tra le bottiglie più costose di vino rosso e alcolico. Ok, ok, non voglio farmi venire l’acidità metallica di un carciofo all’alcol e al tannino verde; mi faccio gli affari miei, come quando servii Arte di Clerico con un crudo di scampi in citronette. Ce la posso fare, ma non senza un sorriso tranciante che temo abbia ai loro occhi l’aspetto di una smorfia di disprezzo.

Ma li vuoi fritti, li vuoi in pastella, li vuoi in padella aglio olio e prezzemolo?  Li vuoi in tutte le maniere ma senza limone. Perché probabilmente disturberebbe il fascino del Barbaresco Dovunque a 14 gradi. E il pesce al forno? Se lo sfiletta lei al tavolo, allontanati oste, ci pensa la Signora - che forse è del mestiere -  a far fuori la tovaglia e il circondario del tavolo.

Mi sposto di qualche centimetro.

Un’altra bottiglia, pensando all'ultimo che l'ha sopportata, biondo e Santo, martirizzato immagino, e  il dubbio sale dunque alto tra quel Brunello di Montalcino Biondo & santo e il solito Barbaresco Dovunque. S'intristisce ora.  Anche un piatto di funghi per la Signora? Abbiamo appetito o vogliamo farla finita sperando siano tossici? Ma prima un’altra frase da annali del buon gusto: la seconda bottiglia di Barbaresco potrei averla sul tavolo a consumo?  A consumo? Questa mi mancava, mo' me la segno questa, ma perdendo visibilmente il controllo dei muscoli facciali. 

Caro il mio vicino di banco, vicino di tavolo, non mi guardare con tanto sarcasmo e tanto disprezzo. Sono triste. Mi volevo solo ubriacare: è così bella la vita vista da ubriachi, puoi dare fastidio a tutti, puoi andare contromano e sono sempre gli altri a sembrarti strani e fuori posto. Va tutto bene, finché qualcuno non ti contraddice, non farlo.

Ah si! E non potevi dirlo subito? Così evitavo di cenare da solo nel tavolo a fianco, quello sulla corsia di emergenza, mentre sta  piovendo.

gdf 





Devo io rinunciare al Balsamo della vita?
Per timore di un presunto giudizio futuro...
O illuso da speranze di una bevanda così divina...
Quando la fragile coppa si disgregherà in cenere...

Omar

sabato 23 marzo 2013

Il mercato nero dei pinoli da pesto e il tarocco dell’oliva taggiasca


“Da Il Secolo XIX”

Altro che discutere se l’oliva taggiasca sia nata a Seborga prima che a Taggia. C’è da preoccuparsi di ben altro. L’oliva tipica del ponente ligure, vanto della gastronomia di qualità e citata dai più grandi chef stellati, incomparabile anche per Carlo Cracco (è negli annali dell’alta gastronomia il suo cioccolato con olive taggiasche e gelato ai capperi), la pregiata taggiasca è a rischio: è uno dei prodotti più “taroccati” al mondo, sulla scia del parmigiano, del gorgonzola, del Barbera o dei pomodori San Marzano.
Sono i risvolti negativi della celebrità, in effetti. Ma le conseguenze per il prodotto ligure, un prodotto di nicchia al pari dell’olio extravergine che ne deriva, possono diventare molto pericolose e nuocere a chi sulla crescita del mercato dell’oliva da mensa ha investito per ampliare il suo reddito e legittimare il difficile mestiere dell’olivicoltore. A lanciare l’allarme sono le associazioni di categoria, in particolare il Consorzio di tutela dell’olio extravergine Dop riviera Ligure e la Coldiretti che sulla tutela del made in Italy sta portando avanti da tempo una durissima battaglia.

“ da Il Tirreno”

Sembra quasi uno scherzo, ma è vero. Nei supermercati si registrano sempre più furti di pinoli. Vengono rubati e rivenduti... al mercato del pesto. L'alto prezzo - fino a 60 euro al chilo - e le piccole dimensioni delle confezioni li rendono facile obiettivo dei ladri. Uno di loro, bloccato dalla sicurezza in un supermarket toscano, ha rivelato un incredibile mercato nero.

Va bene, il titolo vi avrà fatto sorridere. 
Però il problema esiste davvero, ed è un dato di fatto che lo scaffale della frutta secca sia sempre più preso di mira per i furti.
Si sa purtroppo che, a causa della crisi, sono frequenti i casi di persone, specialmente pensionati per cui è difficile arrivare a fine mese, che vengono fermate dagli uomini della sicurezza con una refurtiva alimentare. 
Ma di solito si tratta di carne e Parmigiano. 

Ultimamente, invece, ad essere in aumento sono i taccheggi di pinoli.
I colpi vanno avanti da mesi.
La regione più colpita è la Toscana (terra, peraltro del pregiato "pinolo di San Rossore" biologico), dove dalla fine di gennaio sono state fermate decine di ladri stracarichi delle costose bustine, dall'Esselunga di Lido di Camaiore alla Coop di Borgo San Lorenzo passando per l'Ipercoop di Livorno. Ma anche altre regioni 'vantano' numerose denunce di questo tipo.

Che cosa succede? Perché così tanti ladri da supermarket sorpresi con giacche e borse imbottite di confezioni di pinoli? Non si può certo pensare a un genere di prima necessità. 
Quindi che fine fa tutta questa merce, il cui valore è piuttosto consistente? 

Ecco, anche la risposta farà nascere un sorriso sul volto di chi legge, perché si parla di mercato clandestino. La via maestra sembra essere quella del pesto, il piatto ligure per eccellenza, basato proprio sul prezioso prodotto, che è sempre più raro e sempre più costoso. 

Raro e costoso perché la produzione è sempre più ridotta. Il mercato mondiale di quello che ormai i produttori statunitensi chiamano "il caviale del regno vegetale", nell'ultimo anno è calato del 47 per cento, soprattutto per colpa di un parassita detto comunemente cimicione che impedisce alle pigne di maturare. 
Il risultato è che dalle 34.445 tonnellate commercializzate nel 2011, siamo passati alle 18.405 del 2012 , lanciando così le quotazioni alle stelle (dai 60 ai 65 euro al chilo il prezzo di vendita sugli scaffali italiani).

Così, quella che all'inizio sembrava solo una delle tante bizzarrie legate alla crisi e all'austerità, ha ottenuto la promozione a traffico vero e proprio quando, dopo l'arresto da parte dei carabinieri di Borgo San Lorenzo, un 39enne romeno imbottito di 80 bustine (500 euro il valore totale) ha raccontato ai militari il motivo di questa strana passione per i pinoli: «Controllando i suoi documenti abbiamo notato subito che era residente a Genova - raccontano dal Comando Stazione della cittadina - e quando abbiamo chiesto spiegazioni di un furto così insolito, ha risposto che la merce è destinata al mercato nero del pesto, a Genova, anche se poi ha cercato di scusarsi col pretesto del costo elevato dei pinoli e della crisi economica». 

Andrea Falleni, responsabile della sicurezza di Unicoop Tirreno per la rete di vendita toscana, spiega che i pinoli «sono sempre stati rubati, per via del prezzo abbastanza alto e grazie alla facilità di furto e trasporto». «Ma nonostante questo - aggiunge Falleni - nessuno aveva mai prestato particolare attenzione a questo prodotto: ora invece è giocoforza tra gli articoli più sorvegliati, un po' come il parmigiano, gli affettati o i cosmestici». 

Ma c'è chi i pinoli cerca di rubarli anche alla fonte: ad Ansedonia, in provincia di Grosseto, tre uomini hanno tentato il colpaccio e, con l'aiuto delle reti, sono riusciti a far cadere dagli alberi circa nove quintali di pigne da pini di proprietà dell'Anas, guadagnandosi così una denuncia per furto aggravato. 

venerdì 22 marzo 2013

Il bio fuori-casello dei fratelli Gramegna

Il Rosso di Sera è a Castelletto Ticino, sul Lago Maggiore
Cristiano Gramegna alla consolle D.J.

Davide Gramegna al mixer
gdf 2014

Si dice sempre così: usciamo dal casello e in due minuti siamo al Rosso di Sera; ci facciamo un piatto di prosciutto crudo da Champions e un risotto fatto bene e via che si riparte. Più o meno, perché il prosciutto crudo e gli altri affettati sono sempre da Champions, così come la breve ma notevolissima scelta di formaggi.

Il problema sta nel fatto che Cristiano Gramegna, dopo già essersi affinato di suo, adesso ha anche un braccio destro, che qui come in altri casi, ha portato una ventata di freschezza e di buone idee, quindi inevitabile provare questo e quest'altro, in alternanza con alcune tra le centinaia di trovate biodinamiche di Davide Gramegna, che garantisce un rientro senza mal di testa, e questo è vero, però se faccio bene i conti, sei o sette bicchieri di vini diversi fanno comunque una bottiglia che mi sono bevuto in uno dei fuori casello più divertenti del Piemonte, e non solo.

Ma fuori casello, oltre ad essere un guida, è anche un discreto rifugio per non farsi prendere con il sorcio in bocca. E quanto alle Guide, qui ormai hanno sottoscritto tutte la fiducia ai Gramegna's Brothers. Un'altra coppia che funziona da decenni, alla faccia di chi pensa che tra fratelli ci si debba per forza dare fastidio nella vita. Qui di seguito qualche etichetta che farà felici gli armadilli, insieme a qualche assaggio di cose buone che sono andate oltre al prosciutto crudo d'autore o agli gnocchi Jefferson. Dal mixer alla consolle ho perso l'ordine esatto delle bottiglie e dei piatti, che non ci sono tutti, però siccome le nostre serata in discoteca a la Rocchetta di Arona -sul Lago Maggiore- finivano anche peggio, ma molto peggio, e Cristiano faceva il D.J. e non il barman, quindi bene così.


Pane, burro e acciughe del Cantabrico con olio alla curcuma e gelée di lamponi


Salmone mi-cuit gratinato ai pistacchi, passata di finocchio e yogurt al lime...



Risotto alla cipolla di Montoro, riduzione d'arancia e scaloppa di foie gras !




Sorbetto arancio e finocchio, menta ed Hendricks alla menta e lime




E infine il video un po' "maranza", che non a caso è di Robbie Nevil, il mio soprannome da sempre per big chef Cristiano Gramegna. Ma del resto: c'est la  vie!



gdf Robbie Nevil

giovedì 21 marzo 2013

Esiste questo vino?



gdf 2014

Questo è un altro caso umano conseguente al patto del baratto: libri per vino ed altri generi di conforto. Adesso che l’ho stappato e l’ho annusato ho organizzato le ricerche. Per diversi motivi l'ho fatto: prima di tutto perché è molto buono, secondo motivo perché è privo di una regolare etichetta nonostante abbia quasi sette anni, terzo perché ossido di ferro, mandorla amara e albicocca disidratata con un giro finale di buccia d’arancia candita sono descrittivi che mi hanno fatto sobbalzare dalla scrivania, quarto perché le mie ricerche non hanno prodotto alcun risultato, nel senso che questo vino regolarmente etichettato io non l’ho rinvenuto in nessuna pagina web.

Chiaro, io lo so chi è che l’ha prodotto, o per lo meno chi me l'ha mandato, però siccome me l’ha spedito in maniera confidenziale non so se avrebbe piacere che svelassi che questo vino esiste, tenuto conto che probabilmente non è in commercio.

L'imbarazzo è totale ma io amo il rischio; io ricevo questa cosa forse confidenziale da una persona che non conosco, e allora come fare? Ringraziarlo privatamente, ma mi sembra così scontato e banale, ma comunque già fatto, anche se non in dettaglio come qui, dove condividere qualche emozione in più.

E infine un'altra cosa: questo vino è del 2006, l’hanno di nascita web del Guardiano del Faro, e allora ho deciso di prenderlo come un regalo di compleanno di un nick name senza farmi altre domande ma mettendomi in attesa di un lampo di ritorno dall'altra parte del Tirreno.

Sono uscito in terrazza a guardare dalla costa un isola prima di bere il secondo bicchiere, mi sembrava il minimo per onorare chi nel 2006 stava lavorando per il Guardiano del Faro, guardando un isola dalla riva di un mare, il medesimo. Si, questo vino esiste! Lo vedo.