sabato 30 giugno 2018

Vita da Grand Hotel



- del Guardiano del Faro -


ALASSIO- "non mi serve una casa, la mia vita la voglio vivere tra una suite e l'altra di un grande albergo ..."  chi lo disse non visse così a lungo (66 anni). Sono i rischi del mestiere e di una vita intensa trascorsa tra il bancone del bar chiacchierando con barman professionisti e il resto del tempo ad un tavolo di un ristorante compassato, entrambi piazzati all'interno di un grande albergo.



Era probabilmente in "L'uomo che non sapeva amare". Ma l'uomo che non sapeva amare si sposò ben cinque volte, interpretò almeno 40 film e tantissime serie televisive. In Italia ce lo ricordiamo soprattutto per un cult movie millesimato come me, 1961, Colazione da Tiffany, e poi per il ruolo trainante nella serie di A-Team. Sarebbe piaciuto anche a George Peppard questo Grand Hotel vista mare, anzi proprio les pieds dans l'eau.

Ok, l'accoglienza e il ricevimento. Due aspetti che ti mettono subito di buono o cattivo umore. Un ruolo delicatissimo quello del personale addetto al ricevimento, così come quello del concierge, ma centrale rimane il lavoro del barman. I direttori d'hotel che hanno capito che è il bar lo spazio fondamentale e focus imprescindibile per la crescita di un grande albergo sono persone sagge e lungimiranti.

Dal bar ci passano tutti e se le figure dietro al bancone sanno fare bene il loro lavoro il cliente non sentirà la necessità di andare altrove anche negli altri momenti della giornata, neppure quando il bar non è prioritario. Il barman, confidente e psicologo ancor prima di mixologo -se ben preparato- conoscitore della sua città e delle sua attrattive, può perfino sostituire il ruolo del concierge o del portiere, perché più confidenziale, tra una battuta e una dritta.


Qui, due, e bravissimi tutti e due, competenti, sorridenti e riservati. Andando oltre gli aperitivi e gli spazi di questo tesoro d'hotel, di questa piccola gioia incastonata lungo mare, dove passare la giornata da salottieri bighellonanti, dall'uno all'altro dei momenti della giornata senza sentire un grosso bisogno di uscire, salvo per uno shopping (scarpe e baci di Alassio) però ritornando sui propri passi per un light lunch pescando qualche assaggio dalla carta bistrot, cominciando a prendere confidenza con la concezione di cucina di Roberto Balgisi, chef 45enne originario di Varese, poi a lungo operativo in un paio di locali nebbiosi di Vercelli prima di decidere di vedere il sole e il mare, facendo una scelta di vita che va oltre il semplice impiego di lavoro professionale.


Carta bistrot didascalica già nelle immagini dei piatti che vedremo più in là, e che deve tenere testa ad una clientela internazionale che sale o scende dalla spiaggia, che entra o torna dalla SPA. Altri due valori importanti, modellati intorno ad un'offerta turistica di lusso ma confidenziale: una cinquantina le moderne camere o suite. Le aspettative gastronomiche di italiani o stranieri all'interno di questo armonioso contesto non sono così spropositate, però Roberto Balgisi ci tiene ugualmente a metterci del suo per fare la differenza con la concorrenza e in parte riuscendo nell'intento.


Esiste infatti un'altra facoltà di scelta gastronomica, da leggere sulla carta del ristorante gastronomico vero e proprio, il Gazebo, già inserito felicemente in Michelin e L'Espresso. Bistrot o Gazebo? Tre colpi secchi e di profondo impatto palatale su sei quando ti prendi certi rischi non sono pochi, ricordando perfettamente la lavorazione di marinatura su un filetto di ricciola, piuttosto di un armonioso ripieno di tortello (con astice e melone), o ancora una non meno che esplosiva triglia, anch'essa, evidente, senza bisogno di scendere in troppi descrittivi: andate a mangiarla. Altre ricette da rivedere con calma da parte dello chef, dominando l'adrenalina in libertà.

Le demarcazioni dei diversi ambiti non sono chiare, ma basterà affidarsi al personale sorridente per individuare quale sarà la collocazione e il target food desiderato in quel preciso momento, perché l'offerta a quel punto si amplia ad uno spazio sushi bar e addirittura ad un servizio pizzeria napoletana griffata Lentini's.


Vuoi il sushi, vuoi la pizza, vuoi la cucina bistrot o il gastronomico? Nessun problema, il Balgisi tiene d'occhio tutto e incide compatibilmente con l'ampiezza dell'offerta, dovendo anche allargare il compasso al room service e alle colazioni. 

Ovviamente magrissimo con tutto questo "da fare" e passionale al dialogo confidenziale, serissimo nel contempo. Persona entusiasta e capace, con la tendenza al trascendere quando si tratta di creare un qualche cosa che non c'era.


L'insieme regge bene, la vita da Grand Hotel è bella, vivace, calda, ventilata, sonnolenta, alcolica, gustosa, coinvolgente. Sono come tu mi vuoi. La bella e moderna camera con vista mi riaccoglie -rifatta in modalità couverture- a tarda notte, dopo l'ennesimo passaggio al bancone bar, dove il barman comprensivo capisce il momento e non ti/ci molla neanche alle due al mattino.

Il risveglio è dolce, la colazione dolce e salata, all'altezza delle attese. Cosa mi manca? Niente, forse un calice di bollicine per accompagnare un buonissimo salmone ma per questo, laggiù in fondo al corridoio c'è sempre l'angolo bar presiditato giorno  e notte.

Caro George, lo so, preferiresti un whisky on the rocks anche on the beach, anche a metà mattinata. Troppo caldo oggi, fidati, ti offro un gin&tonic prima di ripartire, un barman dietro al bancone lo troveremo, e ben preparato.



IMMAGINI DAL BISTROT














IMMAGINI DAL GASTRONOMICO . IL GAZEBO












E INFINE QUALCHE PIZZA











gdf



mercoledì 27 giugno 2018

Mare calmo, fresco e fragrante


...


La semplice cucina buonissima ed elegante della Liguria di Levante di Matteo Armanino.



SESTRI LEVANTE 21-06-2018 - Solstizio d’estate, caldo intenso e non c’è un filo di vento.


Soffia fresco il Jalisco in coppetta Martini, base Tequila vibrante con amarezze acide da 7 p.m. Si spera nella brezza del calar della sera, ma è il 21 giugno e hai tempo d’aspettare. Siamo Ai Castelli, Grand Hotel d’altri tempi che si inserisce negli attuali con pochi rinnovamenti d’arredi e intenti. Emozionale, emozionante, che suscita emozioni. Il luogo e il contesto non si possono descrivere, vanno vissuti.


Con qualche scatto della location mozzafiato posso aiutarmi a rendere l’idea, ma l’impatto visivo dal vivo vale già da solo il viaggio. Si vede tutto il Golfo del Tigullio, si intravede anche l’altro Golfo, quello del Paradiso (oltre Portofino) e se sei fortunato puoi anche immaginare la Corsica. Siamo al centro del centro di Sestri Levante, in cima a quella che geologicamente è una Penisola, ma che ha il fascino favolistico dell’“Isola che non c’è” e allora i locali che la abitano la chiamano Isola. Il mare fa da orizzonte e da cielo.


Tutto il resto è Grand Hotel, in Castello, con parco privato dotato di tutta la macchia mediterranea, piscina naturale e perdita della cognizione del tempo compresa nel soggiorno.


Nell’attesa del tramonto è il Buon Giovanni (Grazioso) a prendersi cura dei clienti in tutto relax. Barman con baffo importante e sorridente, come Harry Houdini appare, scompare e riappare. Non è un illusionista né un seguace di chissà quale setta della mixology contemporanea. È un esperto destreggiatore dell’arte della cocktailerie, navigato e globalizzato(con anni nella global London alle spalle) con ottime idee personali pulsanti e charme, capace di rendere davvero interessante il buco temporale che dal pomeriggio afoso fa attendere la cena al chiaro di luna (chiamalo se vuoi aperitivo).


Che c'entrano con lui le apparizioni e le illusioni? Il banco American Lounge Bar Ai Castelli è un bizzarro bancone ben fornito da cui pensi di assistere alle scenografiche reazioni alchemiche a vista del Mister Mixology, ma che si rivela essere solo una area espositiva. Giovanni sorride e racconta le sue interpretazioni da bere, prende l’ordinazione e poi scompare. Pochi attimi e torna con cocktail ultimato, sorriso e soddisfazione. Nessun trucco da non far vedere, nessun inganno nella sua miscelazione,Giovanni scompare per lavorare in separata e nascosta sede solo per comoda vicinanza alla zona ghiaccio. Ha creato un laboratorio base dove ha traslocato qualche bottiglia e arnesi del mestiere. Dove? In uno scomodissimo angolo di corridoio, con via vai continuo di camerieri in servizio.


Il 21 giugno la sera, come dicevo, si fa aspettare e nell’attesa il Buon Giovanni prepara, in ordine di apparizione, Mussel Mary (un Bloody Mary marinaro, acido e ricco di gusto, quasi un antipasto, accende tutti gli appetiti), Dry Martini Very Dry (sulle note gustative di James Bond) e Peperonata in vino con aggiunta di capperi (non è una peperonata don’t worry, anche se l’aroma è proprio quello). Sorprendono tutti, piacciono molto perché hanno carattere acido e il Buon Giovanni, spavaldo dal baffo contento non ha timore di sfoggiare tutto il suo talento.


Giunge allora l’ora di traslare nella sala bon ton da ristorante, apparecchiata di tovaglie lunghe bianche e sole sulla via del tramonto. Qui si trova un team tutto istruito di ragazzi in gamba pronti a fare di ogni cliente un reale, ci accomodiamo e ci nutriamo della vista mare. Lasciamo che sia Giacomo Pittaluga (in qualità di sommelier e maitre) a pensare al vino e in cucina ci abbandoniamo nelle mani di Matteo Armanino. Sappiamo che Matteo ha fatto la spesa, ergo ci aspettiamo grandi bontà. Per meglio capire di che cucina stiamo parlando ci basta alzare di qualche grado lo sguardo. Vediamo mare infinito e tanti monti a contorno. La Liguria di Levante è tutta lì quasi a introdurre quel che sarà il menu.



Matteo Armanino è ligure di Levante. Ha piena coscienza del mare e lo sa valutare con parsimonia positiva. Sa che qui con poco si può fare l’ottimo e si può anche renderlo memorabile. La partenza è sempre la materia prima e qui non si discute, che fa parlare di sé quando è buona sotto tanti punti di vista, ma ci vuole anche una bella dose di esperienza per imparare a trattarla e a valorizzarla. E ce ne vuole ancora di più per realizzare piatti in grado di superare nel piacere una location così, in grado di spostare l’attenzione da tale panorama che proprio all’ora del tramonto che combacia con quella della cena distoglie per natura qualsiasi attenzione.

Matteo è molto intelligente e diligente. Ha capito che non è urlando che si fa sentire la propria voce, ma è con poche parole sussurrate nel modo giusto che la voce arriva a fondo e si fa ascoltare davvero. È attento a ciò ha attorno, si serve dal mare lì davanti (con eccezioni di regola turistica) e lo arricchisce di poco altro, di fini dettagli che aggiungono alla bontà della freschezza anche ricchezza e sontuosità, che in posto così si vuole. 

Delicato, aggraziato e morbido “i suoi piatti sono quello che piace tanto alle donne e che in fondo adorano anche gli uomini, un velo dolci e profumati, sicuri. Una cucina mediterranea semi pura, prettamente di pesce (e ci mancherebbe vien da aggiungere) che sa tanto di Liguria, quella buona anche buonissima”, avevo accennato di lui in un’altra occasione (http://armadillobar.blogspot.com/2018/05/cena-quattro-sei-mani-speciale.html); ora ribadisco la situazione. La cucina di Matteo Armanino è di mare calmo, che accarezza palato e mente, fragrante e di pesce freschissimo: un mangiare da signori profumato ed elegante, aromatico e leggiadro. Matteo con grazia Ai Castelli si occupa di dare re-esistenza alle cose semplici che non sanno ingannare.


Nessuna illusione ittica, il pesce è fresco davvero. E la lavorazione è di necessaria naturalezza, intelligenza e pazienza. Mare, monti e tante erbe, perché i liguri sono agricoltori, raccoglitori e marinai/pescatori.

Quindi?

Alla Gallery con didascalia la storia.


L’entratina è una Capresina (che la stagione richiama a gran voce)che non può non essere buona. Con sardina affumicata, l’accoppiata simbiotica estiva, pomodoro/mozzarella, ha solo da guadagnarci. Giacomo ci stuzzica dal canto suo con un bicchiere di Tippi (Calzelunghe), un primitivo rosato rifermentato in bottiglia: fresco e umami, pare una zuppa di miso fresca con punte erbacee. Bizzarro, curioso, cattura l’attenzione.


Continua l’aperitivo un frittino senza aloni, ossia novellini con scorzette d’agrumi, fiorelloni di zucchina e acciughe in tempura. Delicato, impercettibile se non per il croc al morso, lo scrigno di pastella custodisce intatta la bontà di quel che racchiude. Magistrale la frittura, croccante e asciutta che macchia a malapena la carta da fritto e non lascia traccia d’olio nel piattino. Materia prima eccellente, fresca e fritta, punto. Nulla di più (e manco lo vuoi).


Un classico di tradizione ligure le Lattughe ripiene in brodo, che in prossimità del mare ne assumono i connotati. Ulva lactuca (lattughe di mare) con mare dentro, nasello in una, frutti di mare e gambero rosa nell’altra e mare fuori con scampo, gambero, seppioline croccanti. Il brodo estivo è un estratto di cundigiun: una colatura di pomodoro e aromi. Il risultato è  meravigliante, di freschezza travolgente al profumo di maggiorana (che probabilmente non è tra gli ingredienti ma è talmente ligure la miscela di mare e pomodoro che sembra di sentirla).




Poco prima di salire Ai Castelli a lavorare, Matteo è passato dal mercato del pesce e ha trovato delle trigliette appena arrivate, talmente che è bastato servirle fresche appena scottate con delicate tapenade e giochi di consistenze di pomodoro e mozzarella di bufala a latte crudo. Perché l'estate è appena iniziata e l'incantesimo pomodoro mozzarella non si può ancora sciogliere.





Il profumo marinaro che avvolge la sala sembra accompagnare gli Spaghetti in arrivo al tavolo, conditi con aglio (tanto profumato quanto delicato), olio, peperoncino appena un accenno, acciughe morbide e fresche(e si sentono), colatura di Cetara giusto un po’ e panure che profuma della macchia mediterranea che circonda il Grand Hotel.

N.B. Gli spaghetti sono cotti al dente alla ligure, ovvero rimangono volutamente morbidi. Non chiamateli scotti, la cottura della pasta è a discrezione regionale e qui piace morbida, che poi con le acciughe, così e qui, sta a meraviglia.


Il secondo è uno ma è composto, forse un po’ troppo, ma è questione di gusti e di mia abitudine alla semplicità delle portate precedenti. A tanti avventori questo piatto piace e in effetti non ha nulla di sbagliato, è solo fatto di tanti elementi che poco si uniscono. Sgombro glacè che guarda al Giappone ma non si confonde, rimane delicato, profumato appena con soia e zenzero, impiattato con melanzana, crema di zucchine alla menta e prescinseua, la lattica acidità che contraddistingue la Liguria di Levante.


Il pre dessert non poteva esser più centrato: delicato e potente dai suoi punti di vista è un sorbetto al pompelmo rosa con spuma alla lavanda, profumatissimo e asprodolce che ci schiarisce il palato dal sapore di pesce e introduce alla pasticceria convinta di Emily che è delicata anche lei ma è ben determinata. 


Gioca con il gusto dolce, ma sa di non dover esagerare. Il suo dessert è proprio quello che vorresti alla fine di un percorso di mare così regale, fresco e grazioso. È una “Mille frolle”con basi croccantissime e friabili alle mandorle che si infrangono con facilità e si combinano con il ripieno di yogurt magro montato a crema, il sorbetto di rabarbaro e le ciliegie. Suadente, ha il sapore buono dell’estate che è appena iniziata.

Giacomo ha accompagnato la cena e il calar della sera con:


Vino Bianco “Pan” dell’Azienda Agricola Spagnoli Andrea ubicata ad Arcola (Sp)


Pinot Nero dell’Etna “Tiurema”, Enò-Trio


Vino Bianco “Altrove”di Walter De Battè, viticoltore in Riomaggiore





G.C.