lunedì 31 dicembre 2018

In viaggio verso l’infinito e oltre, da Koinè con lo chef Alberto Buratti


- Silvia Vecchione -
- lifeonthetopfloor -


Koinè è “lingua comune”: fusione di opposti, punto di incontro, possibilità di dialogo e momento di sintesi. È la lingua che parla Alberto Buratti, classe 1987 e chef patron del ristorante Koinè a Legnano dall’anno 2014. La sua cucina è sintesi creativa e personale della variegata esperienza acquisita lavorando presso i migliori ristoranti d’Italia – fra cui Osteria Francesca e Antica Osteria del Ponte – e d’Europa – sul suo cv, il tri stellato Azurmendi. Sono Koinè i suoi piatti, che abbinano influenze etniche e sapori esotici alla classicità italiana. Storia, arte, viaggio e fantasia si uniscono in creazioni dai nomi evocativi, rivelatrici di una personalità curiosa e audace, amante della sperimentazione. A portarmi fuori città, perciò, sono delle premesse su cui mi trovo d’accordo e di cui mi sembra proprio ci si possa fidare. Arrivo a Legnano in una nebbiosa giornata di dicembre. Nonostante il freddo, abbandono la macchina a qualche minuto di distanza dal ristorante per sgranchirmi un po’ le gambe e incoraggiare l’appetito. Mi accorgo di posteggiare proprio in Via Milano, nonostante ci sia voluta venire via…mah, sarà da prendere con ironia, oppure alla lettera. Costeggiando il parco e appoggiandomi come sempre al mio fedelissimo gps, arrivo a destinazione. Cattura la mia attenzione una piccola boutique, ma non sono qui per fare shopping. Non oggi e, probabilmente, meglio non dopo pranzo. All’angolo prendo la sinistra e in Vicolo Corridoni 2 trovo Koinè, all’interno di un piccolo palazzetto che ricorda gli antichi casali di campagna. La sala è arredata in stile moderno; dominano i colori freddi ma l’ambiente è riscaldato dal vociare degli ospiti e dall’atmosfera raccolta. 


Ci accoglie Fabio Consolaro, maître che, si scopre poi, ha anche ricoperto il ruolo di Sergente nell’esercito…champagne? Sissignore! Come amuse bouche, si inizia con cracker ai semi serviti con burro di cacao all’olio extravergine e aromatizzato alla salvia. Burro non burro, senza sensi di colpa. Iniziamo bene, con buoni propositi già a dicembre. Se non fosse che le mandorle siciliane sono stuzzicanti e una tira l’altra…



… Il consommé vegetale con cipolla bruciata, da bere caldo direttamente dalla scodella, è il biglietto per un viaggio verso l’Oriente


Nel piatto di trota cruda su brodo di porri e crema di patate, guarnito da nocciola tostata, ho apprezzato la sapidità data dalle uova di trota e il carattere deciso dato dal trito di erba cipollina. 


Alberto ha una passione per il foie gras e si vede: servito con una golosa riduzione a base di Kir Royal e Cassis, l’insieme, già equilibrato, viene completato in bellezza con il macaron al foie gras e la pungente gelatina al verjus. Davvero un bel piatto.




Grecia 1940 è un pezzo di storia e un omaggio alla terra della feta, delle olive e dello yogurt. Acidità e sapidità marcate, cottura impeccabile per i calamari. Minimal ma d’impatto la polvere di olive nere, che ho gradito per gusto e contrasto di colore. La trippa di pecora è un esercizio di stile che guarnisce il piatto.


Il Cristo velato parla il linguaggio dell’arte: un sottile velo di lardo ricopre il primo piatto di pasta a base di vongole e cipolla


Segue il Maiale 3 Stati ed è come viaggiare. Niente tappeto volante per chi sta comodamente seduta a tavola…eppure l’esotico c’è e arriva da tutto il mondo, direttamente sulla tovaglia: Giappone, Spagna e Stati Uniti si incontrano in un piatto che diverte perché è gioco e scoperta. 



Dopo il giro del mondo, si torna a giocare in casa con il pollo alla Marengo. 


Con il TiramiEggSu si rimane in Italia ancora un po’, ma con un occhio al futuro, anzi, come base per un altro viaggio, stavolta in direzione spazio: il Centro della Galassia è un piatto dedicato alla Via Lattea che, secondo gli astronomi, sa di lampone e profuma di rum. Adesso che parliamo la stessa lingua…perché tenere i piedi per terra?






giovedì 20 dicembre 2018

The Cook al Cavo: il gusto dolce e salato al mare d’inverno

- Silvia Vecchione -
- lifeonthetopfloor -


Weekend di festa, a Milano. Per il Ponte dell’Immacolata, la città si svuota precipitandosi giù per le piste da sci oppure strabordando in cerca di esotiche sensazioni oltre confine. Per quanto mi riguarda, preferisco la montagna d’estate e il mare d’inverno. Che sia con sguardo all’orizzonte, o fra i palazzi e le vie in discesa verso la spiaggia, un dicembre di sole al mare ha l’aria pulita e fresca, mai troppo pungente: quando il vento arriva deciso a sfiorare la pelle, si può contare sul calore dei raggi che avvolge le ossa. Mi sto affezionando a Genova. Ho un paio di amici responsabili di bei ricordi che mi legano alla città: amanti del buon cibo e del buon vino, ça va sans dire, sono anche fedeli lettori. Dalle cene a casa ai pranzi al Porto Antico, le belle impressioni dei momenti vissuti qui sono ancorate solidamente al fondo dei miei occhi quanto le barche al molo.


A dicembre, torno per due weekend di fila a Genova, entrambi di caldo, splendido sole. Inaugura la seconda tappa marina il pranzo da The Cook, a due passi dalla magnificenza di Piazza De Ferrari; il ristorante è una piccola gemma incastonata tra vicoli impervi, gli stessi che mettono a dura prova i miei tacchi – a cui, comunque, non vi consiglio, ragazze, di rinunciare, perché la sala affrescata è di notevole eleganza. Mi sorprende alla luce del giorno, ma dicono che di sera, passando per i vicoli, l’effetto di vederne le pareti illuminate sia ancora più suggestivo. Tornerò.

Un triangolo che va considerato molto bene, quello che anima The Cook: Ivano Ricchebono, Lucia De Prai, Marco Primiceri collaborano per realizzare una cucina gourmet che esalta i sapori autentici del territorio reinterpretandoli con misurata creatività e innovazione. Ivano è uomo di cucina e, allo stesso tempo, esuberante personalità di sala: il piatto, centrale, con lui diventa racconto, scambio, conversazione, esperienza di condivisione. Poi, le due giovani promesse, Marco Primiceri e Lucia De Prai, rispettivamente miglior chef emergente nord 2019 e miglior chef pasticcere donna secondo la guida di Identità Golose 2019: li ho incontrati tra palchi e stand ai concorsi ed è bello ritrovarli qui per vederli giocare in casa. Forse per impedirmi di scattare altre foto alla sala, vengo fatta accomodare per un calice di champagne in compagnia e un brindisi che apra le danze.
Il pane conviviale al lievito madre e farina di farro è delizioso in abbinamento all’olio extra vergine di Portofino. Lo presenta in foto il giovane Mattia, 20 anni, sommelier: sorriso ed entusiasmo contagiosi, professionalità e servizio memorabile.



Il primo amuse bouche è una mazzancolla cruda con salsa al cioccolato bianco: all’occhio sembra burro, questa salsa, invece sorprende per spiccata dolcezza. Necessaria per accogliere la schiettezza della mazzancolla.


Squisita la meringa al lampone abbinata al foie gras d’anatra, dove i contrasti tra sapori e consistenze sono perfettamente dosati.


Acciuga su tela si presenta come un vero e proprio dipinto: le acciughe marinate, sullo sfondo, sono punteggiate e decorate da ciuffi di diverse salse, che sembrano gocce di tempera al lemongrass, ai peperoni bruciati, all’anice stellato e nero di seppia. Il croccante è meringa e crumble di pinoli, ancora una volta in omaggio al territorio.

Il foie gras con pere martin sec e riduzione al vermentino e moscato è un piatto di importante acidità, da gustare in abbinamento al pan brioche firmato De Prai, che gradirei, se si può, anche a colazione…


Il primo piatto è un tagliolino di borragine condito con triglia e cozze. La mantecatura allo Stilton viene alleggerita dalla sapidità della soia e dalla freschezza del lime. Molti ingredienti per un risultato preciso ed equilibrato, dal gusto molto gradevole.


Segue il risotto con salsa al Franciacorta e cipolla agrodolce che, oltre a donare un bel tocco di colore al piatto, gli imprime personalità e carattere, con la giusta acidità.


Chiude la sequenza in grande stile, il piccione con cipolla borretana, foie gras, pepe rosa e tartufo bianco. Cottura impeccabile ed equilibrismi riusciti in gusti e consistenze, per quello che è diventato il piatto salato del giorno.


Adesso? Adesso ben sei dessert da provare. Viste le premesse lato pasticceria, non mi tiro indietro. Poi, i dolci di Lucia non sono mai eccessivi: il compito di un dessert è concludere un pasto che, spesso, è già ricco; allora l’intento non può essere coprire, sovrastare, superare, ma rinfrescare e rasserenare il palato accarezzandolo dolcemente e delicatamente. Anche nei dessert trovo vincente un gioco di contrasti: dolce non vuol dire stucchevole. Gusto non è eccesso ed eleganza è misura.


Su un letto di kiwi ben maturi e mandorle croccanti è servito il gelato al miele, rivestito da un caramello al rosmarino che viene versato ad alta temperatura in modo da rilasciare tutti i suoi aromi. Un inizio coerente.


Neve è una meringa senza uova e senza zucchero, realizzata a partire da una base alla purea di litchi e liquore al sambuco. La consistenza caratteristica della neve è ottenuta – spiega Lucia – ponendo la meringa appena montata in abbattitore invece che in forno. Qui il dolce è accompagnato da frutti rossi, per elevare in acidità e creare piacevole contrasto cromatico.


Pane e cioccolato è un soufflé servito con gelato al pane. Qui, ho apprezzato in particolare le punte di sale e le gocce di olio extravergine, dosate in quantità perfettamente misurata, tali da non coprire la dolcezza ma alleggerirla, annullando la monotonia e solleticando la scoperta.


Un altro originale dessert non dolce che stupisce con accostamenti insoliti e risultati eccellenti è pere abbrustolite, cioccolato bianco tostato, gorgonzola e tartufo bianco di Alba. Così riesco anch’io a mangiare il gorgonzola…


Segue un cremoso di castagne affumicato al fieno, accompagnato da uva osmotizzata al vino e servito con gelato ai marroni, il tutto aromatizzato al finocchietto.

Ancora in tema autunnale, un dessert bello fuori e bello dentro: sottobosco di nocciola è una spugna fondente allo zucchero grezzo, adagiata su una terra salata di cacao a doppia fermentazione, rivestita da un cremoso gelato alla nocciola IGP Piemonte e praliné croccante. Ancora una volta ho apprezzato molto la velata sapidità e il gusto leggermente amaro del cacao. Abbraccio pienamente la filosofia del dolce-non-dolce e, considerate le conquiste di Lucia, credo di non essere la sola…

S.V.

martedì 18 dicembre 2018

A Milano arriva Crosta: il panificio-pizzeria che è tutta un’altra pasta


- Silvia Vecchione -
- lifeonthetopfloor -


“Proviamo una novità per l’aperitivo?” L’amica – e lo sa – mi lancia la proposta a cui difficilmente riesco a dire di no. Milano si evolve rapidamente: crocevia di sogni e musi lunghi, a ogni angolo è diversa, ogni giorno è nuova, avvolta in uno scintillante turbinio di luci e insegne che stanca e diverte allo stesso tempo. Parli troppo veloce, mi si rimprovera spesso: chiaro, sai dove sono nata? Vorrei solo fare in tempo a finire la frase prima che qualcosa, lì fuori, mi costringa già a cambiarne la fine. La testa va veloce, le gambe anche, pure sui tacchi.


Le parole stanno al passo e la penna…la penna invece ha il suo singolare ritmo. Tutto suo. La chiamo penna, perché per me il senso non è mai cambiato, dalle prime pagine di diario allo schermo del pc. Di recente ho imparato che quelli come me si chiamano adottivi digitali: cresciuti e abituati alla tecnologia, ma nati all’epoca della regina carta.


Più o meno frenetici, ultra stimolati, impazienti e impulsivi, al minimo comun denominatore abbiamo tutti un senso di romantica nostalgia: quella sensazione che ci spinge a cercare le cose semplici e autentiche, a voler ridare tempo al tempo e valore ai processi lenti, alla manualità e all’artigianalità. Bene, la novità che mi ha proposto la mia cara amica fa breccia proprio qui: Crosta è il nuovo panificio-pizzeria aperto a inizio dicembre in Via Bellotti 13, a due passi dall’elegante viale Piave del design e delle boutique e dal vivace quartiere di Porta Venezia.

Dalla strada, colpiscono le grandi vetrine, mentre la luce calda che illumina l’ambiente invita a fermarsi a guardare: con questo freddo, viene quasi voglia di mettere le mani sui vetri e tornare bambini, perché dentro c’è qualcosa che sa di casa. L’ambiente è arredato con cura e la scelta di un design minimalista entra in piacevole contrasto con la rusticità del legno. “Come decorazioni di Natale abbiamo scelto di utilizzare solo qualche ramo di pino norvegese, niente di più”, ci spiega Mariangela Mineo, sorella di Giovanni, il panettiere. “Sentite che profumo?”.


La filosofia di Crosta è proprio qui: ritorno alla semplicità, ritorno alle mani, al calore di casa, all’amore per i gesti e alla cura dei dettagli. Tutto ciò si traduce in un’accoglienza che conquista il cuore dell’adottivo digitale nonché nostalgico romantico. Fare il pane e la pizza diventa quasi un atto simbolico: se la realtà fuori ci scombussola a tal punto da farci perdere il contatto con le cose, allora fermiamola e riprendiamola in mano; riprendiamola in mano e plasmiamola, scaldandola con passione, energia ed entusiasmo; rendiamola unica.


Questa la scelta di Giovanni Mineo, che per diventare panettiere ha scelto di cambiare vita e mestiere. Di origini palermitane, ha appreso l’arte da Davide Longoni, per poi crescere a fianco di Giuseppe Zen al Panificio Italiano del Mercato in Darsena. Dall’incontro fra un lievito madre accudito con la massima cura e gli antichi grani di Sicilia (due fra tutti, Margherito e Tumminia) nascono le belle e buone creazioni che adornano il lungo bancone di Crosta e fermano il traffico milanese con il loro fragrante profumo. Farina del suo sacco, il pane soprannominato L’Eretico sfida i ritmi della città moderna con un mix di farine selvagge, celebrando il classicismo della tradizione paesana con un prodotto di grande personalità.


Giovanni al pane e Simone Lombardi alla pizza: i due si definiscono soggetti “complementari” e noi possiamo solo constatare il successo dell’abbinamento. Ordiniamo una Bufala e, al primo assaggio, la mia domanda è: “Non ricorda quella del Dry?”. Sì, l’impronta di una delle più note pizzerie italiane si riconosce al volo: soffice e leggera, questa pasta d’autore è il risultato eccellente di una lunga e attenta lievitazione. A ricoprire una base di per sé degna di nota, Simone seleziona ingredienti di prima qualità, prodotti a filiera corta da artigiani locali.



Conservo un ottimo ricordo dell’olio extra-vergine estratto a freddo da olive Taggiasche e confezionato da Sommariva in un’elegante bottiglia con etichetta rosa antico e firma in corsivo. Occhio agli scaffali, quindi, perché da Crosta è anche possibile acquistare piccole chicche del nostro territorio, favorendo lo sviluppo di imprese italiane e deliziando il palato con qualcosa di davvero genuino. Oltre all’olio, potete trovare peccati di gola a marchio Colzani – squisite le creme spalmabili – e circa venti etichette di vino per un’enoteca che è una boutique mignon in fase di espansione.


Crosta è una casa che accoglie benevolmente milanesi e non, dalla mattina a colazione, dal pranzo alla cena. Gli amanti dei dolci potranno farsi coccolare dalla pasticceria di Cristina mentre il caffè di Massimo Bonini terrà svegli businessmen e “wonder women” tra un meeting e l’altro. Per quanto riguarda me, credevo fosse principalmente un panificio, invece ho scoperto un posticino che fa anche degna concorrenza alle altre pizzerie della città…tutta un’altra pasta, insomma, per un indirizzo da appuntare – a penna, perché no? – in agenda.


S.V.