domenica 28 febbraio 2016

Chi l'ha scritto?

"Dall'elementare e cruda pratica sessuale alla più delicata educazione sentimentale, è difficile trovare metafora calzante come quella del piacere d'amore per raccontare il rapporto che potete avere con vino.

Lo si comincia a capire quando vi lasciate la vetrina alle spalle. Rumori, luci, parole e affabulazioni non ci sono più. Adesso siete soli, a tu per tu con il vostro vino.

La scelta è fatta, l'aspetto estetico dell'oggetto che avete tra le mani è meno rilevante. Il fascino è tutto liquido, è quella la sua personalità. Volete conoscerla, capirla, se possibile esserne sorpresi e deliziati. 

L'istinto vi spinge a consumare e dimenticare, ma la seduzione è in agguato. Un vino può stregarvi e divenire relazione stabile, solida e duratura, e il vino della vostra vita rischia anche di manifestarsi sotto forma di piacere estatico, avvolgente, forse meno fisico ma capace di prendervi per sempre o lasciarvi ricordi struggenti.

Insomma, pensate di possedere un vino, in realtà ne siete la vittima potenziale. State per stappare una bottiglia, magari pregustando solo un buon bicchiere, senza sapere che in realtà è appena iniziato il vostro viaggio nel "gusto". Avventura complessa e multi forme che vi porterà a esplorare il sapore, il piacere, l'eleganza, lo stile, la gradevolezza, la classe, la potenza o l'amenità e il divertimento di un vino, perché è l'insieme di tutto questo a fare il "gusto". Ed è solo una partita fra voi e il vino, anche se continueranno a pesare alcuni elementi marginali.

Ogni vino ha, per esempio, il suo abito, il suo look, dettagli che ne cambiano colore ed aspetto. Un vetro Bordolese sarà più imponente e presenzialista con quello scarto netto fra il corpo e il collo della bottiglia, mentre una Borgognona o l'Albeisa, che è la sua variante italiana saranno bottiglie maliziosamente più esili grazie al lungo collo esaltato da una minore struttura."

ecc... ecc... come quando si dice che è venuto tempo di raccontare il vino in una maniera diversa, meno tecnica e più emotiva ed umanistica ... era dieci anni fa, forse troppo presto, e quindi ri -editarlo è stata una buona scelta.

venerdì 26 febbraio 2016

LA RISPOSTA AL SERVIZIO


Marco 50&50

“Bere birra analcolica è come ascoltare per radio un film porno.
Un video di Donna Summer mi potrebbe smentire, non vivendo di certezze”

Devo confessarti una cosa, raramente, ma mi capita, prendo una tonica, un “gin tonic analcolico?”, tanto che potresti chiamarmi Marco zerocento, nessuna certezza, nemmeno nel nome.

Rispondo con un lungo linea, lungo la linea immaginaria che collega ogni cosa, a volte sono più che sufficienti le parole, basta un nome, Donna Summer, c’è già tutto, come vedi…,per tenere acceso quel fil rouge di rosso fuoco, come un rossetto anni cinquanta.

Controllo la casella della posta, come quella elettronica è piena di c@zzate, stavolta però nella rete rimane un pesce di nome Wanda che vale la calata notturna, so di aver pescato il Jolly, me ne accorgo quando leggo destinatario e mittente scritti a mano, in bella grafia, è una lettera, vera, con tanto di francobollo, ma la casella della posta non è la mia e la lettera non è indirizzata a me.

La apro, non posso fare altro, inizio a leggere e “sento” la lucida disperazione delle sue parole, “sento” il grido di dolore dei suoi squilli che non trovano risposta nella casa ormai svuotata di  ogni energia, lei si rivolge a lui ma so che “sente” che è inutile, infatti ad un certo punto gli dice, “chiedo a tuo figlio di chiamarmi” e lascia diligentemente fisso e cellulare prima dei saluti struggenti.

…e adesso che c@zzo faccio, ancora una volta non posso far altro, la chiamo, risponde ai primi squilli e dalle prime parole capisce, le sue domande e le mie risposte sono ridotte al minimo, soffre, davanti a me, dignitosamente, sento l’imbarazzo e lo sconforto ma anche l’inc@zzatura per averlo perso prima di averlo ritrovato.

Poi, Wanda mi ringrazia e mi saluta con un regalo ormai inaspettato, sai, mi dice, è stato il mio primo amore, avevo quindic’anni

Sanremo 2016 – Enrico Ruggeri – Il primo amore non si scorda mai

M 50&50


giovedì 25 febbraio 2016

Sono d'accordo

Bere birra analcolica è come ascoltare per radio un film porno.

Un video di Donna Summer mi potrebbe smentire, non vivendo di certezze

mercoledì 24 febbraio 2016

Malandrini

"Albenga - Ci sono – anzi, c’erano - il Don Perignon rosé vintage da 424 euro e il Cristal da 217; per non parlare dei Veuve Clicquot, del Jean Comyn e dei Ca’ del Bosco, e di tutte le altre “bollicine” da un costo minimo di 50 fino ai 500 euro con cui i ladri potranno festeggiare il furto messo a segno lunedì notte alla bottiglieria “Malandrone” di viale Pontelungo, ad Albenga. Un colpo da veri intenditori con cui i banditi-sommelier hanno dimostrato buon gusto e alta professionalità, riuscendo a forzare la serranda e la porta che dà sul retro del negozio senza svegliare tutto il vicinato, e assicurandosi un bottino ancora da quantificare, ma che certamente varrà qualche migliaio di euro. «Si sono concentrati soprattutto sugli champagne, senza disdegnare qualche bottiglia di ottimo rhum – dice il titolare, Salvatore Salsano – E’ gente che sapeva bene come muoversi e su cosa puntare: tutte bottiglie di alto valore». I ladri hanno fatto in tempo anche a smontare l’impianto di videosorveglianza e a portarselo via. I carabinieri hanno ritrovato giusto un paio di guanti ma, a quanto pare, nessuna impronta digitale.
«Avevo speso circa 600 euro per installare le telecamere interne – continua Salsano – Ora, con alcuni vicini, stiamo pensando di comprarne altre per vigilare su via Papa Giovanni XXIII, dove si trova il retrobottega, da cui sono entrati: a guardare la serratura della saracinesca è come se l’abbiano lucidata; poi si vedono segni del flessibile e in qualche modo sono riusciti ad alzarla e a forzare il portoncino. Non so ancora quantificare quanto mi abbiano portato via, ma il bottino è di grande valore». Appena sei mesi fa, i ladri avevano colpito nel magazzino della bottiglieria, che si trova in piazza Nenni, portandosi via circa 13.000 euro in champagne. «Era domenica, intorno all’una del pomeriggio: molti residenti avevano visto il furgone con dei tizi che caricavano cartoni, ma non avevano certo pensato a un furto. Sono anche spudorati»."
Da : Il Secolo  XIX Savona

martedì 23 febbraio 2016

LEI NON SA CHI SONO IO !


"BIELLA - L'Istat non  dà scampo: i biellesi sono tra i più permalosi e litigiosi d'Italia. Il primato nella speciale classifica ce lo contendiamo con Verbania. Nel 2014 infatti il capoluogo Biellese è al primo posto nella graduatoria in fatto di denunce per ingiurie (199 ogni 100 mila abitanti). Il dato è poi confermato pure nell’arco di tempo 2010-2014."

Ma pure nel 2015 ... a volte mi difendo dichiarando il segno zodiacale: Leone, ma adesso so che anche le condizioni ambientali contano ...

lunedì 22 febbraio 2016

Il Karma del Pollo

Poulet fermiére de La Bresse aux écrevisses en fricassée
gdf

... il generico agire volto ad un fine, inteso come attivazione del principio causa effetto, quella legge secondo la quale questo agire coinvolge gli esseri senzienti nella funzione delle conseguenze morali che ne derivano ...

Si, si, come no, ma la realtà palpabile è ben altra, perché del karma del pollo non gliene frega niente quasi a nessuno, figuriamoci ai cuochi, per i quali la causa effetto è rappresentata dalla trasformazione della struttura molecolare del bipede pennuto mediante cottura.

" La cottura non prolungata dei cibi proteici è una predigestione che facilita il lavoro dello stomaco e i tempi di assorbimento."


Eleganti confezioni per il pregiatissimo cappone de La Bresse
Almeno questo, almeno il pollo non riescono a darcelo da mangiare crudo con la medesima disinvoltura di ogni altro animale. Un crudo di pollo non si è ancora visto,  o per lo meno dai tempi del paleolitico inferiore, quando l'homo erectus (antenato di Rocco Siffredi), scoprì il fuoco e tramite esso poteva finalmente trasformare la consistenza e il sapore delle carni, ed in genere dei cibi, rendendoli decisamente più digeribili, eliminando i rischi di virus e batteri, ed infine trasformandone definitivamente le sostanze tossiche eventualmente presenti, rese a quel punto inoffensive. Il crudismo è sempre stato uno sport estremo.

Poi arrivò Escoffier, e più in là Bergese, ed infine Georges Blanc, e per il karma del pollo non ci fu più pace, anche se ne uscì nobilitato dalle molte attenzioni ricevute quel presuntuoso pennuto proveniente da La Bresse, ça va sans dire, orgoglioso, come ogni varietà di bipede pennuto o non pennuto cresciuto nella terra dei Galli.

Il piatto su in alto, come spesso accade nelle citazioni e del solito Ducasse, mentre i successivi sono di Cannavino, che oltre del karma si è occupato di tutti i chakra del pollo.

From polleria Maragliano - Genova







Un giro per il Rodano in bianco ... viognier, roussanne, marsanne ... i vitigni d'elezione quando si tratta di abbinare le carni del pollame de La Bresse. Bottiglie molto diverse, anche tra di loro. Da destra, il viognier roussanne 2008 di Hervé Souhaut, poi il mitico roussanne VV 2008 di Beaucastel, il St.Joseph 2008 di Montez, il Condrieu Coteau du Vernon 2011 di G.Vernay ... insomma una panoramica profumata di pesca bianca, albicocca, mandorla amara ... glicine e violetta. 

Aperitivone by Uberti con il suo mix di cinque annate, in magnum sboccato quattro anni, e quindi diventato un vinone da pollo allo spiedo. In mezzo il sommo Corton Charlemagne Bonneau du Martray 2005 in magnum, che farà impallidire quello di Pacalet 2009.

Zona aperitivi, con gli stecchi di testa di pesci in cassetta in evidenza

Fuori onda, il bellissimo cappon magro in uscita dalla cucina

La compressione di terra: ormai signature dish de La Voglia Matta di Genova Voltri

La giardiniera di verdure con petto di pollo e gamberi marinati al balsamico ...

Prendiamo nota

Il kebab di poularde de Bresse. Molto meglio dell'originale, e provocatorio nella presentazione molto street food.  Se se  ne accorgono nel bar di fronte glielo copiano.

Questo invece sarebbe dura replicarlo. Qui ci sono frattaglie e ammenicoli vari prelevati da quattro poularde, messi in condizione di diventare un originale - e riuscitissimo- ripieno per dei ravioli liguri -quindi dalla pasta povera- ma ricchissimi di sapore. Tartufino bianco a sottolineare ancora la nobità delle frattaglie di volatile. Chapeau bas.

E' proprio un provocatore nato, e un po' mi ci riconosco in questa mascalzonata.
Brodo di zampe di pollo con limone e zenzero ...

Il cetriolo secondo Cannavino. Anche questo ormai intoccabile.

La versione " Poularde à la créme" secondo Georges Blanc.
Un bravo cuoco lo identifichi anche quando esegue una ricetta "cult" di altri
Molto buona, sia per materia prima che per la concentrazione e cremosità della salsa

La versione, ancora più antica, che mi sono permesso di proporre a Davide.
Disossata e farcita sotto pelle di tartufo nero
Ecco la ricetta

POULARDE DE BRESSE TARTUFATA :  x 4 persone
Procedimento:

Tartufare il pollo.
Tagliate le fette di tartufo nero pregiato. Staccare delicatamente la pelle del pollo facendo scorrere delicatamente le dita tra la carne e la pelle.

Mettere due fette di tartufo su ogni filetto e due su ogni coscia.

Preparare un ripieno e inserirlo nel pollo.


Saltare  i suoi fegatini 30 sec nel burro caldo, poi tritarli mescolando con del tartufo nero tritato, mollica di pane ammollata, uovo, Armagnac sfumato. Aggiungere sale e pepe. Inserire il ripieno all'interno del pollo. Cucire l'apertura. Avvolgere il pollo in una garza. Legare  entrambe le estremità. Far riposare in frigo x circa 3 ore in modo che il profumo dei sapori del tartufo penetri nella carne.


Preparare un brodo.



Mettere rigaglie di pollo in una pentola

con la cipolla, carote e sedano puliti, vino bianco, 3 litri di acqua salata,
10 grani di pepe e bouquet garni. Bollire coperto per 40 minuti.
Cuocete il pollo nel brodo.



Immergere il pollo avvolto in mussola nel brodo: deve essere interamente coperto. Con la ripresa del bollore, schiumare rimuovendo la formazione di schiuma sulla superficie. Coprire. Portare a cottura: circa 1 ora e30. A cottura ultimata, scolare il pollo, sbarazzarsi  della mussola (torcione ...) e mettere da parte per tenere in caldo. Prendere 50 cl brodo e filtrarlo.


Preparare la salsa.



Sciogliere il burro in una casseruola. Mescolare la farina, poi diluirlo con 50 cl brodo, mescolando fino a quando sarà addensato... una decina di 10 min. Mescolare la panna e tuorlo d'uovo. Versare nella salsa sbattere energicamente e togliere dal fuoco. Regolare il condimento e aggiungere del succo di limone. Introdurre la salsa.



Ingredienti.



Per il pollo



1 Bresse 2kg di pollo con il fegato e interiora1 tartufo spazzolato1 piccola scatola di tartufi sbriciolati150 g di farciaFegatini di pollo 100g2 fette di pane bianco1 uovo3 cl armagnac30 g di burrosale e pepe Per la cottura in brodo2 carote1 cipolla 2 spicchi d'aglio2 gambi di sedano20 cl di vino bianco secco1 bouquet garni sale grosso , pepe.


Per la salsa vedi sopra... Servizio: si trancia il pollo al tavolo, al gueridon, e lo si copre della sua salsa molto calda.

P.s. la stessa preparazione si può cuocere anche in forno, ovviamente senza avvolgere il pollo nel torcione, ma pennellandolo di olio aromatizzato all'aglio e cumino


Risultato ottimo, foto pessima, e abbinamento di un certo peso specifico

 Vecchio amico ...
 ... che si trova bene anche con la speziatura decisa di questo lingotto di cioccolato

La Rossa è ripassata ... ti tengono e ti teniamo d'occhio

gdf

domenica 21 febbraio 2016

Mirazur cumple 10 años



Celebrar el esfuerzo
Cumplir años es fuerte. Nos hace mirar para atrás, pensar, recordar y también proyectar. Eso es lo que estamos viviendo en Mirazur: festejamos nuestros primeros 10 años de vida y queremos compartirlo.
                                                                                      Mauro Colagreco



sabato 20 febbraio 2016

Pestando sul Pesto

gdf

E' appena finita la festa nazionale del gatto e quindi mai avrei pensato di poter immaginare quache pensata sul pesto, proprio quando rientro al faro già in zona premi e scopro esiste un campionato mondiale sul tema. Ovviamente a Genova.



Ad Arenzano sull'autobus: Avanti c'è pesto.



Ad Alassio, sul lungomare: Un pesto al sole



A Genova Sottoripa: Se non ti levi ti pesto



A Spezia, ovunque: T'impesto nel golfo



A Savona sul tardi fuori dai bar in darsena : occhi pesti



Sempre a Genova, dove suonano di notte i Buio Pesto, e dove ce ne mettono di più di aglio ... hanno un alito ? ... questa è facile.




venerdì 19 febbraio 2016

Delamotte Champagne Blanc de Blancs s.a.



Non fai in tempo a scrivere - giusto la scorsa settimana - che quasi sempre l’etichetta fa il monaco, che subito, quand même, vieni sbugiardato. Stavolta ho fatto filotto, poiché su tre flaconi, neanche mezzo mi ha convinto; per giunta dalla tipologia – blanc de blancs – che è considerata la specialità della casa.

Con la bacca bianca proveniente da 4 villaggi Gc – Oger, Cramant, Avize e Le Mesnil sur Oger – non è peregrino attendersi fuochi d’artificio o, quanto meno, la barra del minimo sindacale posizionata molto più su. Macchè, “il livello è basso”, come ricordava, mimandolo con la mano, Riccardo Pazzaglia.

Circa i profumi, li colloco non tanto in territorio “delicato”, quanto piuttosto in quello evanescente/latitante. Escludendo una buona freschezza, un discreto tocco di fiori bianchi e una flebile nota agrumata – più limone che altro – manca quello che costituisce la spina dorsale di un bdb con i fiocchi – ciò cui questa boccia ambisce - vale a dire la gessosità che, nella fattispecie dovrebbe stendere le narici.

Tutte queste debolezze trovano, malheureusement, abbondante corrispondenza in un sorso, burroso e lontanamente minerale, slegato e diviso tra confuse sensazioni acidule e dosaggio scomposto.

Tra il serio e il faceto, in ultimo, mi chiedo, se i grappoli migliori di Chardonnay non siano finiti, per sbaglio, nella cave à côté, quella con la “S”?

mercoledì 17 febbraio 2016

Un soffio


Marco 50&50

Ti mettevi in porta, al Parco Lambro,  fra un albero e l'altro, io correvo e calciavo la palla fino all'ultimo respiro, poi mettevo la mia mano nella tua e tornavamo a casa.

Il parco da qui è vicinissimo ma nessuno sta giocando, non si sente alcun rumore se non quello inquietante del silenzio, la centodieci è in fondo al corridoio a sinistra, la porta è socchiusa, entro, metto la mia mano sulla tua e comincio a piangere, fino all'ultimo respiro, un soffio.

Sergio, sul retro della foto avevi scritto, "Maria, mi manchi tanto" non me l'avevi mai detto, adesso l'hai raggiunta, viaggi con quattro anni di ritardo, ma in fondo cosa sono di fronte all'eternità, un soffio.

M 50&50


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lunedì 15 febbraio 2016

"non parlo inglese ma solo francese e tedesco"

Come dire: sono quelle le lingue della cucina, insieme all'italiano ça va sans dire.

Preparare un Special sul sommo Maestro sarà abbastanza rischioso, ma si può fare, ce la potrei fare, magari buttandola sul lato umano e personale, e mai sul tecnico.

Su quel tema, chi avrebbe il coraggio di contraddirlo?

Sono decenni che abbina le acque ai suoi piatti. Sono decenni che si interessa ad ogni forma d'arte.

Che frusta gli improvvisati e gli autodidatti e,  i suoi - tanti - allievi, più o meno riusciti ad avvicinarlo.

Comunque riusciti, e quindi, di nuovo: come contraddirlo? Il numero Uno

Intanto questo, da uno dei molti blog che si occupano di food, , almeno, li l'ho letto e con piacere lo condivido, non avendo altro profilo se non quello sotto traccia dell'armadillo.

"Mi chiedono spesso quale sia il mio “elisir di lunga vita”, il mio segreto.
A furia di sentirmelo domandare una spiegazione l’ho trovata: la curiosità.

Mi piacciono le cose nuove, da quelle piccole di ogni giorno ai nuovi prodotti, fino al confronto con l’industria alimentare.
Mi appassionano le ricerche scientifiche. Con la Regione Lombardia in questi anni ho messo a disposizione la mia esperienza per sviluppare dei modelli alimentari da far adottare alla collettività, dalle scuole fino agli ospedali.
Mi incuriosiscono le nuove tecnologie. Quando ho rinunciato ai punteggi delle guide
ho aperto un profilo Facebook perché ho capito che grazie alla rete, e poi ai social,
gli strumenti di valutazione e di informazione stavano mutando.
Ho voluto l’iPad nel ristorante Marchesi alla Scala perchè mi permetteva di presentare con immagini il piatto, fornendo al contempo tutte le informazioni nutrizionali.
In questi giorni sono stato attaccato da un coro di giornalisti – la cosidetta “critica gastronomica”, che ho l’abitudine di informare puntualmente sui miei progetti. Il motivo? Una brutta intervista raccolta da un giornalista d’assalto che, devo ammettere, con sapienza tutta strumentale,ha riportato ed enfatizzato alcune mie battute in risposta alle sue provocazioni.
Nessuno ha messo in dubbio la “buona fede” del giornalista. Piuttosto, ha fatto notizia polemizzare con me, fino all’invito a ritirarmi per “sopraggiunti limiti di età”.
Su questo mi sento di dover rispondere.
Perché mi dovrei ritirare quando ho ancora un sacco di cose da fare e altrettante da scoprire?
Sono tornato in televisione per affrontare un tema che mi sta a cuore. Il mestiere del cuoco.
Anche in questo caso ho capito che continuare a ripetere che certi programmi danneggiano la reputazione di un lavoro necessario, antico e faticoso, sarebbe stato vano. Ho pensato di utilizzare lo stesso mezzo, quello televisivo, per affermare il mio punto di vista.
E poi c’è il grande progetto della Fondazione Gualtiero Marchesi e la novità del Crowdfunding un modo contemporaneo, anche se non sarà il solo, per finanziare la partenza delle attività nella nuova sede di Varese, all’inizio del 2018.
Fino a poco tempo fa non avevo mai sentito parlare di questa forma di raccolta fondi e ancora oggi è un termine che non so pronunciare (non parlo inglese ma solo francese e tedesco). Mi sembra un’opportunità incredibile che aumenta le possibilità di relazioni e, parallelamente, informa chi è interessato a quello che facciamo.
So che qualcuno sta già commentando: “Marchesi è senza soldi!”. Anche in questo caso mi interessa lo scopo: dare una sede funzionale a una grande Accademia di alta formazione che unisce le arti e, attraverso il gusto, possa formare le persone talentuose.
Brindo simbolicamente – visto che da oltre 15 anni non bevo più! – agli amici di sempre e ai nuovi “friends”!
Gualtiero Marchesi

domenica 14 febbraio 2016

San Valentino: 19,90 tutto compreso

- AAA -

I Lupercalia. Ecco l'antica origine dell'odierna festa di San Valentino. Furono gli stessi Romolo e Remo fondatori di Roma ad istituire secondo Ovidio una festività in onore del dio Fauno, dal 13 al 15 febbraio. Era anche conosciuto come Lupercus, protettore dei greggi di bestiame assaliti dai lupi, che possiamo presumere molto numerosi in quei tempi. Oltre ai riti sacrificali con animali erano previste anche corse di uomini e donne nudi, e si può solamente immaginare cosa poteva succedere appena raggiunta la meta. Qualche secolo più tardi un Papa di nome Gelasio abolì i lupercalia in favore della più casta celebrazione di San Valentino (vescovo martire), data la crescente conversione al cristianesimo delle popolazioni. Più tardi nel Medio Evo crebbe la visione romantica della donna in tutte la letteratura europea, con le italiane Beatrice Laura e Fiammetta muse ispiratrici dei nostri tre maggiori poeti/scrittori del trecento. E come non citare Giulietta e Romeo i “Valentino” per eccellenza, esaltati postumi nella tragedia di William Shakespeare, il perfetto dramma dell'amore carnale concluso tragicamente! Oggi le cose sono abbastanza diverse, con riti imposti dal più becero consumismo, con cibi che inopinatamente prendono forma di cuore, leggende metropolitane che rendono alcuni più afrodisiaci, senza tralasciare che, come a Natale si è tutti più buoni, a San Valentino si è tutti più innamorati. Nei miei radi ricordi “valentiniani” a causa della mia attività ce n'è uno che mi portò a Mantova, città dalle formidabili architetture militari, per un incontro al buio organizzato da una comune amica, desiderosa di acquietare i rispettivi singulti amorosi. Portai per cena a L'Aquila Nigra una ragazza/donna abbastanza carina, meravigliandola per la mia scelta. Lei invece si incaricò del seguito della serata conducendomi in un night/discoteca. Ove dopo essersi lungamente intrattenuta con una sua vecchia fiamma (come ebbe a precisare), lasciandomi col cerino metafisico in mano, mi chiese se non mi fossi acceso di gelosia per l'accaduto. Ebbi l'impressione di essere ritornato al mio profondo sud per la sua inopinata uscita. Forse per darle più importanza dovevo fare o fingere di essere geloso? Ancora oggi non mi capacito. Infine finimmo davanti casa sua parcheggiati in macchina, dopo il rifiuto al bicchiere della staffa in quanto c'era sua figlia (???) che dormiva. Le proposi di passare sul sedile posteriore per stare più comodi, sperando che i tre whisky che si era ingollato avessero indebolito le sue difese virtuose. Ci spupazzammo per un'oretta, lei ansimò un paio di volte, io invece lo ebbi duro senza nessuna pietà o gesto da parte sua, a parte qualche carezza seguita da subitanea ritrosia. Finché una civetta dei carabinieri si fermò accanto. Lei tirò giù il finestrino, li salutò con la mano, ed appena ripartiti disse di essere stata riconosciuta, per cui era più opportuno per lei rientrare in casa. All'accenno del mio basso ventre dolorante, la stronza rispose che sicuramente conoscevo il metodo per eliminarlo. In albergo dovetti ricorrere all'impari lotta dei cinque contro uno per dare sollievo ai miei gemelli doloranti. Non era il giorno degli innamorati, ma la sua vigilia. Tutto si compì quella sera, a parte qualche successiva telefonata senza alcun seguito concreto. Questo il menu proposto da me l'indomani per quel San Valentino:

Trancio di piovra con frutti di mare, battuto di olive taggiasche e capperi
Terrina di salmone fresco e sogliola con salsa rosa ai gamberetti
Lasagnette impastate con erbe aromatiche al ragù di astice cotto nella sua bisque
Scampi e gamberoni Thermidor
Tortino morbido al cioccolato bianco con cuore di lamponi
Caramelle di pasta sfoglia ripiena di passata di lamponi



AAA

sabato 13 febbraio 2016

Speciale Cannavacciuolo in 20.000 battute

Premessa: Voi che leggete (eufemismo) un blog col telefono, siete esonerati dal compito.


Dice: ma sei impazzito? Un post di 20.000 battute? Ma non hai proprio un cz da fare?

Ecco, appunto, no, si, non lo so. In realtà a gratis non faccio più nulla. Si, ma, su questo special di sei articoli ci lavorai abbastanza, almeno due ore, ma l'avevo fatto su commissione, non per passione, su ordinazione, fattami, poi a pezzi, da un editore che in seguito non si è più fatto vivo.  Le virgole sono gratis.

Missing, lui e la pubblicazione dell'articolo. Non è il primo, non sarà l'ultimo. Sai com'è, loro sono Tecnici, non etici. Neppure "etnici", termine che farebbe anagrammare le lettere, fossero pure mescolate, anche se mai bonificate.

"Mi prepari uno special su Cannavacciuolo? ..." Pronti!"  Lo avrei fatto su Marchesi, o tutti e due, ma Tonino sembrava tirasse di più lo scorso autunno; invece pure l'altro non ci ha fatto mancare qualche pensiero degno di rilievo l'altro giorno.

E allora? Che fare? Buttare tutto nel cesso? No, mi riprendo le bozze e mi metto in scia alla straordinaria performance Sanremese del Tonino nazionale.

In mezzo a uova troppo sode o barzotte ed a evaporazioni saline anche a me sono evaporati tanti concetti fuori onda.

Meglio -comunque- lui, piuttosto di una necessità di Pronto Soccorso senza fiori, pieno di persone che sotto i diluvi di questi giorni - che non avete visto in tv - hanno preso scivoloni peggiori, e passando mezza giornata in Ospedale a sanremo -in minuscolo- in attesa di un responso.




Appoggio tutti i contenuti qui, così che non vadano a disperdersi sulla scogliera. 

Green Peace, se mi becca, mi fa un pippa. Ne ho una scogliera piena di bottiglie rotte e scoglionate.

N.B. Il tutto era stato scritto -per un sito generalista- alla fine di ottobre 2015, quasi quattro mesi fa, quindi qualche variazione e qualche aggiornamento andrebbe fatto nei confronti dei contenuti dell'originale, che è questo, questo bozzone senza unghie a farlo esplodere e, neppure corretto, come chi prende in giro gli autori e chi ha bisogno di soccorso. E smettiamo di chiamarlo "Pronto".

Non c'è mai pace tra gli ulivi.




Lo special di ottobre 2015 mai pubblicato, quindi, inedito
Foto, invece, di repertorio.



PROFILO DI CHEF : ANTONINO CANNAVACCIUOLO

Come si forma un vero chef di cucina

Chef! Termine tra i più usati e più abusati dai media e da chiunque apra un dialogo sui temi di cucina, ma in realtà chi è e cosa fa un vero chef ?

ORTA SAN GIULIO - Si sa presto a dire chef, termine che arriva dritto in mente, essenziale, diretto, evocativo. Si, ma: chi è e cosa fa un vero chef di cucina? Tanto per cominciare un vero "capo cucina" non è neppure sempre quello che cucina, ma bensì quello che comanda le operazioni, che dirige, che coordina. In una sola quanto efficace forma lessicale, quella utilizzata con maggior costanza dal Maestro Gualtiero Marchesi, uno chef di cucina è un direttore d'orchestra. E quindi per essere uno chef, così come un direttore d'orchestra bisogna potersi permettere di disporre di parecchi orchestrali, di una vera brigata di cucina, se no stiamo parlando di un cuoco, di un cuciniere, e non di uno chef. Ma come si diventa un bravo, o eccellente direttore d'orchestra?

LA SCUOLA - Senza studi e di conseguenza senza cultura è assai più difficile crescere intellettualmente, anche se nel mondo dell'alta gastronomia i casi di grandi chef di cucina arrivati al top partendo da autodidatti non sono affatto rari, ma andando a scavare nelle storia di questi talenti puri scopriremo che anche loro hanno avuto incontri, esperienze e studi proprio che ne hanno marcato indelebilmente la carriera, mentre nel caso di Cannavacciuolo il percorso a tappe è stato quello più classico, quello che gli ha consentito di crescere gradualmente, raggiungendo ormai il vertice, partendo proprio da una scuola alberghiera, quella di Vico Equense, dove Antonino nacque il 16 aprile 1975.

LE ESPERIENZE FORMATIVE - Lo studio è una cosa, ma la pratica è ben altro, e nel caso dello chef campano si è trattato di una pratica ad altissimo livello, all'interno di due istituzioni della cucina francese, una classica ed una più contemporanea. Stiamo parlando del mitico Auberge de L'Ill della famiglia Haeberlin, ristorante sperduto nella campagna alsaziana che vanta le fatidiche 3 stelle Michelin, quindi il massimo riconoscimento in campo culinario, addirittura dal 1967. L'altra esperienza formativa di altissimo livello, Cannavacciuolo l'ha affrontata sempre in Alsazia, ma stavolta in città, a Strasburgo, nel bellissimo padiglione vetrato che conteneva il raffinatissimo Buerehiesel di Antoine Westermann, innovatore della cucina tradizionale alsaziana già dalla metà degli anni '80. Di ritorno dall'Alsazia, la successiva tappa "educativa" fu una specie di ritorno a casa, su di un'isola tra le più belle del mondo: Capri. Qui, al Grand Hotel Quisisana, nel periodo in cui le cucine erano governate da Gualtiero Marchesi, Cannavacciuolo ritrovò i profumi di casa, e probabilmente cominciò a pensare ad una cucina trasversale, che potesse unire il nord e il sud, avendo fatte proprie le tecniche e il rigore della cucina francese, applicabili con giudizio ai prodotti del Mediterraneo.

TRA IL DIRE E IL FARE - Anni ed anni a coprire ruoli diversi nelle cucine di altri chef, ma poi che succede quando arriva il momento di "comandare" e non di eseguire? Un vero chef di cucina deve avere polso, carattere, fisicità, voce, idee, capacità di comunicazione, ma soprattutto deve dare l'esempio, dimostrandosi autorevole più che autoritario. Così facendo la brigata seguirà il suo capo senza battere ciglio, perché sa di essere in buone mani. Un capo che deve anche essere un poco psicologo, perché badare a dieci, venti o più cuochi, significa conoscerne il carattere, le attitudini e i limiti, sistemando il personale nel ruolo che più gli si confà, così come farebbe un allenatore di calcio impegnato a posizionare i suoi giocatori a seconda delle propensioni naturali. E se in cucina ne arriva uno molto bravo, non temendo la concorrenza, anzi, lasciando correre il cavallino di razza, facendosi per un attimo da parte, limitandosi ad osservare i piatti prima che il cameriere arrivi e se li prenda, per portarli davanti al giudice supremo : il cliente.




Costruzione di un carattere e di uno stile di cucina

Si può essere compositore, interprete o esecutore, sia in musica che in cucina, o tutte le cose in una, non importa, l'importante è il risultato

ORTA SAN GIULIO - La più grande cantante italiana, Mina, pare non abbia mai o quasi mai scritto le parole o la musica delle canzoni che canta o che cantava, diventando ugualmente un mito della canzone italiana. Alla stessa maniera, un grande chef affermato non deve essere per forza anche un creatore di nuove ricette, ma può tranquillamente limitarsi ad interpretare o semplicemente eseguire quanto già esistente sui ricettari, "limitandosi" a cercare l'anima di una preparazione, partendo dalle migliori materie prime, trasformandole utilizzando le tecniche più opportune, arrivando finalmente alla migliore esecuzione di una ricetta classica. Di solito è meglio cominciare così, e con gli anni sperimentare gradatamente nuove tecniche, modificando ricette, cercando di raggiungere la sintesi, la purezza, l'essenza, la bellezza e la bontà assoluta di un piatto.

DUE VOLTE AL GIORNO - La difficoltà di realizzare o codificare un piatto che rasenti la perfezione non è però il principale ostacolo per lo chef abile ed ambizioso; la complicazione primaria è farlo più volte sempre al meglio -uguale è impossibile- diverse volte durante un servizio, e tutto quanto due volte al giorno. Proprio per questo è importante che la presenza dello chef in cucina, o di chi lui ha delegato al ruolo, sia continua ma non assillante. Prima del servizio ci si assicurerà che ogni capo partita abbia preparato la propria "linea", di qualità e quantità congrua, così che quando sarà il momento di mettere in scena lo spettacolo, strumenti e musicisti siano nelle migliori condizioni per cominciare quella che deve essere paragonata ad una rappresentazione teatrale che mai sfoci nel dramma o nella tragedia.

VICO EQUENSE ORTA SAN GIULIO COAST TO COAST - Cost to cost, nei primi anni di carriera, a partire dal 1999, quando Cannavacciuolo prese in mano le redini -insieme alla moglie Cinzia Primatesta- del Villa Crespi di Orta San Giulio, l'influenza del sud era visibilmente marcata nei suoi piatti, ed è naturale che questo accada, specialmente a 24 anni, quando, anche se qualcosa hai già visto al mondo, ma non abbastanza da poterti discostare con sicurezza dai profumi e dai sapori che meglio conosci. Ma uno chef di successo, lo diventerà ancor più facilmente, ed in meno tempo di altri, se avrà il fiuto o la fortuna di incontrare collaboratori di qualità, di personalità e di stile; tutte doti che andranno gestite e non represse, per il bene dello chef e del suo ristorante, che comincerà a crescere di livello, e dove i piatti possano pian piano definirsi e rendersi riconoscibili da quelli che si possono mangiare altrove. E' nata così, nel tempo di tre lustri, una cucina trasversale che non ha paura di gemellare il sud ed il nord, tagliando idealmente l'Appennino, congiungendo prodotti, sapori e profumi che prima appartenevano al Piemonte o alla Campania, mentre ora si sono fusi ed armonizzati in piatti che riuniscono non solo i caratteri di regioni così diverse, ma delineano quello che è uno stile di cucina propria, quella che si definisce "cucina d'autore", quella che si declina attraverso piatti che sono dei "signature dish", i piatti simbolo, quelli che al primo sguardo dell'appassionato non saranno riconducibili a nessun altro se non al suo autore.

UNO STILE PERSONALE - Cannavacciuolo è credibile ora più che in passato, ovviamente per la naturale maturazione di un uomo, ma anche per via di una maniera di porsi naturale, perché oggi per avere successo è indispensabile dimostrare di avere stile, maniera, fisicità, look e altri accessori costruiti ad arte ed utili a diversi scopi, ma il suo successo, anche mediatico, è principalmente dovuto alla sua naturalezza. Insomma, la sensazione è che sia proprio così e non interpreti una parte. Se entrassimo senza preavviso nella cucina del Villa Crespi, probabilmente lo sorprenderemo mentre spiuma piccioni o pulisce una cassetta di calamari, mentre venti cuochi gli girano intorno, a loro volta impegnati in mille compiti diversi. La famosa pacca sulla schiena arriverà come conseguenza all'intrusione, ma accompagnata da un saluto con accento napoletano e con un sorriso accennato, così come siamo abituati a vedergli fare in televisione, ingannevolmente minaccioso. L'apparire burbero ma non esserlo ha fatto si che ogni fascia di età si possa riconoscere nel gigante buono e protettivo, infine amichevole, ma di carattere, così come i suoi piatti, comprensibili perché ricchi di sapore e di carattere.



Un volto ed un fisico per la TV e la pubblicità

Il caffè, il gorgonzola, Cucine da Incubo e Master Chef. Come condividere pubblicità e televisione con il management di almeno tre ristoranti?

MILANO - A metà dicembre andrà in onda la quinta edizione di Master Chef, dove Antonino Cannavacciuolo affiancherà i tre giudici delle precedenti edizioni : Carlo Cracco, Joe Bastianich e Bruno Barbieri. Tutto quanto è già stato registrato la scorsa estate, e nonostante qualche cavillo contrattuale, tutto dovrebbe essere già stato montato e messo a disposizione per l'inserimento nel palinsesto di Sky. Sempre in dicembre, lo chef campano sarà impegnato nelle registrazioni dell'altro programma, quello che lo vede invece protagonista a risanare improbabili gestioni di Cucine, appunto, da Incubo. Come conciliare questi impegni con gli impegni di cucina?

CAFFE' E GORGONZOLA - Intanto sarebbe interessante spiegare come si può arrivare ad ottenere ingaggi ben remunerati nel settore televisivo e in quello legato all'advertising. Un tempo i grandi chef si dedicavano unicamente al loro ristorante, dove sostanzialmente vivevano come reclusi, non occupandosi di altro, a difesa di onori e sopportando gli oneri. Al massimo potevano fare una comparsata -come ospiti- in una trasmissione televisiva, gratis e una tantum, mentre i più famosi potevano fare qualche soldo promuovendo un prodotto sui media. Da quel tempo le cose sono parecchio cambiate, anche grazie alle agenzie di pubbliche relazioni, che sono in grado di creare una rete di contatti che daranno origine ad un tourbillon di comunicazione mirata alla costruzione di un personaggio, definendone i contorni, plasmandone i contenuti, innalzandone la reputazione, mettendolo infine al centro di un progetto, di solito ben pagato. Degli impegni televisivi si è detto, e sono quelli in buona sostanza la causa della chiusura prolungata del Villa Crespi, perché, per quanto difficoltoso da conciliare con i mille impegni, Cannavacciuolo ci tiene molto a garantire la sua presenza nelle cucine della Villa, motivo per il quale la chiusura annuale della Villa viene spesso prolungato oltre i motivi legati al clima invernale sul Lago d'Orta, anche a scapito degli incassi, evidentemente ben compensati dagli introiti alternativi.

LA FACCIA E IL FISICO - Più lo conosci, più ti piace. Slogan perfetto, che identifica un prodotto con il suo testimonial, anche se Antonino è campano e il formaggio gorgonzola piemontese o al massimo lombardo. Comunque sia, grazie a quella faccia da falso burbero e a quell'espressione un po' monella, la convinzione che quel formaggio sia il tuo prossimo acquisto alimentare si farà largo in fretta nella mente dei più, e in maniera di nuovo trasversale, come la sua cucina. Anche l'effetto sorpresa aiuta, perché mentre ti aspetteresti di vederlo alle prese con una mozzarella di bufala campana te lo ritrovi a promuovere uno dei formaggi simbolo del nord, che possiamo immaginare ora molto più venduto anche al sud. Sul caffè il gioco di ruoli è invece diverso, avendo il creativo voluto evidenziare un dualismo, una estrema diversità già nel fisico dei due protagonisti, e tra la cucina rassicurante e concreta di Cannavacciuolo con quella a tratti visionaria e surreale di Ferran Adrià, ma dove il punto di incontro arriverà al momento di prendersi un caffè, magari insieme allo chef, nel giardino di Villa Crespi, mentre passanti entusiasti bloccano l'auto, scendono ed entrano dal grande cancello domandano se è possibile farsi fare un autografo dal celebre chef, che vuole essere popolare anche al momento di un caffè, evitando volutamente di utilizzare le micro produzione artigianali di guru della torrefazione, che di benefici ne porta solo a loro stessi.



Villa Crespi, una storia di alta cucina italiana

Risale al 1879 la costruzione di questa dimora, che solo oltre un secolo dopo fu trasformata in un albergo con annesso ristorante.

ORTA SAN GIULIO - La storia di questa curiosa e originale struttura è abbastanza nota, soprattutto le origini e le motivazioni che generarono un sogno diventato realtà. In dettaglio, Villa Pia, nome originale della villa, fu fatta costruire dal grande industriale tessile lombardo Cristoforo Benigno Crespi, che in seguito la dedicò alla moglie Pia Tavelli. La villa, commissionata all'architetto Angelo Colla, è conforme allo stile Moresco, come fosse un ricordo di viaggio, e destinata ad un utilizzo stagionale, come residenza estiva o per ospitare amici e clienti della famiglia Crespi, che rimasero proprietari dell'edificio fino al 1929, nove anni dopo la morte del fondatore, che se andò alla bella età di 87 anni, godendosi a lungo la sua Villa Pia.

L'EPOCA DI MEZZO - Fu la famiglia Fracassi a subentrare, esattamente 50 anni dopo la costruzione della villa, epoca nella quale la villa diventò meta di aristocratici, poeti, letterati, artisti, politici ed industriali, fino a ricevere Sua Maestà Re Umberto I di Savoia. La seconda guerra mondiale non poteva che portare cambiamenti importanti, quando non devastanti, e anche qui le cose cambiarono, ma alla fine del conflitto mondiale. Nel 1945 la villa passò di uovo di mano, anche se solo per quattro anni, periodo nel quale appartenne alla famiglia Cardano. Il seguito della storia diventa abbastanza opaco. Nella villa si insediarono i Comitati Civici, organizzazioni finalizzate all'educazione e alla mobilitazione civico politica del cattolici in Italia. In seguito o quasi di conseguenza, Villa Crespi divenne un centro di spiritualità, collocata così vicino al Sacro Monte di Orta da sembrarne quasi un logico prolungamento.

HOTEL E RISTORANTE - L'edificio comincia a trasformarsi internamente ed a essere restaurato esternamente -dopo anni di degrado- tra la fine degli anni '80 e l'inizio degli anni '90 , quando un avvocato campano ne li rilevò la proprietà e diede il via ai restauri, e in seguito ne concesse la gestione alla famiglia Bacchetta, il cui chef, Natale, deteneva già una stella Michelin nel ristorante Atrium di Borgomanero, stella Michelin confermata anche a Villa Crespi, che dalla metà degli anni '90 poteva quindi offrire una tavola stellata, sei camere ed otto appartamenti di lusso, compatibilmente con la complessa conformazione di scale, porte, muri e soffitti. Villa Crespi resterà una tavola stellata fino all'edizione 1998 della Guida Rossa.

LA FAMIGLIA PRIMATESTA - Nota famiglia di albergatori della zona, e anche proprietari dell'Hotel Approdo di Pettenasco, un delizioso albergo "les pieds dans l'eau", posizionato direttamente sulla sponda sinistra del Lago d'Orta, a pochi chilometri da Villa Crespi, che la famiglia rilevò, restaurò nuovamente, e mise a disposizione di Antonino Cannavacciuolo (anche marito di Cinzia Primatesta)  a partire dal 1999. Cannavacciuolo aveva solo 24 anni. La responsabilità sembrava eccessiva, ed in effetti anche il Bibendum fu prudente, cancellando la Villa nell'edizione 1999 della Guida e facendola rientrare con le tre forchettine rosse nel 2000. Ci vollero altri anni prima che la Michelin ricompensasse nuovamente Villa Crespi di una stella, nell'edizione 2004, aggiungendo la seconda tre anni dopo, nell'edizione 2007. A coronare il sogno, arrivò anche un plus assai prestigioso, e cioè meritare di entrare nell'esclusivo club associativo Relais et Chateaux (2012), in attesa, incrociando le dita, delle ormai meritatissime tre stelle Michelin.



Il Boscareto Resort, lusso e voluttà tra i vigneti delle Langhe

La proficua consulenza di Cannavacciuolo ha felicemente "esportato" lo stile di cucina trasversale dello chef campano anche tra le colline vinicole più prestigiose d'Italia.

SERRALUNGA D'ALBA - I primi giornalisti che arrivarono qui furono colti di sorpresa da tanto ardire architettonico, soprattutto perché "tanto osare" venne messo in opera in una regione, in uno distretto enogastronomico dove la tradizione si è sempre opposta agli eccessi della modernità. Forse si aspettavano un Castello Sabaudo sobriamente messo in condizione di sopportare il nuovo millennio, oppure una signorile villa dell'Ottocento, o ancora, un palazzo del Settecento, ma come primaria possibilità, un edificio rurale trasformato in Relais di campagna. Niente di tutto ciò, e quindi i pareri e le opinioni si spaccarono prevedibilmente in due. Ma, superato lo choc dell'esterno, che come tutte le esteriorità va approfondita, i primi fortunati che entrarono in questo resort aperto nel 2009, si resero conto di quanto fosse più importante il contenuto del contenitore.

UN PROGETTO AMBIZIOSO - Il Boscareto Resort è da subito identificabile in un bellissimo albergo cinque stelle lusso, di proprietà della famiglia Dogliani, ed è collocato su di una collina vitata a Nebbiolo. Da qui si gode di una vista estesa sulle Langhe, e anche oltre, nel mezzo del silenzio assoluto, dove la giornata può trascorrere serenamente tra la zona colazione, il bar, la SPA e la piscina, dopo essere scesi da una delle 38 camere o suite arredate ton sur ton con materiali di pregio come l'acero tinto. Lavabo in cristallo e vasca idromassaggio indicano chiaramente uno standard haute de gamme, salendo di livello, potendosi o volendosi permettere qualche notte nella Silver Suite, Gold Suite o Platinum Suite.

IL RISTORANTE LA REI - All'interno di un simile albergo non poteva mancare un ristorante di assoluto rilievo, che completasse l'offerta in maniera congrua e coerente, e così, nell'ampia e moderna sala, dalla cucina parzialmente a vista, iniziarono da subito ad uscire piatti che potessero collegare il luogo con il suo circondario. Dapprima la consulenza fu affidata all'esperienza di piemontesi DOCG come la famiglia Vivalda dell'Antica Corona Reale di Cervere (ristorante due stelle Michelin), mentre da due anni è proprio una brigata che opera sotto la supervisione di Antonino Cannavacciuolo a reggere l'impatto con una clientela esigente, preparata sia sui temi enologici che gastronomici. Il ristorante può fregiarsi di una stella Michelin, quasi prudenziale tenendo conto dello raffinatezza dei piatti concordati tra Antonino Cannavacciuolo e il suo ex sous chef a Villa Crespi Pasquale Laera.

CUCINA IN EVOLUZIONE - La saggezza e la capacità di un grande chef si rivela anche nella capacità di lasciar fare, quando si rende conto di aver a che fare un bravissimo cuoco under 30, che partendo (nel 2013), dal riprodurre al meglio alcuni piatti che ben conosceva e che eseguiva a Villa Crespi, ha poi proceduto con giudizio in direzioni diverse, personalizzando con il passar del tempo la carta del ristorante del Resort Boscareto. Il pesce e i profumi del sud restano protagonisti, a fianco dei sapori piemontesi, ma del resto Pasquale è pure lui uomo del profondo sud, per la precisione pugliese di Putignano, e quindi conosce assai bene i prodotti del mare e di quelle terre. Ovviamente, anche qui a La Rei, il servizio e la carta dei vini sono coerenti a tanto lusso e voluttà, e non potrebbe essere diversamente, tra un "crudo di scampi, insalata di rape e burrata" ; o un "piccione, grano Senatore Cappelli e "Seiras dal fen" ... E' chiaro, anche qui la Penisola si accorcia e si taglia verticalmente, concentrata e francobollata in piatti connotati dall'evidente personalità degli chef Cannavacciuolo - Laera.



Novara, il nuovo Caffè Bistrot Cannavacciuolo

Quasi nessuno grande chef può ormai fare a meno di uno spazio bistrot, dove poter democratizzare la propria "alta cucina", semplificandola e rendendola disponibile ad ogni portafogli.

NOVARA - Una città gastronomicamente marginale, da sempre. Conta circa 100.000 abitanti la "piccola Milano" ma evidentemente scarsamente interessati all'alta cucina. Solo un locale degno della stella Michelin, da lustri, e perfino marginale alla città. Si chiama Tantris, originariamente collocato in frazione Lumellogno ed ora in località Vignale. Questo è ciò che offre la città quando parliamo di ristoranti degni di apparire con menzioni di rilievo nelle principali guide gastronomiche. Mettersi in gioco qui è una bella sfida, ma ad Antonino Cannavacciuolo non mancano certo le idee, le energie e i buoni contatti per riuscire nell'impresa. La sua capacità di fare squadra, di creare brigate alternative a quella di Villa Crespi è una prerogativa della sua personalità, quindi attendiamoci un periodo di rodaggio, e poi si valuteranno i risultati.

BISTRONOMIA - In giro per l'Europa se ne contano ormai moltissimi di questi locali, alcuni polivalenti, altri mirati e focalizzati con precisione su una cucina semplificata, ma originata da una matrice di gran pregio. A volte questi locali affiancano, anche fisicamente, la casa madre, quando questo è possibile, mentre nel caso di Cannavacciuolo, questo non è possibile, perché Villa Crespi non consente una doppia vocazione. Quei muri non si possono spostare, non si possono proprio toccare, e quindi la scelta è caduta su un edificio comunque storico, individuando nella cornice dello storico (ottocentesco) Teatro Coccia di Novara, la sagoma di una struttura dove inserire il suo concetto di "caffè bistrot", qui, in un Teatro che rappresenta uno dei principali monumenti dedicati alla lirica dell'intera nazione, tema che ritroveremo nella declinazione dei piatti in menù.

DIVERSI LIVELLI - Si può essere alla portata di tutti anche disegnando percorsi diversi per poi giungere ad una comune soddisfazione. In questo caso gli spazi, arredati modernamente con stile pulito e luminoso, si differenziano, come evidenziato nell'insegna, in spazio caffè e spazio bistrot. Come prevedibile, al piano terra si resta fermi al criterio di base di un moderno bar poli funzionale, dove servire cose semplici e dirette, ma senza dimenticare attenzioni oggi fondamentale, quindi rispettando i criteri vegani, vegetariani, o che salvaguardino i celiaci.

CANNAVACCIUOLO BISTROT - E' inevitabile, e ne abbiamo avuto riscontri in parecchie occasioni. Che cosa? Che un grande cuoco, anche se si impone il principio di appianare, di ridurre e di asciugare la sua esuberanza a favore di una semplificazione delle ricette e di conseguenza della sua proposta gastronomica, inevitabilmente con il passar del tempo tenderà -se ben supportato dallo staff- ad incidere progressivamente nella direzione che meglio conosce, quella dell'alta cucina d'autore. Qui la sua mano si vede, proprio la mano, decorata in calco su ogni piatto servito, che esce dalla cucina a vista, perché non c'è nulla da nascondere, neppure la "manona" dello chef imposta un po' a modo di firma nella decorazione delle ceramiche. Questo dettaglio, che ricorda la sua celebre pacca, ma che è lì anche forse per rammentare a tutti, clienti e dipendenti, che lui è lì con loro, per aiutarli a gestire una nuova avventura, tra i muri di questo palazzo, e quando il clima sarà un po' più clemente e la bella stagione si avvicinerà, anche nella bella terrazza del Cannavacciuolo Bistrot&Caffè.



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