lunedì 31 marzo 2014

Intervista a Massimo Sola sulla rotta Roma - San Diego

gdf + Massisol

Guardiamo avanti chef, accantoniamo il passato: lo stellato Quattro Mori di Varese, l’avventura marina ai Bagni Nettuno di Borgio Verezzi e poi l’esperienza Relais & Chateaux veronese, a L’Arquade di Villa del Quar. Stelle Michelin, cappelli dell’Espresso, forchette e  89 punti  del Gambero Rosso. Andiamo oltre Massimo, partiamo da Roma. Due anni a Eataly-Roma coprendo il ruolo di executive chef che cosa ti hanno insegnato professionalmente?

Molto: ho preso coscienza di poter condurre equilibratamente una brigata che arrivava fino a 70 cuochi e produrre un numero di coperti incredibile, senza mai cedere sul piano della qualità. 1.300.000 (un milione e trecentomila ) pasti serviti all'anno e 27.000.000 di euro di fatturato per il segmento ristorazione.


Una vetrina di prima grandezza come Eataly Roma consente di fare tante conoscenze; qualcuna in particolare?

Tutto il mondo del food del wine ci è passato. In dettaglio voglio ricordare i più grandi chef italiani contemporanei, per i quali e con i quali ho realizzato serate con loro e con i loro piatti.

Una serata particolarmente emozionante?

Beh, quella con Gualtiero Marchesi. Cucinare i suoi i piatti mentre il Maestro ti osserva…


Il tuo parere sintetico su Farinetti?

Sicuramente un grande imprenditore...


E allora perché dopo due anni hai deciso di cambiare di nuovo aria?

L’America chiamava, e dall’Italia non ho invece ricevuto avuto segnali abbastanza convincenti.


Un’altra fuga di mano d’opera pregiata dall’Italia insomma. La California, perché la California?

Perché due imprenditori veronesi, i fratelli Anselmi che mi avevano conosciuto a tempi di Villa del Quar hanno deciso di investire laggiù, e mi hanno chiamato per un parere. Il progetto degli Anselmi's Brothers mi è piaciuto: et voilà!


Che cosa stai facendo a San Diego; dove ti dobbiamo venire a trovare?

Appunto, a San Diego, città turistica di un 1.300.000 abitanti, in cui, durante l’anno ruotano 33.000.000 di turisti. Il locale si chiama Pan Bon ed è disposto su due livelli al piano terra di un grande grattacielo alle porte di little Italy. 1000 metri quadrati con ristorante da 90 coperti, panetteria, pasticceria e gastronomia da asporto. Aperto 18 ore al giorno. Un locale che può sfamare 800 persone al giorno.


Che cucina vuoi proporre da quelle parti; italiana a fusion?

Assolutamente italiana, utilizzando prodotti italiani, evitando i tanti prodotti taroccati che sembrano solo italiani.


Avremo dunque in California un Ambasciatore della più schietta cucina italiana. Sei convinto di aver finalmente trovato l’America?

Incrociamo le dita, ma è innegabile che il progetto, ormai in fase di completamento, promette bene.


Dunque, quando ci vediamo a San Diego?

In autunno, e finito l’orario di lavoro ce ne andremo a piedi in Mexico, a bere un Margarita a Tjuana

E vada per Margarita e Iguana in Tijuana, non sarà l'ultima delle cose strane che abbiamo fatto...

... insieme ad una vera Caesar Salad eseguita in diretta al tavolo del ristorante del Caesar Hotel http://www.hotelcaesars.com.mx/

...eccerto chef, non ci faremo mancare nulla neanche stavolta...

GDF
...I wish i was in Tijuana / eating barbecued iguana

I'd take requests on the telephone / i'm on a wavelength far from home
I feel a hot wind on my shoulder / i dial it in from south of the border...


Massimo Sola

Pan Bon Restaurant Cafè
Grattacielo Ariel
San Diego
California


domenica 30 marzo 2014

Aoc Champagne Blanc de Noirs Brut s.a. Fleury


- By Dj Il Duca -


Pinot Nero in purezza per un oro d’antan nel calice, con una fine e persistente bollicina. L’impianto olfattivo è ricco, intenso e affascinante. Si dichiarano, in splendida forma, note di panificazione, fruttini rossi di bosco – lampone, ribes e fragolina – intrecciati da affermati sentori di agrumi – cedro e mandarino – all’interno di una cornice minerale di gran definizione.

Tutta questa ricchezza e complessità, trova abbondanti e convincenti conferme al palato. Bocca freschissima e profonda, equilibrata e cremosa, che riprende, accuratamente, il resoconto olfattivo, enfatizzando l’orditura tra espressione agrumata e minerale, con rimandi di speziatura dolce. Sorso strutturato e di gran pulizia, con persistenza di gran classe, da fuoriclasse.
Stratosferica l’accoppiata con risotto al nero di seppia.


Fleury non sbaglia, così come voi non sbaglierete nel sceglierlo.


sabato 29 marzo 2014

I sogni non muoiono all'alba

- Marco 50&50 -

Abbiamo prenotato per pranzo, puntuali varchiamo…contrordine la porta del locale è chiusa. Il guardiano fa una faccia delle sue, prova col cellulare poi col fisso, la segretaria contribuisce a delineare sul suo volto un’espressione di stranito stupore.

Aprono all’una, passeggiamo lungomare, all’una e zero tre ci presentiamo, ci chiedono di aspettare qualche minuto, incrocio lo sguardo del guardiano, sembra sorridere io un po’ meno. Tutti i tavoli sono apparecchiati , per noi ne stanno preparando un altro in un angolo infelice, chiedo spiegazioni in mezzo toscano, ma il resto della sala è prenotato.

Appoggiano sull’unica tovaglia non stirata un cestino del pane dall’aspetto poco invitante e l’acqua per me, lasciandoci la lista dei vini ci lasciano sempre più perplessi. Arriva lo chef, ci porge il benvenuto informandoci che secondo lui questo è il miglior benvenuto della cucina, oggi niente menù, siamo nelle sue mani, speriamo ci sia spazio anche per il manico delle padelle. Adesso anche il guardiano ride un po’ meno.

Optiamo per bollicine a tutto pasto, arriveranno tiepide chiediamo del ghiaccio, ci portano qualche cubetto, forse per allungare, l’agonia. Quando arriva la zuppetta di vongole realizzo che l’erosione delle spiagge avviene anche per un altro motivo, chiedo spiegazioni al cameriere, riferirò in cucina ci dice scusandosi, poi torna con un’altra versione ma non della zuppetta, ha detto lo chef che le vongole sono come le noci.

La musica in sottofondo sembra studiata per l’occasione i timpani picchiano forte sui timpani noi perdiamo l’uso della parola e dell’udito. Ci vengono serviti in un unico piatto un bis di primi, posano a metà strada tra me e il guardiano un piatto tondo con decorazioni anni ottanta sul piatto e nel piatto, le trofie sono un trionfo di sale, il piatto di riso scotto e sciocco mi sciocca, il guardiano ormai l’abbiamo perso.

Tento in solitario una timida lamentela, controbattono, in cucina non sanno più cosa fare con noi, un piatto ci sembra salato, un altro insipido, decidetevi o accontentatevi di quel che serviamo in questo convento. In effetti il secondo ben presentato ci riconcilia, ma l’abito da monaco del cappuccino di seppie non smentisce il proverbio, noi non pronunciamo verbo.

Il dolce ci viene servito assieme alla spiegazione, è una torta anomala a forma di onda, che non contiene per scelta tecnica uova burro farina e zucchero, abbiamo seguito l’onda del momento cercando, come sempre, di soddisfare il cliente con un dolce poco calorico, interessante dal punto di vista nutrizionale senza dimenticare il lato estetico, la macchina del guardiano però, si è rifiutata di fare la foto.

Il caffè è lungo, leggero e tiepido, il guardiano, non vinto, chiede dell’anice, gli portano un ghiacciolo. Col conto la spiegazione, eravate abituati troppo bene, ma non vi bastava mai, c’era sempre qualcosa non di vostro gradimento, ma sappiate, mentre il tono della voce si alza di un paio di ottave, non siamo tenuti ad essere in orario se voi non lo siete, non siamo tenuti ad omaggiarvi con il benvenuto della cucina, né con la piccola pasticceria, non possiamo dare a tutti i clienti il tavolo migliore, non possiamo indovinare sempre la temperatura del vino e il bicchiere giusto, non possiamo entrare nelle vostre teste… e mentre noi ci guardiamo e non riusciamo ad aprire bocca …non possiamo garantire che non passi un granello di sabbia,  la musica che piace a tutti non esiste, lei vuole la luce per le foto, la coppietta vuole la candela, il manager vuole la connessione Wi Fi e  il silenzio assoluto, ma ordina i piatti mentre parla a voce alta al telefonino.

Non possiamo sopportare i vostri modi spocchiosi, ma quest’aria di supponenza da dove arriva, pagate e poi aria… La bocca rimane chiusa ma io e gdf abbiamo gli occhi spalancati …passi le richieste assurde sul vino e sulla temperatura di servizio, passi la fissa delle foto e relative incomprensibili e penalizzanti recensioni, passi il tono saccente, adesso parlo io (noi siamo ancora muti) pagate in fretta e poi passi lunghi e ben distesi, dimenticavo, dopo le ultime fregature accetto solo contanti.

Guardiamo le nostre carte sapendo che non ci faranno credito, mentre stiamo lavando i piatti mi sveglio, sono sudato e stranito, la seconda cosa che faccio è chiamare il guardiano.

Pronto Roberto, ho fatto un sogno pazzesco, tu dove sei…
Sono a pranzo, la sala è deserta, mi hanno assegnato un tavolo in posizione strategica tra l’ingresso e la toilette, hanno aperto con mezz’ora di ritardo e come benvenuto delle cucina è  arrivato lo chef a mani vuote e senza menù
Tra i gusci, in spiaggia, troverai una vongola sopravvissuta e il conto salato quasi quanto le trofie al pesto.
E tu come lo sai
E’ una storia lunga

M 50&50

venerdì 28 marzo 2014

Indovina il


gdf


Nuovo di pochi mesi fa, peccato che non avevo in tasca una macchina fotografica buona, e allora, con la vecchia, dei tempi dei pg, ma non la Sony, anche prima dei vg, eccomi qui a fare come si usa, il quiz




giovedì 27 marzo 2014

Il settimo elemento

gdf

Ci sono sicuramente tre cose che mi destabilizzano l’equilibrio, pensavo di più. Diciamo che se ne sono aggiunte altre a quelle tre, una delle quali è L’Amarone, non importa di chi, perché in ogni caso, dopo averne bevuta mezza bottiglia mi sento alterato e amareggiato come uno scrittore parigino di fine Ottocento marinato nell’assenzio. Potrei prendere a schiaffi chiunque dopo mezza bottiglia di Amarone, anche la più bella del Moulin Rouge, oppure cadere dalla sedia nel vano tentativo, appunto.

La grintosa e gustosa zuppetta di acciughe e verdure al vapore con germogli piccanti

Un’altra cosa che recentemente mi ha destabilizzato è stato un strano invito. Mi hanno invitato alla Riunione Condominiale, praticamente un ossimoro, o se vogliamo buttarla sul lato del colmo dei colmi, il colmo di un Guardiano del Faro è proprio partecipare ad una riunione condominiale. Cose strane, come quella scacchista vegana che si rifiutò di mangiare sia il cavallo che il pedone. O ancora, il buon produttore di Pigato tre bicchieri e dintorni, che accompagna con i suoi vini questo menù, ma che ci dice che quello che a tutti piace di più non è in vendita (!?). E quel giornalista RAI che esordì in video dicendo: aspettiamo notizie... non andate via. Come no, intanto vado a dirottare un tram su rotaia per distrarmi.

La coraggiosa, ma ben riuscita composizione di: tartare di palamita con spinacino fresco e la triglia marinata e leggermente affumicata, giardiniera di verdure, maionese alla colatura di alici, salsa di cavolo rosso e sancrau... siamo tranquillamente andati ben oltre il settimo elemento

Anche le personalità fredde e instabili, come lo può essere l'incontro con un orso bipolare (ci vuole un attimo ma poi arriva…) mi spiazzano, così come un piatto con sette elementi. Me lo ribadiscono alcuni cuochi ormai affermati che i loro colleghi in via di crescita passano un periodo iniziale di minimalismo frutto della prudenza, ma poi, preso coraggio, si lanciano in spericolate sperimentazioni, caricando sul piatto tutto quello che trovano in frigo. Non è stato questo il caso, ma quando si alza il tiro si rischia di mandare la cannonata fuori dal bersaglio e spaccare altro.

Il complicato assemblaggio tra St.Jacques arrostite in riduzione di Franciacorta e panna acida, asparagi e germogli dolci e piccanti.


Finito questo periodo, finalmente approdano ad un secondo stadio di minimalismo -almeno secondo i saggi della casseruola- stavolta non più timorosi, avendo fatto buon viso ai cattivi piatti dei colleghi,  e quindi ritrovando il senso breve per arrivare alla centralità del gusto, quel senso unico, quel senso di sicurezza che li porterà ed eliminare il superfluo, arrivando ad un equilibrio stabile e non più precario. Questo l'obiettivo, questo il bersaglio da centrare, anche senza usare il cannone.

Avventuroso ( me ne siamo usciti vivi ) viaggio al centro di un hamburger di gamberi al vapore in schiuma di latte all'aglio, caviale sevruga e carciofi cotti nel carbone profumato alla cipolla

La sintesi ritrovata nel miglior piatto della frizzante serata: cappelletti di seppia in brodo di seppia al nero, polvere di pomodoro essiccato.

L'ardito trancio di branzino sopraffà i fagioli di Conio stufati, anello croccante e riduzione di Pigato all'alloro e al salame di Varzi. Sembra precario ma il tutto regge. Qualcuno direbbe:  pleonastico l'anello croccante che contiene i fagioli... ma a Giorgio Servetto piace che il piatto sia ordinato.

Così mi piaci, colpo di minimalismo gourmand: crema di asparagi al cioccolato

 
Due dessert in uno: ricotta di pecora con chinotti canditi e gocce di cioccolato; granita di Moscato.


Ridotto a sciabolare con una spatola da lasagne...

... di fronte al preoccupato Matteo Pastrello, sommelier di Villa Crespi

 il faro condominiale
gdf

mercoledì 26 marzo 2014

Una generazione di fenomeni


del Guardiano del Faro


“Ascolta ragazzo, questo piatto non va bene; cioè, voglio dire, va bene ma non per questo ristorante. Ti voglio domandare: sai perché il nostro ristorante ha tre stelle da decenni e altri meritevoli ne hanno solo due? Per una questione di dettagli, e quindi quella fogliolina di dragoncello, te lo ripeto, va messa nello stesso senso in cui vedi disposto l’astice, e non perpendicolare. Chiaro?”

Belle queste due foto. I due amiconi reggono il lenzuolo da fotografo, che in realtà è una tovaglia. Agli appassionati di alta cucina brilleranno le pupille. La foto dovrebbe essere una sola, credo, ma sul libro su cui l’ho rinvenuta è stata stampata spezzata in due, metà sulla pagina a sinistra e metà sulla destra, ma quel che conta è quello che fecero e che stanno facendo questi otto chef modernisti, riunitisi nel Groupe de Huit, chiamati a suo tempo da Marc Veyrat per rinnovare e donare una nuova visione alla Nouvelle Cuisine di Paul Bocuse, nel segno dell’amicizia e del rispetto delle rispettive cucine, delle proprie peculiarità.

Il presidente, Marc Veyrat, classe 1950, è l’unico col cappello, il suo cappello mediatico, mentre gli altri non lo portano neppure, neppure quello da cuoco, come si usava ai tempi di Bocuse, soprattutto quando ci si esponeva al pubblico. Nessuno tiene le mani e le braccia con la medesima postura. Non credo sia una situazione voluta dal fotografo. Hanno l’aria di quelli che stanno per combinare una marachella, lo si intuisce dalla maniera con cui si porgono, esposti e non nascosti, davanti ad una lunga tovaglia ancora bianca, pronta per essere imbrattata.

Citato Veyrat, nell’ordine gli altri: Olivier Roellinger, classe 1955; Michel Bras, classe 1946; Jean Michel Lorain, classe 1959; Michel Troisgros, classe 1957; Alain Passard, classe 1956; Jacques Chibois, classe 1952 e infine Pierre Gagnaire, classe 1950.  Classe, gran classe e concretezza.

A guardare meglio i millesimi di nascita, forse solo Bras può essere considerato di mezza generazione diversa ma dal talento comune, sicuramente diversa rispetto al più giovane del gruppo, Jean Michel Lorain, curiosamente anche il meno dotato, secondo me, anche se come tutti gli altri –a parte uno- prese e presero le tre stelle Michelin. Non Chibois, che ci arrivò in promessa, poi non mantenuta perché decise di voltare la barra di navigazione in una direzione diversa.

Questi eterni ragazzi, con l’esclusione di Roellinger, sono ancora tutti ufficialmente in attività, e nel loro paese –ma anche all’estero- sono delle autentiche star. E se lo sono meritato, perché, con le loro diversità caratteriali e di intendimento di cucina hanno costruito quel movimento leggero, quasi impercettibile, che ha reso di nuovo contemporanea un'idea di cucina comunque classica, solo a sprazzi provocatoria, tanto per attirare l’attenzione dei media, per poi ritrovarsi attorno al classicismo di sempre.

Una generazione irripetibile, per quantità e per qualità. Avendo però potuto giocare in un campo privilegiato, quello francese, e in un periodo economico notevole, in particolare gli ’80 e ’90, dove per non riuscire a tirare avanti la dovevi combinare veramente grossa, ma ad uno di loro accadde anche questo, e cioè di portare i libri in tribunale con tre stelle. Fu Gagnaire a riuscire nell’impresa, tra i più temerari in quella folle stagione vissuta nella decadente St.Etienne.

Tutta questa storia per dire cosa? Mah, perché sto notando che in Francia è probabilmente ripartito senza una precisa intenzione comune -e quindi a macchia di leopardo- un progressivo aggiornamento del classicismo. Cambiano le forme, cambiano i colori, cambia la maniera di impiattare e qualche tecnica di cottura o di concisione delle salse, ma alla fine, nel piatto c’è quello che ci deve essere. Lo noto da esperienze mie e da quello che vedo scorrere sul web.

Certi piatti parlano chiaro a tutte le latitudini dell’esagono, da Parigi a Menton, dall’Alsazia al Bordolese. Tutto bene quindi, in regime di saggia cautela, però non in molti ad altissimi livelli. Insomma, con tutto il rispetto, da Piège a Colagreco, attraverso convegni e confronti ci si arriva ad avere tratti comuni da condividere e che facciano accorrere nuovi clienti dai gusti accumunabili, ma che siano più giovani degli chef, mi auguro.

Ho ripreso una vecchia Guida Gault Millau di fine millennio. Nella rubrica dei top di domani sono citati in parecchi. Ho verificato: tutti più meno bravi o molto bravi, ma nessuno è arrivato dove sono arrivati quelli del Groupe de Huit. Il salto generazionale ormai c’è stato, non resta che aspettare la prossima generazione per augurarsi di rivedere una generazione di fenomeni da ritrarre tutti insieme in uno scatto di classe.

gdf


martedì 25 marzo 2014

Focaccia e carciofi


gdf


Prima di tutto l'attualità, anche in differita, condita di olio o acqua, se no come fai  a raccontarle le emozioni, se no come fai a fare una focaccia perfetta, se no come fai a far crescere un carciofo insistente.

La faticosa ascesa e la difficoltosa discesa, attraverso piantagioni scoscese di carciofi.

Fa freddo anche oggi, di nuovo: è la terza di seguito in tre tentativi; non so se mi vorranno i milanesi la terza senza una con la quarta.

Me lo ribadì Vergè dopo la terza volta che grandinò a Mougins: alor c’est vous. Mi metto i ray ban con lenti scure e satinate e guardo a testa bassa verso il traguardo della Milano Sanremo con gli stessi amici, se mi vorranno ancora, dopo l’ennesima sconfitta: Kristoff!

Nulla di clamoroso al Cibali la sera stessa, è sempre uguale, anche il tempo alla Sanremo. Ho guardato le previsioni del tempo: per il marzo 2015 è prevista pioggia.

Mi levo i Ray ban neri e taglio il collo alla bottiglia.



Carciofi, coltellaccio e sanguinaccio di Pablo Picasso.  Le posate ci sono tutte nel suo  modo di vedere un quadro finito, come le vorrei nel mio, sempre. La chiave  si intravede?
Le mani ferite dall’ardita via presa per il Poggio soffrono, tra pietre e carciofi. Tra pietre e carciofi tante piante di limoni. Gliene rubo un frutto, alla pianta, e lo apro con la chiave della macchina, un po’ MacGyver e un po’ Rambo,  per disinfettarmi le ferite.

Un coltellaccio, dei carciofi, un sanguinaccio. C’è tutto, cos’altro desiderare. Là in fondo al profilo delle curve del Poggio si vede fino all’Esterel, tutto compreso, anche un Picasso nascosto dietro alle curve delle sue modelle, a Vallauris.

Timi non si voleva  né sbagliare né dimenticare, e allora l'ha messa lì la prenotazione,  ai piatti: tutti partecipi. Questa gliela rubo.

Timi ormai ha capito come gira, telefono, pubbliche relazioni, carciofi, carciofi e carciofi; ma prima la focaccia, con le dita dentro e l'acqua e l'olio, fuori e dentro, tanto olio a pioggia a lei e benzina a me, in mgm format.

Un Tour de poivre alla Milano Sanremo, touche du chef sui meravigliosi gamberi in frittura di maglia rosa

Pomodori Mirinda a Marmanda, piselli e fave, carciofi

Spuncia rosticciati, crema di... carciofi

Ottimi spaghettoni con aglio olio e peperoncino, bottarga di branzino maison e... carciofi

Commovente: il fritto di zanchetta, nasello, triglia, moscardini, acciughe... e carciofi


Crostatina al cioccolato e fragole, senza carciofi


A bientot les amis

gdf




lunedì 24 marzo 2014

Grumble & Grumble


gdf

Lui, quello in alto, sulla poltrona presidenziale è Teddy Grumble, Presidente della Grumble & Grumble. L'altro, in eccentrico total yellow look è Woody Grumble, Amministratore Delegato della Grumble & Grumble. Il loro Head Office sta su a Milano, in Five Days Square, e quindi per evitare un transfer fin lassù ho chiesto by phone che mi inviassero al faro un rappresentante, ma dal loro sales office mi hanno risposto by mail che al massimo mi avrebbero potuto creare un thematic appointment con il loro new local sales agent.

Siccome quest'ultimo non sapeva la strada, mi ha chiesto di incontrarci in un meeting point, dove cominciare ad approcciarci in un preliminary meeting. Save the date ! mi intima by phone, e una volta individuato un time che andava bene a tutti e due finalmente ci siamo incontrati per un briefing.

Messo in stand by l'i-phone 6 mi ha spiegato che la loro commercial company è ormai la leader del branch, e che dopo il recente riposizionamento ha spiazzato definitivamente i competitor, non mancando di farmi notare che ora la loro new mission è indirizzata verso il wholesale, mentre prima si dedicavano anche al segment market rappresentato dal retail trade, quindi se volevo comprare qualche cosa da loro dovevo dimostrare di essere un vero buyer, con tanto di Partita Iva.

Chiarito questo punto mi ha mostrato la brochure dell'azienda, prima ancora di aprirmi gli occhi sul patinato smart catalog che illustra al meglio i loro prodotti, disponibili anche in formato eBook. Mi permetto di fargli notare che non trovo quell'articolo che vendevano fino all'anno scorso i suoi colleghi della Grumble & Grumble.


Secco e piatto mi dice senza mezzi e senza termini che quello che cerco ormai è un obsolet product, una roba che a La Malmaison non comprerebbero mai, mentre quell'altro -su cui punta il dito- oggi è il brand di riferimento, confermato da un grafico in impennata di vendite e anche da un'indagine sulla soddisfazione dei clienti fatta da un noto customer service.

Obietto che quel prodotto non fa per me, ma lui mi ribadisce che anche il label design e il packaging oggi sono fondamentali per essere certi di riuscire in un happy fast resale piuttosto che la merce rimanga a long in stock.

Cerco di fargli capire che: A) a la Malmaison Le Montrachet de La Romanée Conti sono convinti che sia un vino della Cote de Nuits e che quindi prendere quel locale come riferimento è fuorviante; B) che non me ne frega niente del brand; C) che anche del packaging e del design dell'etichetta posso farne a meno, e non me ne può fregare di meno neppure del long stock così come dell'indagine di mercato fatta da quel customer service milanese; a me interessa quell'orange wine che mi hanno venduto l'anno scorso, ma ormai ha già tirato fuori una cosa dal borsone di pelle nera che definisce block clipboard orders, sul quale comincia ad appuntare il mio company headquarter, chiedendomi anche quale sia il mio priority first delivery address e se possibile concordare fin da subito un short terms of payment, se no alla Grumble & Grumble potrebbero anche lasciarlo in the middle of the street.

gdf twelve minutes



domenica 23 marzo 2014

FRITTELLE DI RISO AMARO

Marco 50%50
Si, ci metteva la scorza di limone e anche la buccia d’arancia… 

Potrei scendere dritto e diretto fino a Sud, diciamo Napoli, senza fare una sosta o una deviazione e dare una sterzata a questo pomeriggio milanese, se parto ora, arrivo per merenda, mi piazzo su un  divano faccio partire un cartone d’accompagnamento con Bubo e il Ranger e mi sparo un congruo numero di zeppole di San Giuseppe, ma se anche si parte in tutta fretta e senza bagaglio, il bagaglio d’esperienze pieno di ricordi ce lo portiamo dietro e dentro volenti e occasionalmente nolenti, così già dopo Bologna la macchina procede spedita ma tende a destra, superato Barberino del Mugello comprendo le sue intenzioni, che sono anche le mie, a Firenze Impruneta, che per me rimarrà sempre Firenze Certosa, metto la freccia a destra e nella faretra, tanto per non presentarmi a Siena vestito da indiano metropolitano, ed entro in punta di piedi e di ricordi nel Granducato.



Forse era già stato tutto deciso o premeditato, nel bagagliaio il Moscadello di Montalcino Doc dimenticato per scelta in macchina dalla sera prima, un vino antico citato da Pietro l’Aretino, da Redi e dal Foscolo, i cui vitigni, quasi interamente distrutti dalla  Fillossera, vennero ricostituiti mediante l’utilizzo di uve di tipo Moscato Bianco originarie del Piemonte.
Oggi è San Giuseppe e a Siena e provincia, assessori ai beni culturali inclusi, si preparano le frittelle di riso, per dirla tutta, qualunque senese mandato al confino al Nord, il diciannove Marzo o prepara le frittelle di riso o ci pensa.


Fate bollì un litro di latte con un pizzico di sale

Versate dugento (200) grammi di riso e cocetelo fino a che avrà assorbito tutto il liquido

Fatelo freddà bene bene (se unvolete fa coce l’ovo), aggiungete ed amalgamate al composto du tuorli

Friggete poche frittelle alla volta aiutandovi con un cucchiaio, l’idea di una quenelle non sfiori i vostri pensieri, ne nascerebbe una querelle, devono essere irregolari

Scolatele con una schiumarola o con un ramaiolo forato avendo l’accortezza di lasciare che qualcuna sia un po’ bruciacchiata, diciamo più dorata delle altre, poi lasciatela a me

Intanto il Moscadello dovrebbe aver raggiunto i tredici gradi , una temperatura di servizio ottimale, senza rischio di doppio fallo.

Assorbite l’olio in eccesso con un foglio di carta da cucina come se aveste fretta

Cospargete le frittelle con abbondante zucchero semolato, il velo in toscana unsimette nemmeno in capo, mettete alla prova la vostra capacità di resistenza

Sergio mi chiamò, era caduta.
Come lei ero surreale, oltre le fredde regole burocratiche.
Feci pratica con le pratiche d'invalidità, cominciai a perdere lentamente colpi, poi venni aggredito, nessuno percepì fino in fondo il mio disagio, se ce l'avessi fatta senza farmaci sarei rimasto me stesso, non presi niente, rischiando.
A lei  che non perse mai la sua dignità nemmeno quando la portavano all’autolavaggio, dissi che non ce la facevo più, con forza mi disse vergognati, lo sto facendo, pubblicamente.
La quota tenne duro e forse mi salvò, qualcosa mi svuotava, persi peso e speranze, non l'ultima, ma ero vuoto, quasi pronto per il salto.
Andammo a trovarla mi disse l’ultimo ti voglio bene, poi si illuminò dicendo a Sergio ciao amore mio.
Erano passati nove mesi, lei se ne andò, dandomi la vita per la seconda volta.

Si, ci metteva la scorza di limone e anche la buccia d’arancia… e  il profumo dolce amaro delle scorze d’agrumi ummelo leva più nessuno.

M 50&50

sabato 22 marzo 2014

Aoc Champagne Royale Réserve Pure Cuvée n° 243 Brut s.a. Philipponnat

- by Dj Il Duca -

Venticinque cru di diverse zone della Champagne – da vigneti Premier e Grand Cru e di annate differenti - compongono questo assemblaggio che vede il Pinot Nero dominare, con il 65 per cento, lo Chardonnay con il 30 per cento e il Pinot Meunier a chiudere. Si tratta, in prevalenza, della vendemmia 2007 - con vini di riserva che integrano per circa un quarto – e la mia boccia è stata sboccata nel mese di luglio 2011. Si tratta, soprattutto, della cuvée numerata, non millesimata, creata appositamente dalla Maison per il mercato italiano.

Nel bicchiere mi aspetta un oro affascinante, con effervescenza da manuale.
Al naso si concede immediatamente, liberando intensi e complessi aromi di agrumi e frutta tropicale – cedro e scorza d’arancia, ananas e papaya – cui seguono precise note di mandorla e caffè, unite a superbe venature gessose

In bocca si rivela “grasso”, freschissimo e riprende fedelmente il percorso olfattivo. Il sorso, fortemente “spalleggiato” dalla bacca nera, dapprima, molto impostato sulla parte fruttata, imbocca, in seguito, una piega, piacevole e inarrestabile, mineral-iodata e salina che, associata ad una acidità molto marcata, gli consentono di assumere maggiore slancio e di terminare veramente lungo e con persistenza gagliarda.Bevuta audace e, adesso, senza dubbio, la mia cuvée numerata, sans année, preferita.




venerdì 21 marzo 2014

U Cian


del Guardiano del Faro


Ora è ancora un po’ presto, ma tra breve tempo il contesto generale somiglierà sempre di più ad un Agriturismo piuttosto a quello che sembra al primo sguardo, e cioè ad una villa californiana. In primavera gli orti cominceranno a colorarsi di toni diversi da quelli della mimosa e lo chef Davide Rebaudo potrà cominciare ad approvvigionarsi con più continuità dagli orti circostanti..


Un vero chef da Grand Hotel in un Agriturismo che vorrebbe -ma per ora non può- definirsi ristorante per motivi burocratici. Uno chef formatosi non qui o là, a caso, ma dentro le cucine dei Balzi Rossi e del Grand Hotel de Paris, dove, seguendo il suo maestro, Mario Muratore, ha avuto la possibilità di mettere la mani in pasta al Louis Xv, alla Salle Empire e al Grill, dentro ad uno dei palazzi più blasonati e stellati del pianeta.


Lavorando in brigata ( e che brigate! ) da subito, viene poi naturale applicare le leggi non scritte dell’organigramma di cucina, in questa cucina magnificamente organizzata, che quando comincia a produrre è in grado di sfamare anche più di cento persone alla carta con piatti di tutto rispetto, per contenuti, per concezione e per presentazione.



Ci si potrebbe accontentare di meno, anche perché il prezzo (menù a 30 euro) è da vero agriturismo, mentre tutto quanto gira intorno e da buon ristorante di campagna, contesto così caro ai francesi frontalieri che amano tanto questo posto, questa cucina e questi prezzi.


L'aperitivo...

Il carrello dei formaggi

Una volta ritiratosi dalle cucine del Grand Hotel de Paris, Mario Muratore ha intrapreso il mestiere di viticoltore, lasciando qualche rimpianto.

La zuppa di legumi e cereali...

Barbagiuai, farcito di verdure in foglia

Il colorato stoccafisso mantecato al verde...

Il turtun, dove è la cipolla a predominare nella farcitura...

I ravioli della casa, immersi in una golosissima e densissima salsa di burro e salvia.

Originali tagliatelle al Rossese con fegatini, olive... 

Baccalà alla frantoiana

Le lumache alla ligure

Agnello gratinato con patate al forno

La crema bruciata

Davide Rebaudo



gdf