del Cavaliere di Sterimberg
Sarebbe meglio non raggiungerlo, se no poi bisogna cambiarlo. E ricominciare da capo. Rappresenta una saturazione, un eccesso, il limite superato, di poco ma superato: questo è lampante. Ma di chi o di che cosa? Di chi o cosa l’ha subito o di chi l’ha provocato? Stabilire il titolo di un articolo è normalmente compito di qualcun’altro. E non è affatto semplice per chi deve prendersi quella responsabilità, che potrebbe portare all’alterazione sia di chi ha scritto l’articolo sia di chi lo leggerà. Tu pensi di aver scritto una cosa carina, ma poi chi ci mette il cappello e l’occhiello secondo la sua percezione del mondo potrebbe non averci capito niente e rovinare tutto del tuo meticoloso lavoro.
In ogni caso, è più facile
chiudere un occhio quando il cerchio è stato chiuso per conto terzi se si
tratta di un articolo che domani sarà già obsoleto e oscurato da uno nuovo,
mentre drammatico sarà sbagliare il titolo di un libro, perché potrebbe significare
la mortificazione, la fine di un’opera, magari anche buona, e soprattutto
immortale, comunque!
Difficile è interpretare,
difficile è decidere. Basterebbe leggere e osservare, così si rischierebbe meno
di sbagliare. Ci vorrebbe anche un minimo di competenza, perché non credo abbia
senso che un ragioniere (per esempio) si metta a valutare e/o criticare il
lavoro di un geometra. Primo depistaggio.
Ora, per tornare ad uno degli
oggetti sociali di questo blog, immaginiamo che uno dei cuochi più visionari
(nel senso che la vedeva lontano, non la stella, quella la vede/va ben da
vicino) si metta d’impegno a scrivere la sua autobiografia. Immaginiamo pure che
questo cuoco sia stato, nel pieno della sua energia creativa, anche uno dei più
irascibili interpreti della cucina italiana.
Uno che si metteva a discutere
anche con un calamaro, ma non prima di averlo illuso e riempito di se stesso, per
poi dargli del presuntuoso, perché troppo ri-pieno di se stesso. Uno che il
punto di fumo lo raggiungeva negli occhi ma mai in padella, perché friggeva in
olio d’oliva sull’angolo del tegame, a vista e a polso, la mano sinistra a
stringere il manico, la destra a controllare la manopola che gli dava il fuoco,
sacro.
Il punto di fumo normalmente lo
faceva raggiungere ai suoi clienti, anche prima che entrassero nel suo
ristorante, già nel parcheggio; e nelle giornate migliori, andandoli a trovare
a casa loro -i clienti- per farli evaporare o dealcolare anche in quelle
condizioni poco privilegiate.
Ecco, io sto cercando di fargli
cambiare idea per il titolo della sua autobiografia, perché, per quanto
aderente al personaggio, titolare “IO” un autobiografia sarebbe anche calzante
all’idea, al progetto, e soprattutto al sobrio EGO del personaggio, ed è per
questo motivo che ho messo in pista questo palese depistaggio: Il punto di fumo
è il titolo, che chissà, uno come lui -che con l’età potrebbe essere diventato
più auto ironico e meno polemico- potrebbe finalmente cogliere. Questo punto di fumo ormai raggiunto e bruciato, e dunque già obsoleto.
un cordiale benvenuto a le Chevalier de Sterimberg sul blog. Finalmente una novità tra i blogger :-)))
RispondiEliminaGiorgio