domenica 31 luglio 2011

I cinque Chablis Grand Cru Jean Paul e Benoit Droin 2005 | ... o anche no

- gdf 2011 -

Stavo contemporaneamente leggendo e sorridendo mentre mi passavano sotto gli occhi le righe di un recente articolo apparso su La Revue du Vins de France dove si certificava nuovamente la reale difficoltà nel riconoscere i diversi cru di Chablis (e anche grand cru) del medesimo produttore da parte di professionisti della degustazione. In questa occasione il test è stato ancora più convincente , perché ha visto sottoporre alla cieca i diversi vini agli stessi produttori che l’avevano vinificato e imbottigliato. Anche loro rarissimamente hanno saputo “riconoscersi”, e quasi mai riconoscere da quale premier cru o grand cru poteva provenire il vino di un altro produttore, situazione che per chi si è addentrato con reale interesse ed attenzione ai fatti di Borgogna (Cote de Beaune) sa che è relativamente più facile, proprio per le caratteristiche dei terreni che in Cote de Beaune “marcano” lo chardonnay, al contrario di quello che succede a Chablis o nel Maçonnais. Preso atto per l’ennesima volta del fatto non mi è sembrato neppure il caso di mascherare le bottiglie dei diversi grand cru di Droin 2005 degustati recentemente. Ma oltre alla consueta ambiguità dei profili dei vini, quello che è saltato al naso è stato invece il sentore di frutta stramatura, la bassa sensazione di freschezza acida e la pesantezza generica di questi vini più larghi che alti, che sembravano provenire da latitudini ben più calde. Assenza di verticalità e mineralità sepolta sotto una tonnellata di grassa e fruttosa esuberanza, come in una scultura di Botero. Tutti così: Blanchot, Valmur, Grenouille, Le Clos e Vaudesir. Vini corretti, intensi, da abbinare alla cucina classica; va tutto bene, ma quando le guide parlano di grandi annate e appiccicano valutazioni andine a certe bottiglie mi sembra il minimo aspettarsi qualche cosa di coerente a quanto letto sulle bibbie. Salvo basarsi per un giudizio unicamente sulla bellezza del giovane frutto versato nel bicchiere appena questo è stato messo in bottiglia, ma così precludendosi il dubbio di come diventerà quello Chablis Grand cru, che normalmente trova la sue forme esili ma ben delineate attorno ai dieci anni dalla vendemmia. Per rendere meglio l’idea abbiamo stappato anche una 2003, aspettandoci una zuccherosa confettura di pesche bianche che andasse a confortare le sensazioni dei 2005, come dire,” dai che c’è di peggio, consoliamoci”, ma alla fine devo dire che non c’era molta differenza; quei 2005 alla cieca avrebbero potuto essere benissimo scambiati per dei Maçon di annata calda, non dico la 2003, questo no, impossibile, però di annata calda sicuramente si, e comunque non di una zona che dovrebbe essere la sintesi e la purezza di uno chardonnay minerale e cristallino. Niente di tutto questo invece, già dai colori di questi vini, giallo intensissimo, al limite del riflesso da ossidazione, dal naso goffo e dimesso, dalla bocca molle e sonnolenta.

Ma tiriamoci su il morale, probabilmente al Domaine sono contenti così e i giornalisti anche, chissà cosa si ritroveranno nel bicchiere tra qualche anno, per carità, affari loro; mentre noi per capire che le cose stanno diversamente non abbiamo neppure dovuto scomodare Raveneau; sono bastate due bottiglie di due premier cru qualsiasi di William Fevre e Dauvissat della medesima annata per riconciliarci con il piacere di una buona bevuta. Certo, l’annata si sente anche qui, però c’è modo e modo di gestirla, evitando il fuori giri e conservando una relativa freschezza dentro un frutto maturo ma non cotto, diversamente può passare per la mente che siano meglio le annate imperfette, che siano quelle le più affascinanti, come le ragazze con lo strabismo di venere ed il setto nasale appena appena deviato, meglio questo quadro spigoloso, preferisco questo piuttosto di una rotonda scultura di Botero. -gdf-

sabato 30 luglio 2011

El Bulli ha chiuso? Sicuri ?


Per l'occasione mi piace riproporre questo pensiero del Maestro:

... " In Spagna, Ferran Adrià ha letteralmente stravolto la cucina spagnola, ma non ha creato una cucina nuova, ha "inventato", di bel nuovo, una cucina chimica, basata strutturalmente e unicamente su nuovi metodi di trattamento della materia, che ha molto sorpreso, ma a causa della sua estraneità alla vera cucina, ha già esaurito il suo compito culturale e rimane solo una vecchia novità."

Gualtiero Marchesi. ( da : Oltre il fornello)

venerdì 29 luglio 2011

Il Mangostano

- gdf 2011 -

Abbiamo attraversato il tempo del Ginseng, dell ‘Aloe Vera, dell’Iperico e della Taurina . Avete mai provato il Mangostano? Oggi ne ho provati 30 ml al mirtillo, quando di una grappa me ne bevo 300, ma ne conosco gli effetti; invece il mangostano è diverso, il Mangostano mi sorprende e mi incita a prendere a schiaffi la gente, anche quelli che non c'entrano niente, e quando finalmente mi sono calmato mi fa questo effetto: un curioso tartaglio musicale. Quindi se vi fa difetto questo effetto, prego, mai più senza Mangostano.


giovedì 28 luglio 2011

Ma che bel coltello !


Un carissimo amico arriva a cena da Troisgros, la cena scorre agilmente e in leggerezza ma non priva di gusto, come ben sappiamo essere la normalità da quelle parti. C'è dunque spazio per dare un'occhiata all'elegante e odorante carretto dei formaggi. Il Maitre impugna uno dei due coltelli a disposizione per le diverse consistenze dei formaggi e con disinvoltura e dovizia riesce a tranciare ogni tipo di formaggio, anche quelli posti sul margine del tagliere senza dover neppure piegare in maniera innaturale il polso. "Ma che bel coltello! E' un nuovo modello proveniente da Laguoile?" No caro signore, questo coltello è italiano, arriva da Scarperia, è un Berti . Si tratta di una riproduzione del quadro Cena di Emmaus di Jacopo Carrucci da Pontormo, presente alla Galleria degli Uffizi di Firenze. Detto e fatto tra non molto si comincerà a tranciare formaggi anche in questo Faro con un Pontormo piuttosto che un inefficace Laguiole. Complimenti a Berti. - gdf2011-

mercoledì 27 luglio 2011

Cornas

- di Fabrizio Nobili & gdf -

Cornas Auguste Clape 1995

“Il colore non rivela l’età, cosi brillante ed intenso su toni di rubino vibrante. Il naso è una fusione di speziature scure, piccoli frutti confit ed aromi di olive nere condite di alloro fresco. Lo spessore in bocca è fuori gamma, dove il residuo del frutto impregna ogni interstizio. La piacevolezza, la tipicità, il carattere, l’armonia e l’autorevolezza ne fanno l’archetipo, anzi, l’apice della denominazione. Persistenza e retrogusto coerente non lasciano uscire facilmente dalla memoria quel mix di sensazioni che incorniciano un grandissimo vino. 19/20”

Cornas Thierry Allemand 2005

“ Questo Cornas si presenta di un brillante rosso scuro profondo tendente al violaceo. Al naso frutti rossi e neri in confettura, la tipicità del sangue e del pepe nero, una fresca balsamicità conclude l'opera olfattiva. In bocca è ben presente la materia, resa piacevole, fresca lieve e bevibile dall'equilibrata acidità, notevole persistenza. Ottimo abbinamento con la costata alla griglia. 17/20 “

Due perle dai caratteri e dagli stili diversi che ci ricordano quanto siano originali e quanto possono gradatamente raggiungere livelli altissimi questi vini, tratti da una denominazione non molto conosciuta, e soprattutto non molto “bevuta” in Italia . Peccato, perché per l’ennesima volta ci sarebbe materiale su cui ragionare, prima di tutto sull’importanza del terroir, marcante sul vitigno, neanche citato sui sacri testi. Prendete in mano una vecchia Guida Hachette per esempio. Non si fa nessun riferimento al vitigno, e non credo per snobismo o superficialità, semplicemente perché è ovvio che si tratta di un unico vitigno da sempre : Syrah . 75 ettari monovitigno piazzati principalmente sulle verticali rocciose del solo comune di Cornas, a pochi chilometri dal famosissimo sperone dell’Hermitage. In questo anfiteatro che beneficia di un clima estremamente caldo la maturazione delle uve anticipa quella del nobile vicino, più esposto a venti e intemperie. Il risultato nel bicchiere può essere abbastanza simile (tra i vini del comune), al netto dello stile e del manico dei vignerons che comunque non potranno nascondere l’evidente carattere più “meridionale” tra le appellation del Nord della Valle del Rodano. Dunque avremo vini scuri, robusti, tannici, severi e quindi bisognosi di alcuni anni di affinamento, almeno cinque, come nel caso del vino di Thierry Allemand, che non disdegna la ricerca di concentrazione e di materia per costruire il suo Cornas. Oppure quando la grande annata e il grande savoir faire sarà atteso quindici anni come nel caso di Clape, che ha sempre avuto il pregio di non spingere troppo sulla concentrazione, cercando più la leggerezza e la finezza, evitando, quando l’annata lo consente, di cadere nella grossolanità.

martedì 26 luglio 2011

First Lesson: The book is on the table

- del Guardiano del Faro -

Otto anni a picchiare la testa sugli angoli dei libri ma l’inglese proprio non mi è mai entrato in testa. Tre anni di francese e neppure uno di spagnolo hanno avuto presto la meglio sulla scolasticità anglofona . Per riuscire a digerire quella lingua così universale ma così approssimativa e ambigua nei termini e nei significati ci volle un motivo alcolico, e non certo quei vini barbari d’oltre manica. Accadde al termine di una serata passata nel Devon in un piccolo albergo country house atmosphere nei pressi di Exeter, dove fui coinvolto in un after dinner tipico di quelle parti, dove la cena inizia presto ma si snoda in maniera assai più semplice che in Francia o nella maggioranza dei paesi d’Europa più civilizzati, o per meglio dire, più edonisti e goderecci sul tema gastronomico. Quanto al bere non scherzano ma non li ho mai visti abbuffarsi di cibo, privi anche dei termini per definire chiaramente se per “roast” o “fried” intendano dire che quel pezzo di carne o di pesce sia stato effettivamente arrostito, fritto, piuttosto che passato in padella, in forno o in qualche altro modo. Normalmente quella gente si accontenta di poco: piattino d’entrata, piatto principale e dessert. E buonanotte. Ma per non andare a letto con l’ennesimo stoppaccioso pudding sullo stomaco ci si poteva intrattenere nel piccolo spazio dedicato al salotto e alla chiacchiera, come amano fare gli agiati inglesi nei week end passati in campagna, dedicando due ore al rito dell’aperitivo e due a quello del digestivo. Ore passate discutendo sull’alito di vento che aveva impedito a quella maledetta pallina di entrare in buca, quella maledetta che si era bloccata sull’ultimo filo d’erba invece di cadere dal green nella buca 18 facendogli perdere la scommessa e il conseguente giro di Islay al club . Più in la con la serata si potevano ascoltare anche drammi più intensi , e così , mentre le signore sorbivano qualcosa di caldo io mi sorbivo a palpebra socchiusa il mister che teneva in mano il tumbler e il pallino della chiacchierata da un ora per raccontare di quella volta che ormai aveva il torneo nelle sue mani ma alla 18, mentre stava chiudendo l’ultimo giro, partì inopportunamente il getto dell’irrigazione automatica e la partita fu dapprima sospesa e in seguito sommariamente annullata per scongiurare l’affogamento dei giocatori non ancora messisi in salvo. Secondo me si mise semplicemente a piovere, ma capii anche che sarebbe stato ingenuo tentare di intrattenere qualcuno oltremanica parlandogli di temporali improvvisi. Mi prese una crisi di sbadigli incontrollabili degni di Mister Bean. Uno scozzese vincerà mai Wimbledon? Occhio che potrebbe succedere.

Dormire a letto o sulla poltrona a quel punto sarebbe stato più o meno uguale, salvo attaccarsi a qualche bicchiere di roba buona ma non troppo alcolica per tirare avanti la serata. Whisky no, perché non puoi stare due o tre ore a versarti del whisky; non cado nel vostro tranello ; stavo li in quell’alberghetto per una latente influenza, questo si, quel malessere avrebbe potuto essere un motivo in più per abusare di alcool e delirare liberamente in inglese, lontano da ogni occhio critico, ma proprio non ce la facevo a bere whisky a nastro come facevano quei seguaci di Churchill, immersi nel personaggio fino alla controfirma del sigaro. Ma un Porto si, un Madeira si, uno Sherry si, un Marsala si. E in quella settimana di permanenza in quel piccolo thatched cottage house mi immedesimai talmente nella country house atmosphere e in quella fantastica selezione di vini fortificati da riuscire a reggere finalmente una intera serata di discussioni con una dozzina di conservatori inglesi . Certo, il mio non era un bell’accento inglese, era un modo di parlare derivato dall’effetto dei vini dall’accento inglese. Quei maledetti pronipoti di colonialisti imperialisti si sbellicavano dalle risate ascoltando il mio maccheronico londinese.

Il giorno dopo, il proprietario della piccola locanda , subito dopo colazione iniziò a collezionare la sua compilation giornaliera di birre alla spina alternate da tramezzini farciti con fantastico burro artigianale e salmone scozzese buono da svenire. Mi applicai istintivamente a quella disciplina e devo dire che grazie a quella cura intensiva di burro, birra e salmone il mio raffreddore sembrava già migliorare.

Fuori era tutta campagna, c’erano solo quelle carinissime pecorelle bianche con la testolina nera e tanto vento, in televisione invece neanche Shaun the Ship, neppure Wallace & Gromit alla ricerca del loro pianeta di cheddar. E allora decisi di rimanere con lui, fargli compagnia tutto il giorno per consentirgli di raccontarmi della sua collezione di vini mediterranei o oceanici, ma comunque dall’accento inglese, brav’uomo, non lo dimenticherò mai, la gotta lo stava già mordendo ovunque, da anni ormai so che ci ha lasciato a causa del suo cosciente abuso, del mio consapevole abuso.

Il tè delle cinque incontrava poco successo a dire il vero, salvo che da parte di qualche vecchia regina madre che si ostinava ad occupare il polveroso spazio salotto in quell’orario perché così aveva fatto per tutta la vita e quindi guai a cambiare abitudine. Briciole di biscotti al burro e profumo di tè earl grey potevano ormai lasciare spazio al rito dell’aperitivo. La moglie dell’oste veniva in nostro soccorso verso l’ora di cena, anzi, già prima ; aveva infatti la buona e gentile consuetudine di passare dal salotto verso le 18, ora nella quale si era ormai presa l’abitudine di lasciare al loro destino le palle nostre e quelle dello snooker e farsi vedere in tre o quattro tra gli ospiti del cottage e piazzarsi davanti al camino per un primo giro di Jerez Fino & butter cookies e decidere cosa mangiare e cosa bere in seguito. Indimenticabile la stilton mousse con cetrioli marinati all’aneto in aceto di sidro. La signora chiedeva anche quali vini avremmo voluto avere in tavola per la cena. Ma lo faceva solo per darsi un tono, non è che ne avesse un pozzo da cui attingere. Ormai rotto allo slang locale e rilassato dal cimitero di birre già seppellite durante il pomeriggio nello stomaco ordinai due mezze bottiglie: two half bottle for this night on my table please! Esclamai dissennatamente . La signora sorrise e non mi fece neanche finire il concetto, io volevo specificare quali fossero queste due mezze bottiglie ma lei anticipò la mossa e si presentò ridendo con in mano un cartone di vino da 12 . Twelve bottles ! Lei questa sera vuole bere dodici bottiglie? A me non faceva ridere, rideva da sola ma poi contagiò anche il resto della compagnia. Niente da fare, il mio accento inglese e il loro humor fecero sempre fatica ad incontrarsi.

- gdf -









lunedì 25 luglio 2011

domenica 24 luglio 2011

L'odore del ghiaccio

- gdf 2011 -
Non c’entrerebbe molto, ma invece si, perché avvicinarsi al bancone per un gin tonic può riservare le sorprese più imprevedibili. Una volta scelto quale gin usare per il mix il compito del cliente dovrebbe essere esaurito. Invece no, questa mi mancava, poi uno pensa , ma dove se le va a cercare certe storie. Ne farei a meno, invece succede che al banco di un costosissimo bar piazzato su una delle spiagge più esclusive della Riviera di Ponente un cretino si debba mettere di traverso per impedire alla ragazza deputata al servizio perché questa non utilizzi un gin ma un altro, andando contro la scelta del cliente.

- No, cosa fai, aspetta, quel gin con l’etichetta nera è per clienti speciali…- Scusi? Che cosa ha detto? – No, è che c’è quell’altro gin li da usare per i passanti, sapete, questo Hendricks è un gin costoso … - Ci guardiamo in faccia allibiti – Vuole che gli diamo la garanzia dell’American Express ? – Va bene, va bene, servigli pure il gin tonic .

Fortunatamente si allontana e lascia lavorare la ragazza.
Il ghiaccio è quello dozzinale con il profondo incavo interno che lo lascia sciogliere in tempo zero, perché è normale che in spiaggia faccia caldo in estate. Bisognerebbe usare il ghiaccio in blocco, ma pare che a far quello le macchinette ci impieghino più tempo ed energia. Addirittura ci sono locali dove il passaggio di clienti è così frenetico da necessitare di un paio di macchine che producono il ghiaccio, una per i clienti “normali” , e l’altra, più lenta e performante, per gli habitué . Già questo aspetto è abbastanza anomalo, ma ancora meno normale dovrebbe essere un altro, e cioè che il ghiaccio debba avere un odore. Il ghiaccio sa di frigo, il ghiaccio sa di muffa, il ghiaccio sa di acciughe, il ghiaccio sa di fumo, il ghiaccio sa di gas, il ghiaccio sa di cose che unite all’alcool , all’aromaticità del gin e alla carbonica della bibita aggiunta rovinano la magica sintesi di profumi e sapore pulito di un buon gin tonic. Dipende dall’acqua? Dipende dalla macchina? Dipende dal bicchiere? Dipende da dove è conservato il ghiaccio? , quando questo non è appena sceso dal formatore della macchina. Poi c’è il problema della fetta di limone. Limone o lime? Ormai limone, limitiamo i danni per cortesia. I lime sono diventati come l’aglio, uno su due sa di muffa e antimuffa. Meglio un limone staccato dalle migliaia di piante dei giardini della Riviera. Ma che stress per un gin tonic. Ma c’è motivo di riprendersi con un sobbalzo. La gentile bar woman sta svuotando sotto il nostro naso i due bidoni metallici dell’immondizia posti a fianco del banco facendoli volontariamente cadere pesantemente a terra. Di peggio solo il continuo scampanellio dei piattini delle tazzine del caffè appena usciti dal lavastoviglie. Il piacere cinico dei barman di far il rumore più forte possibile con quei cz di piattini, sembra che facciano il trasloco di tutto il bar quando impilano i piattini. Ma non c’è un attimo di tregua, all’imbecille del giorno capita di dover servire ad un povero disgraziato di avventore un fetta di pizza e un trancio di ananas. Le due cose escono dal medesimo frigo, pizzetta e fetta d’ananas pre tagliato. – gliele do così o scaldo? – Che cosa scaldi? La pizza che sa di frigo o l’ananas ghiacciato che sa di pizza.? -gdf-

venerdì 22 luglio 2011

Le Tour de France | Accarezzare la Francia contropelo.

- gdf 2011 -

Non è colpa mia, è proprio fatta così la Francia, un esagono con un grande centro posto geograficamente troppo a nord e due altri grandi centri di non secondaria importanza appesi verticalmente. Tutte le grandi arterie statali , ed in seguito anche quelle autostradali sono sempre state pensate in primo luogo per partire e ritornare a Parigi. L’asse principale si è articolato pressoché linearmente in direzione Lyon Marseille. Il resto, almeno per quanto concerne la mappa autostradale , è stata pensata innanzitutto sugli assi verticali. Decidere di attraversarla in orizzontale poteva essere interessante per evitare il primo grande traffico del mese di Luglio, mese deputato alla consueta lunga vacanza estiva tra le tavole di Francia, prendendosi però carico di smaltire le scorie accumulate nei mille passaggi di paesi e villaggi, esattamente come i 198 ciclisti impegnati ne La Grande Boucle, attesi alla partenza del prologo in quella prima domenica di luglio, che quell’anno partiva da Pornichet per raggiungere La Baule, località che era anche una delle mie mete di giornata previste per quel Tour, che per me partiva dalle Alpi e per loro dall’ Oceano.

Cominciò bene quella domenica, Guidone Bontempi vinse il brevissimo prologo sul lungo oceano di una delle più belle spiagge d’Europa. Per me fu invece una dura tappa con arrivo a Valence, dopo aver affrontato il Frejus: le loup au caviar dei Pic, divorato in una ambientazione bucolica ben diversa da quella odierna fu la mia prima vittoria di tappa. Il giorno dopo l’Italia perdeva già subito la maglia gialla, il canadese Steve Bauer prese tappa e maglia attraversando un brandello di Loira Atlantica. Al contrario, tappa brevissima per me, praticamente un trasferimento la Valence – Vienne, una manciata di chilometri, sufficienti per andare in adorazione al tempio della cucina che fu di Fernand Point, anticipata dalla piccola stele piramidale che diede il nome all’ Auberge. Malinconia di ambiente, questo già completamente rinnovato, solo qualche traccia in giardino di quegli angoli dove Point amava farsi radere la barba mentre sorseggiava qualche coppa di Champagne. Solidità in cucina, dove Patrick Henriroux si permetteva virtuosismi al piano, fino a replicarne le forme e colori al momento del dessert. Giornata dura la terza, tappa piena di insidie, di saliscendi continui, di imboscate da parte dei flic, e senza neanche un chilometro di autostrada. La Vienne- Laguiole fu estenuante. Da Parigi ci andavano in elicottero da Bras. Quando fui all’arrivo compresi il motivo. Annuivo con il capo, ancora in preda ai sussulti del asfalto grezzo e dalle infinite curve che avevano inflitto un duro colpo anche agli pneumatici. Anche qui nulla era come è oggi, sia la collocazione dell’albergo che la qualità della cucina. E le strade degne di Binda. Il genio era di ritorno dalla sua giornaliera passeggiata sui colli dell’Aubrac con un mazzetto di erbe spontanee mentre noi ci si accreditava al ricevimento. La sera, sotto le volte arcuate di mattoni rossi andò in scena una cena irripetibile realizzata da Michel e la sua grande squadra. Sulle strade della Loira era invece una squadra olandese, la Panasonic, a suonarle a tutti nella crono a squadre che portò in giallo Teun Van Vliet. Se la Valence-Laguiole non poteva non lasciare un segno indelebile nel corpo e nella mente, anche la Laguiole- Magesq non fu da meno in avvicinamento ai Pirenei Atlantici. Sconfitto già all’arrivo dall’atteggiamento del personale del Relais de la Poste, questo ancor oggi bistellato; subii anche una cena molto sotto tono seguita da drammatico rientro in camera dopo il ritorno da una passeggiata interrotta da un temporale atlantico. Tutto chiuso, ci avevano dimenticato fuori. Dovetti improvvisarmi guastatore di porte per rientrare, quella che cedette consentiva un ingresso attraverso la cantina dove custodivano una collezione di Armagnac dell’800, adeguati per riprendersi dal freddo acquazzone. Non faceva sicuramente caldo neppure al nord, tra Nantes e Le Mans ebbe la meglio un altro olandese, Van Poppel . Lo sconfinamento previsto per il giorno seguente era l’unico veramente ambito in quel periodo. Il limite di interesse spagnolo era previsto al traguardo dell’Alto di Miracruz, pendio che anticipa l’entrata a San Sebastian, dove Juan Mari Arzak metteva in tavola la miglior cucina basca di tutti i tempi. Profumi spagnoli, mentre al Tour si parla addirittura portoghese; a Evreux, in Normandia, la spunta Acacio da Silva. La San Sebastian- Bordeaux scorre veloce lungo le Lande , pianura, calore, vento laterale. L’arrivo è in salita ma ne vale la pena raggiungere Le St. James de Bouliac. Oggi c’è Michel Portos a reggere le due stelle, in quel momento era Jean Marie Amat, l’enfant terrible è ancora da quelle parti, cambiano i fattori ma il risultato è sempre ottimo. Sulle strade del Tour invece si torna a parlare olandese, tappa a Nijdam e maglia a Lubberding.

Questi due li conosco, è la terza volta che ce li troviamo a tavola la sera in tre posti diversi, figuriamoci se potevano mancare la tappa ai piedi dei Pirenei che porta ad Eugenie les Bains. Eccoci da Guerard, mais alors, ma ancora voi. Si, zio e nipote lussemburghesi, tutti i giorni in trasferimento da un 2/3 stelle all’altro; auto nel parcheggio, bicicletta scaricata dallo station wagon benz e via per una cinquantina di chilometri prima di cena, molto prima degli Schleck. Ma molto meno magri dei futuri campioni lussemburghesi. Notizie dalla cronometro individuale in Normandia? Si, ha vinto un inglese al Nord pas de Calais, aria di casa per Sean Yates, ma la maglia è ancora da questa parte della manica, manco a dirlo, è ancora un olandese il protagonista, Jelle Nijdam. Tappa lunga il giorno dopo, Eugenie les Bains – Mosnac, ci vuole il fisico fresco e asciutto, la maturità e il senso della misura, bisogna saper gestire le energie per reggere il Tour de France. Mosnac non è lontano da Cognac, quindi meglio andarci piano. L’ottimo Dominique Bouchet conduce benissimo la sua squadra sulle strade che conducono al bistellato Moulin de Marcouze, ma anche lui come tutti non vede l’ora di arrivare, di tornare a Parigi, per passare e ripassare più volte in Place de la Concorde davanti al suo Crillon. Bollicine italiane nel pomeriggio, a Reims vince Valerio Tebaldi.

Si prosegue, giorno per giorno, vince un tedesco a Nancy, Rolf Golz; un Bretone a Cancale, Olivier Roellinger. Ancora un paio di italiani ad alzare le braccia, Ghirotto ed un giovanissimo Gianni Bugno . Ma dopo tanta Olanda e Italia, a Parigi, il 24 Luglio aspettavamo tutti uno spagnolo, Pedrito Delgado. La sera prima da Passard, la sera dopo da Senderens, perché alla fine il sogno di tutti quelli che partecipano al Tour de France è arrivare a Parigi, in qualche modo ma arrivare a Parigi; se poi è anche il tuo compleanno, allora andrà bene anche una modesta Brasserie sugli Champs Elysées per dimenticare l'età. -gdf-

venerdì 15 luglio 2011

50

Questo post era stato scritto in previsione di pubblicarlo nella data precisa, cioè il 25 di Luglio, ma visto che già ieri e nei passati giorni hanno cominciato in parecchi ad indirizzarmi omaggi e messaggi di solidarietà in vista del non invidiabile traguardo, allora anticipo anch'io, ringraziando tutti in anticipo. Grazie mille e buon proseguimento.

-gdf-



Ma perché i bambini urlano, piangono, ridono, gesticolano, corrono senza apparente motivo, lanciano gli oggetti e muovono gli arti nei modi più scomposti? Secondo me quell’anima che ha deciso di entrare in quel corpo sta facendo delle prove, sta verificando il funzionamento di quel macchinario complicatissimo. E poco per volta prenderà la necessaria confidenza per utilizzarlo come lo riterrà opportuno. Prima però dovrà verificare quali sono i limiti dello strumento; quindi: decibel al massimo, estensione alternata degli arti superiori al limite dello slogamento e salto con quelli inferiori fino al punto di crack da caduta, meglio ancora se dentro una pozzanghera, per vedere l’effetto che fa; capocciate per testare quando resiste il cranio e via così fino a quella che normalmente viene definita con infinita ironia involontaria “età della ragione” .

A 50 anni , oggi, sto rifacendo quel test per verificare se questo strumento complicatissimo continui a funzionare decentemente. Mobilità, elasticità, impianto idraulico, visceri capricciosi, vista , udito , tatto . Quest’ultimo da sempre carente in senso filosofico. Ci sono anche i capelli, tutti, e su questo dettaglio potrei infierire sui coetanei che decenni fa puntavano il dito più sul cambiamento di colore che sulla quantità di esseri viventi presenti sulla loro calotta cranica. Per come l’ho trattato devo dire che questo involucro e quello che c’è dentro non sono messi poi così male. Vizi e trasgressioni hanno fatto più bene che male. E’ evidente. Mentre è successo nei periodi dove i ritmi di lavoro sono stati più intensi che il meccanismo si sia inceppato più volte, facendo accendere la spia rossa di allerta: smettila, devi smetterla, guarda che non è il lavoro lo scopo di questa tua vita, lavorare non è cosa per te.

Lavorare , la contraddizione ; ma quanti mestieri ho cambiato ? Allora, se vogliamo contare solo quelli regolarmente retribuiti dovrei escludere il barman da discoteca, l’addetto stampa del Centro Sportivo Esercito e il maestro di tennis. Anche se eliminare il barman dal curriculum mi spiace, perché è appunto quel passaggio, all’età di 14 anni , che ha segnato il mio virtuoso rapporto con l’alcool, mai interrotto, salvo per una quarantina di giorni di venti anni fa, maledetta fu la vongolina cruda degna di una quarantena Tipo A . Minimo storico di alcool e minimo storico di peso, 52 chili: si, è debilitante e depressiva la carenza di alcool. Da quel quarantunesimo giorno una buona parte del cammino è stato in discesa, in dettaglio l’articolazione del gomito rispetto al bicchiere, e dunque spiace un po’ rinnegare il ruolo di barman, per altro certificato da un inutile documento depositato alla Camera di Commercio. Per il resto, parecchie cose a dire il vero : il baby giornalista su carta stampata (Olivetti lettera 22) e radio ( Sennheiser 1978) , il rappresentante, il piccolo industriale, il direttore commerciale, il sommelier, il consulente alberghiero, il maitre. Insomma, come mi disse un sindacalista, potrei essere uno spot involontario per il Ministro Brunetta.

Vivere una lunga parte della vita vicino alle montagne, e poi, al contrario, vicino al mare, porta a subire sbalzi mentali importanti, perché la montagna ferma l’orizzonte, il mare no, la montagna la puoi intendere protettiva quanto incombente, sul mare sei senza rete, a meno che decidi di fare il pescatore piuttosto che il Guardiano del Faro. Il velista no, non esageriamo con le provocazioni, sono dieci anni che mi prendo il vento in faccia da fermo, sugli scogli, ma non cambio posizione, è lui che dovrà finalmente cambiare direzione.

Il blogger è un mestiere ? Direi di no, di soldi non ne ho visti, però potrebbe essere un tramite per raggiungere altri obiettivi. Si, lo so, qui ricomincia il tormentone del libro. Si, perché lo scrittore potrebbe diventare un nuovo mestiere, sempre che non mi scoccio dopo il secondo o il terzo. Sempre che l’editore leggendo questo post non cambi idea. Ci dovremmo essere ormai, il socio nicchia ma conferma, questo libro umanistico è nato dall’essenza di quanto rimasto nella mente dopo venticinque anni di viaggi attraverso le migliori tavole e le migliori cantine di Francia. Molto vino è passato nei bicchieri, molte persone ho conosciuto, alcune ragazze mi hanno sopportato e poi abbandonato, altre invece mi hanno apprezzato . L’ultimo dito di vino rimasto in fondo al bicchiere e l’ultimo sguardo della persona che l’ha condiviso con me è raccontato sinceramente , al netto della piacevole o nefasta alterazione che l’alcool può portare, questo perché è nell’alterazione di quella che molti chiamano normalità che io riesco a sopravvivere. Quella variabile del 20% di modificazione della realtà, quella che si riflette in quello che scrivo. Spesso è il nostro punto di osservazione che ci impedisce la visione migliore. Bisogna metterci attenzione in quello che osserviamo, e purtroppo il filtro ottico di un bicchiere di acqua minerale non riesce a deformare abbastanza l’immagine da renderla a mio avviso sufficientemente affascinante quanto angosciante, come un quadro di Bacon. Ma fortunatamente piuttosto che nell’angoscia è più probabile che tutto sfoci in un clima grottesco e ilare, perché dietro ad ogni persona , anche la più torva, io ci vedo una sfaccettatura divertente nella sua personalità, che alla fine è quello che cerco, perché sto cercando il divertimento.

Oggi compio 50 anni e da questo momento ( ma in realtà la partenza lanciata è già avvenuta da parecchio) la mia priorità sarà il divertimento mentale, un gioco infinito di contraddizioni che devono andare a concludersi in una sonora risata. A volte rido da solo, come se le cose che dico e che scrivo le abbia scritte o dette un altro. La scrittura di quel libro è risultata per me spontanea quanto sorprendente; a volte rileggendo alcuni capitoli mi chiedo se non sono stato strumento di scrittura automatica, come se una guida mi avesse mosso le mani sulla tastiera indipendentemente dalle mie intenzioni. Faccio fatica a riconoscermi in molti passaggi, forse proprio quelli in cui la mente vorrebbe negare una verità, probabilmente proprio quelli più didattici , quelli noiosi, quelli da quinta elementare e terza media superate bene, nonostante il menefreghismo: ” il soggetto sarebbe bravissimo , però non si applica”, si signora maestra, esattamente, ma solo in quei passaggi importanti per chi vuole imparare la lezione a memoria e invece da me volutamente diluiti nel brodo umanistico.

Quello che trapela con una certa evidenza, l’aspetto prioritario per chi cerca conferme o sorprese su quali siano veramente i migliori 50 vini di Francia, questo lo troverà certamente in quel testo, ma non è questo il punto. Sicuramente ce ne sono altri che godono di ottima fama, ma quelli che sono entrati in quella sequenza sono solo quelli che mi hanno lasciato un segno indelebile nella mente, dovuti al carisma del vignaiolo, alla bella compagnia di una serata piuttosto che alla peggior notte passata con tre gin tonic a fianco della tastiera per scongiurare o stimolare la voglia di gettarmi dal faro.

Il rapporto controverso con l’universo femminile, l’amicizia con uomini veri, le tante delusioni nate dall’incontro con persone superficiali , distratte, o più ciniche e cattive di quanto faccio finta di sembrare . I mille rapporti personali esauriti velocemente e gettati nel cesso perché li ho ritenuti inutili, perché preferisco il futile all’inutile. Aneddoti e circostanze che al contrario hanno lasciato un tratto netto, una sottolineatura nel cervello. Il passaggio dal mondo “reale” a quello apparentemente virtuale, che sto pagando con questa mia permanenza ormai decennale sul web, scrivendo messaggi in una bottiglia per poi gettarli dalla torre del faro, i getti di luce nella notte alla ricerca di un riscontro, l’incontro giornaliero virtuale con quei nick name che non sai neppure se in realtà esistano realmente, e sotto sotto neppure mi interessa saperlo; ed infine il momento tragico in cui quel nick name si rivela essere veramente una persona, ma che non sarà mai comunque come l’immaginazione mentale l’aveva prefigurata, perché pretendo sempre tanto, ma se gli altri ti dicono sempre che sei già tanto come fai in conseguenza logica a non pretendere tanto? Il dubbio, il crollo delle certezze, le domande, le aspettative, il sollievo, le conferme.

Quando stappi una bottiglia di vino non sai mai cosa ci può essere veramente dentro, così come quando conosci una persona. E’ per questo che preferisco una bottiglia di vino ad una qualsiasi persona, perché se quella bottiglia non mi piace non mi servirà neppure elargire una menzogna subito svelata da uno sguardo inequivocabile, condizione imbarazzante con una persona, meglio la bottiglia , lei non pretende neppure che gli si rivolga una parola e io sono ben lieto di non farlo se non ne vale la pena. -gdf -



mercoledì 13 luglio 2011

soddisfazioni!

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E' bello!
fai una grigliata di pesce con 8 amici, porti il vino (perché ormai TU sei quello addetto al vino) stappi, e tutti, ma proprio tutti 'amano' quello che stanno bevendo: SP68 bianco di Arianna Occhipinti. Beh, sono piccole soddisfazioni.
Grazie mille Ari!


lunedì 11 luglio 2011

Liguria: Caffè , Taurina e le emozioni dell’Entroterra

- gdf 2011-
Lo schermo bianco della mattina e nessuna voglia di sporcarlo, non amo il caffè , però a periodi lo bevo, ma mi chiedo io stesso perché, perché macchiare così la mattina? Provare a farne a meno mi stimola più che berlo. Caffeina la mattina, molto italiano, molto ripetitivo, molto stretto, molto appartenente, definito e stretto, come a voler chiudere già la giornata in senso stretto , stringendo le vene, reprimendo ogni fantasia , dritto verso l'obiettivo, concentrato come il cervello che lo deve subire per render conto al corpo del risultato con gli interessi diluiti per inerzia durante il giorno. L’effetto cala, prendine un altro, uno tra la trentina di possibili varianti italiche; quello colloquiale poi sembra meno devastante, ingannevole per due, gomito a gomito al banco . Stretto e definito, il caffè ristretto, amaro, cattivo, bollente che ti brucia le bocca, spasmi al palato , la lingua che si ribella ad una temperatura inumana; immediatamente il colon si coalizza alla ribellione quando riceve l’ennesima provocazione da quella botta di caffeina bollente. L’intestino, il secondo cervello, prende il comando delle operazioni, deciderà lui ora come reagire, se allargarsi o stringersi. Se ci metti vicino il bicchierino di acqua fredda sai già dove andare a finire, dove ti manderà e dove andrà a finire quel caffè insieme alla cena della sera prima. Sembra una liberazione ma comunque ti farà male. Mi chiedo come mai non c’è scritto sulla tazzina che questo caffè ti può uccidere, questo caffè può crearti dipendenza, questo caffè potrebbe farti fuori prima che tu esca dal bar, potrebbe crearti delle palpitazioni fuori controllo. Calma, adesso mi calmo, adesso mi faccio una sigaretta , così mi rilasso, almeno li ci sono scritte sopra le avvertenze, così mi tranquillizzo, di questa so che posso morire serenamente , c’è scritto chiaramente sull’involucro. Invece il caffè è infido, fuori dai bar non c’è nessuna avvertenza che ti metta in guardia sulla probabile pessima qualità che puoi trovare dentro una tazzina. Mi fa male il caffè, allora almeno che sia buono , ma non ci credo che non si possa far bene o buono ovunque. Stupirsi quando è profumato e delicato, quando non sa di acqua sporca, quando non sa di residui di macchina e di filtri del giorno prima, doversi complimentare quando è per lo meno accettabile. Questo giù al chiosco sulla spiaggia lo sopporto bene invece, mi stimola il giusto , non so perché, forse perché non sa di bruciato, forse perché mi diverte quella schiumetta soffice e delicata. Qui lo prendo sempre lungo, e attendo pazientemente che la temperatura si quieti e mi lasci avvicinare le labbra. No, non é per quella perfida quarta rigida messa li sotto alla sua Cimbali e al mio naso ; sotto anche al suo naso, improbabile in quel contesto fisico, fossero rifatte da già che c’era cosa gli costava includerci il naso nel budget? Quindi secondo me è tutto naturale. Mi ricordano la freddura del trenino elettrico, cose che dovrebbero essere per bambini, poi invece ci giocano gli adulti. E il fondo schiena? Delineato come un cappero. Rifinito con il compasso. E un vita bassa che finalmente trova un senso etico ed estetico. Ma giuro, è il caffè che mi ha colpito! Gli faccio i complimenti per il caffè, meglio non dare nulla per scontato, con questo caldo ci vuole proprio un caffè per tirare avanti sul lungo mare , detto sinceramente, senza voler creare equivoci. La prende bene, sorride sotto i Persol, si stappa una Red Bull e accende un sigaretta “artigianale”. Capisco, per resistere per ore in un chiosco da spiaggia con quel fisico non bastano due o tre caffè e un pacchetto di Camel . Provo la Red Bull, Belìn che botta, ma come fai a bere sta roba, ti fa correre, e fa già caldo da fermo, figurati a correre. No, no cara ragazza, sei troppo pericolosa per i miei gusti, oggi pomeriggio vado nell’entroterra, la si sta freschi e tranquilli, tranquillo che non ti succede niente nell’entroterra…

domenica 10 luglio 2011

Trovare ottimi vini di grandi annate e a buon prezzo non è così difficile...

- gdf 2011 -

Dove sarà mai questo ristorante situato in prossimità del confine alpino franco italiano ? E uno risponde, ma chi se ne frega di saperlo, ce ne sono tanti, e per conoscere quelli più famosi basta aprire la rossa. Invece qui la particolarità primaria non è relativa all’alta qualità della cucina, comunque dignitosa ed improntata su una diligente linea bistrottiana che si articola su diversi menù compresi tra i 25 e i 49 euro, bensì sulla curiosa carta dei vini, dove trovare perle come quella Nicolas François 1998 di Billecart & Salmon intorno agli 80 euro che ci siamo bevuti il mese scorso.

Lo spesso volume contiene una sequenza piuttosto impressionante di notissime etichette prezzate ancora a costo storico, mi vengono in mente alcuni Hermitage, per esempio lo Sterimberg di Jaboulet sui 50 euro, e ancora altri Champagne di grande blasone messi su un livello di quotazioni bloccate da chissà quanti anni. Ora, non è che si debba partire ed andarci apposta, o anche si, se non ci si trova a troppa distanza. Oppure si può deviare da un itinerario, valicando le Alpi da quella parte. O ancora mettersi d’accordo in quattro o cinque e andare allo stappo selvaggio e saccheggio premeditato. Normalmente queste cose possono accadere in locali dalla nobiltà decaduta, per esempio qualche vecchio Relais et Chateaux ormai in disarmo, ( per esempio La Bonne Etape di Chateau Arnoux) dove la cucina ha fatto la sua storia ma la cantina continua a contenere preziosi flaconi abbandonati da una clientela che ormai si è estinta, ancor prima delle scorte in cantina. Flussi turistici cambiati, stellaggio Michelin che ha deviato il suo corso e di conseguenza quello dei gourmet, nuovi status simbol gastronomici, concentrazioni di buone tavole in regioni diverse da quelle classiche. Succede anche in Italia, forse anche più spesso che in Francia, dove l’attenzione sui propri vini è ovviamente maggiore ed i prezzi rivalutati coerentemente. Stupisce quindi ancor di più questo caso, perché non si tratta di un nobile decaduto ma di un onesto ristorante d’albergo preso regolarmente d’assalto dalla clientela locale e da qualche turista ospite delle dignitose camere, che invitano ad una sosta almeno doppia, cena e pranzo susseguente, per poter meglio metter le mani sulla prodigiosa carta dei vini, anche per scoprire produttori meno noti, qui messi in risalto più che altrove. Un buon metodo per cercare e a volte trovare condizioni privilegiate di qualità, di prezzo e di maturità delle annate dei vini in carta è quello di andare a togliere la polvere a qualche vecchia edizione della Michelin Italia o Francia , verificare quante stelle si sono spente negli ultimi venti anni in una determinata area e provare coraggiosamente a metterci il naso dentro. In mezzo a quelli declassati o ridimensionati non sarà difficile trovarsi di fronte a qualche ristorante ancora interessante, almeno sotto questo punto di vista. Uno per tutti in Italia, notissimo , è L’antica Osteria del Ponte, di cui non tralascerei nemmeno l'intramontabile buona mano di Ezio Santin, e la cui cantina è stata per decenni una delle più fornite di chicche, soprattutto francesi, ma altre situazioni analoghe si incontrano per la penisola così come per l’esagono. Il dettaglio delle carte dei vini dei quattro locali citati in questo post non sono online, meglio così in fondo, in questo modo il piacere della bella sorpresa non sarà compromesso da un eccesso di informazione virtuale.



Hotel du Nord
Place du Champ du Foire
St Jean de Maurienne

Tel: 0033 (0)4 79599131


-gdf-







E infine una chicca, oggi sono generoso. Qui di seguito in link un indirizzo prezioso dedicato a chi ama i vini molto maturi, ben conservati e abbinabili ad una buona cucina tradizionale a zero stelle. Magari un bel menù truffes ed Hermitage. Infatti qui a Mondragon il tema principale è territoriale, il Rodano appunto, ma anche altre regioni non sono sottovalutate:


venerdì 8 luglio 2011

Poesie per Dageneau.

Come si dice in questi casi, ricevo e volentieri pubblico, perché quando l'immaginazione, la fantasia e la deformazione del pensiero emerge così ondeggiante dal bicchiere di un vino, a quel punto un po' mi specchio. Un sorriso abbozzato all'angolo della bocca mi si allarga progressivamente mentre leggo queste note colorite che solo un vero appassionato può arrivare a comporre come fosse un piccolo poema dedicato. Che poi i vini in questione siano proprio di chi fu Il Poeta visionario della viticultura della Loira significa che non manca più niente. I vini dell'uomo del Silex, del Pur Sang, dell'Asteroide, del Paradoxe e dei Giardini di Babilonia possono anche essere commentati così, con dei descrittivi discutibili solo se ci fermiamo alle apparenze, che sono poca cosa rispetto a chi riesce a guardare oltre l'orizzonte più prossimo. Ci sono altri vini in mezzo ai Silex, ma non importa, è il modo che qui va oltre il soggetto- gdf-

-di Santolo Cuozzo -

Ora, va bene, lo ammetto, ma non mi ci fate tornare ancora su… Mi mancano ancora tante bottiglie e tanti assaggi, ma l'evoluzione di 'sto Silex poco mi convinse…

Si comincia col thriller…. Ma non fu tappo!!!

Silex 1992: ASSENTE !! Lasciato, dimenticato, definitivamente avulso dalla batteria. Alessio: un leone in gabbia, avesse un elicottero o foss’anche un CanadAir che so, tornerebbe a salvarlo. Freme, impreca sommesso, fulmini e saette sul cellulare che bolle... Niente da fare. Nessuno può più nulla..sarà lasciato al suo destino. C’è solo da sperare che prima o poi riemergadalle muffe di cantina e si assaggi a chiusura postuma, ahinoi, della verticale.

Alessio si rassegna ma non e' domo. Altri piccoli inconvenienti, qualcuno non di poco conto ma di cui non vi darò conto alcuno, e poi si placa . . . Finalmente si beve!

Con più di un intruso ad alleviar la mancanza.

Champagne Rose Reims - Philippe Costa. 7 anni sui lieviti primo anno di produzione. Solo acciaio. Crosta pane e bouquet della sposa agitato sotto il naso. Interessante, magari giudicheremo successivamente.

Al fin, la nostra batteria.

Pur Sang 1996 - Alici marinate, gomma vulcanizzata e olio tartufato. In fondo, ma molto in fondo, fumeè delicato e piacevolissimo. Lo scaldarsi lo valorizza, lo amplia, ne denota un eleganza insperata alla prima snasata. E davanti a me si materializza l'indimenticato Mario Brega e ti prospetta il dilemma: sta mano po esse fero e po esse piuma... E l'alternarnza mi e' dolce in questo mare.

Apre la bocca con pizzicotto al palato. Poliedrico in abbinamento passa dal tubetto pomodoro melanzane e tonno al delicatissimo sarago alle erbe e purea all'olio. Largo al largo e dolce senza zucchero... 93/100 . Mi è proprio garbato, si si.

Silex 1995

Corto anziché no e leggermente agrumato. Verticale spinto. Al naso balza la sanguinella in sul calar del sole. Si agevola col sarago delicato servito dall’Oste e ti da una ragione per berlo. Ma non ci siamo...A lungo andare sembra riprendere un po’ di vigore. 85+/100

Silex 1996 giallo oro scintillevole. Naso chiuso leggera botritis in andirivieni. Ti domandi cosa ti aspetta all’assaggio. Sorpresa: Stilettata di acidita'. Profondissimo all'assaggio, imponente, ma che dico, invadente oliva taggiasca con frustata amara lenta a mollare. Non sono convinto che sia la bottiglia ma l’annata in se. Magari riassaggeremo, se la tasca in futuro ne darà una ragione plausibile. 84/100

Silex 1997

Finalmente la pietra di silicio di cui in etichetta. Non lunghissimo, avvolge, ammalia ma non incanta eccessivamente. Una pennellata di cedro e pietra lavagna al naso con coerenza retrolfattiva. Beva accattivante e certamente più morbida delle precedenti annate. Forse ma forse, l'unico Silex con un'onda fiorata. 89/100

Silex 1998

Registro analogo alla 97 con beva ancora più agevole ed un filo piùcomplesso all’olfatto. Sapido deciso abbinato a tubetti al pomodoro, tonno e melanzane ghiottoni che ne allungano il sorso. Dei silex il più piacevole. Lento lento, lungo giusto. Il più buono dei 4. Piacevole finale al bergamotto. 90/100

Vin Santo Barattieri 1996

Trebbiano e malvasia. Maturazione nei tradizionali Caratelli trad. Aperto da 4 giorni. Mantiene una caffè dolce che tiene sotto scacco il lieve salino perdurante. Lunghissimissimo. Dopo 5 min. ancora frulla in bocca sempre lasciando un vena aperta per abbeverarsi al dolce sale. Tabacco dolce da masticare e tabasco con quella impercettibile nota piccante. 96/100….. Mamma mia …..Mamma Mia ….Let me go!!! (direbbe Freddy Mercury)

Le Jardin de Babilone 2004 - al naso mai e poi mai diresti un vino dolce…e tutto sommato nemmeno in bocca. Spina acida piantata ed inossidabile. Non la smuovi. Croce e delizia. Ti domandi: ma prima o poi mollera' la presa? Un Pur-Sang vestito da donna, charmant .. 91/100

Questo è quanto mi son sentito e ricordato.

-Santolo Cuozzo-


Jura | La festa del 16/17 Luglio al Domaine de La Pinte

- gdf 2011 -
Tra le iniziative più intelligenti che un produttore di vino può decidere di mettere in pratica c'è sicuramente questa: aprire uno show room adibito a vendita e degustazione al centro della località di riferimento della regione. In questo caso la regione è il Jura è la località di richiamo turistico è Arbois. Riuscire poi ad aprire il locale giusto di fronte ad un ristorante due stelle Michelin vuol dire garantirsi una ricaduta di clienti già ben disposti ad assaggiare e comprare vini di qualità. Poi, se affascinati dalla qualità e dalla tipicità dei vini si vorrà anche fare un salto al Domaine, la giornata sarà sicuramente stata spesa bene: http://www.lapinte.fr/
Molto bella anche la proprietà, circondata dai 34 ettari di vigneti tipici del circondario : Chardonnay, Savagnin, Poulsard, Trousseau e Pinot. Il Domaine può contare su una gamma decisamente completa di denominazioni, oltre a qualche chicca come questa che vedete qui sotto:

Si tratta di un passito. Le uve sono state messe ad appassire durante cinque mesi prima della vinificazione e il risultato è tutto espresso in un bouquet costruito su sentori di spezie dolci, frutta secca e frutta disidratata. Ottimo con pane tostato e torcione di foie gras. Meno interessante il tranciante Cremant , veramente dura buttarne giù più di un bicchiere, cosa più probabile con i rossi, dove tra Pinot e Poulsard ha invece per una volta la meglio il sostanzioso Trousseau, più completo e il più complesso tra i rossi assaggiati. Interessanti i bianchi, puliti e fini, dai sentori netti e precisi. Più complesso il Savagnin dello Chardonnay, che da queste parti si esprime in maniera molto diversa rispetto alla Borgogna, meno ampio, più secco, più acido, più magro. L'azienda è biologica già dal 1999 è si è definitivamente convertita alla biodinamica da un paio d'anni. Sapendo quanto amino queste cose gli armadilli , e siccome dovrebbero stare non troppo lontano da Arbois in quelle date, volevo ricordare che per il 16 e il 17 Luglio è prevista una bella festa al Domaine, che apre le sue porte ai curiosi e agli appassionati. Si tratta di farsi un'oretta di autostrada da Maçon e cambiare aria, uscendo per una volta dai consueti itinerari borgognofili. Le informazioni sono contenute nel sito. Per i dettagli basterà inviare una mail. Inoltre, pare che l'azienda non abbia più un importatore in Italia, se qualcuno fosse interessato credo che l'azienda possa essere di nuovo disponibile , e i prodotti sono sicuramente interessanti per il nostro mercato.

La piazza di Arbois

mercoledì 6 luglio 2011

La cucina delle suocere mancate

- gdf Luglio 1961/2011 -

Non c'entra niente, ma volevo lo stesso dedicare questo post ad Ernest Hemingway, che moriva giusto tre settimane prima della mia messa in onda.
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Post chiaramente vendicativo, cattivo e per l’ennesima volta tendenzialmente misogino. No, non posso mangiare una sia pur mediocre melanzana alla parmigiana self made mentre in video sul G.R. Channel passa un’ambiziosa signora in età pensionabile in grado di mettere in padella e in forno una sequenza di inguardabili errori culinari che fanno inorridire anche il paziente Max Mariola. Dice che faceva la hostess, ma non fatemi credere che per decenni abbia mangiato solo dentro quei tristi vassoi pluriscomparto ma monotemperatura in regime di precarietà di luoghi e di orari; ma se così fosse avrebbe finalmente una giustificazione quell’eccesso continuo di inutili complicazioni tipiche delle donne in carriera, che per vendetta sulla sindrome della massaia , quando sono in casa, fanno della contorsione mentale, dell’infondata autostima e della disorganizzazione il tema principale da sviluppare prima di portare in tavola una serie di tante piccole cose di cui resterà il ricordo all’ospite solo in fase digestiva, e a lei, volendola cogliere, di riflesso all’espressione angosciata dell'improbabile futuro genero. Mi potrei accanire più sulle figlie che sulle mancate suocere, soprattutto quelle che non me l’hanno data, le altre sono da ritenere assolte per mancanze di “prove”, oppure dell’assolvente “non ricordo” . O al contrario, quando invece qualche dettaglio relativo alle malefatte culinarie delle mancate suocere inconcludenti in cucina, è stato coperto dalla bravura delle figlie, in grado di portare comunque a termine al meglio qualsiasi soufflé, anche in condizioni poco privilegiate, virtuose dell’improvvisazione, magari scarse di tecnica, inesperte, ma finalmente efficaci.

Quella che ti vedeva troppo bimbo per la sua piccola biondina con gli occhi azzurri e la buttava sulla crostata di frutta troppo dolce, gommosa e bruciacchiata: cara la mia mancata suocera, hai visto quante volte ti è rimbalzata?

L’altra che le capesante fanno figo con il ragazzo di campagna, però se me le gratini alla piemontese 15 minuti in forno riuscendo a seccarle anche se coperte da due dita di bechamelle te le lascio li comunque, e sarà per colpa tua se non ne mangerò più per anni per non far riemergere il ricordo.

Il messaggio subliminale estivo di far cuocere delle grosse banane sul barbecue perché devi far vedere che hai il giardino, perché devi dimostrare la tecnica per rammollire le banane senza bruciarle, beh, non ti preoccupare mancata suocera, la figliola è già più avanti, lei non le lascia neanche prendere temperatura.

Il frigorifero semivuoto e dietro le ante dei mobili di cucina neanche le padelle, però a ben guardare ci sono 6 Laurent Perrier in fresco, allineati in frigo come soldatini pronti alla battaglia. Tutti magri in quella villa, almeno a guardar le foto di famiglia, forse ho fatto male, quella suocera inesistente non era da sottovalutare, peccato non averla mai conosciuta, mai in casa, sempre in ufficio, fabbrica grossa. La figliola invece si, sempre in casa, si muoveva poco ma andava di corsa, doveva finire l’elenco del telefono degli under 30 ancor prima dei Laurent Perrier.

Il pomodorino, per cortesia, anche questi tutti magrissimi, anch’io all’epoca, ma basta con questo pomodorino condito solo da un contorno di quadri dell’800, da staccarli a morsi dalle pareti, ma tienitela questa carta velina passe partout incartapecorita!

Mi mostra con orgoglio la batteria di padelle costosissime che cuociono senza niente, senza condimenti, senza sale, ma soprattutto senza gusto. Meno male che tutto il sale e il pepe ce l’aveva tua figlia cara la mia mancata suocera.

Ma non c’é mai nessuno in queste case, chissà che faccia avrà la mamma di questa che ti aspetta al varco alle 16 in punto con Martini Bianco, ghiaccio, molto ghiaccio, e solo due patatine. Qui il frigo non vado neppure ad aprirlo, svegliati Guardiano, questi alle 18 tornano dalla fabrichetta.

Ma cos'è questa puzza di pesce marcio? No? Era pesce fresco quello che hai messo sulla griglia del caminetto? Apperò, e perché puzza in questo modo? E cos'è che gli sta colando dalla pancia? Non gli hai tolto le interiora! Del resto, come si fa a ricordarsi tutto quando si cucina...

Il papà che sa fare i cocktail, caspita! Dai buttiamoci giù due Negroni e un Milan Turin vecchio mio: allora, ce la fai mancato suocero? No, steso e biascicante; questo poi magari picchia i nipoti quando si concia così, però adesso lui dorme sul divano, noi no, andiamo di sopra, ma niente prole cherie, my Negroni is under control.

Le sfogliatine ripassate nel forno a mezza sera sapevano di margarina riscaldata, guarda che ce l’ho un naso cara signora, pensa che a tua figlia puzzano i collant già alle 10 del mattino. Come faccio a saperlo? A dire il vero era sfuggito anche a me, me ne sono accorto solo nel pomeriggio, dall’entusiasmo non mi ero nemmeno accorto che li indossasse.

-gdf-


martedì 5 luglio 2011

Louis Carillon & Fils | Un bicchiere per due

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Le bottiglie che vedete qui sopra fanno parte dell’ultima cassetta che abbiamo trovato al Caveau de Puligny Montrachet. Si tratta di una delle più grandi riuscite dell’annata 2009 tra i grand cru della Cote de Beaune. L’amico Julien Wallerand del Caveau di Puligny ( ehilà, il ragazzo ha messo su un bel po’ di chili…) oltre al cartoncino ci ha dato anche una pessima notizia, confermata anche dal sito internet di uno dei migliori produttori di Puligny. I fratelli Jacques e François Carillon, dopo una trentina d’anni di coabitazione hanno pensato bene di dividere il Domaine. Già di questa roba eccellente ne producevano uno sputo, adesso dovranno dividersi anche la salivazione?Personaggi particolari i Carillon, che non accettano visite, salvo riservarle ai clienti professionali, e comunque , anche riuscendo a metterci un piede dentro, senza prevedere la possibilità di visitare la cantina. Cosa ci farebbero vedere? Gli uffici e il cortile del Domaine? Sempre chiuse quelle porte, mai visto entrare o uscire qualcuno. Gente schiva, suscettibile, che non manda campioni alle guide o affronta sportivamente degustazioni comparative. Ma non mi sono mai posto il problema di incontrarli perché i loro vini sono sempre stati reperibili senza troppe difficoltà , e poi a me interessa cosa c’è dentro il bicchiere, indipendentemente dalla simpatia del produttore, ma quando mai. Questi due nei decenni, pur possedendo un solo fazzoletto di grand cru, hanno spesso centrato il bersaglio anche con alcuni dei loro premier cru di Puligny Montrachet, in particolare Les Perrieres e Les Combettes, non facendo quindi mancare qualità e discreta quantità, almeno per i parametri a cui ormai mi sono adeguato. Ma dal millesimo 2010 la caccia al tesoro si complicherà ulteriormente e sarà, come speso accadde in Borgogna , ancor più affascinante, andando ad affrontare stili e manici diversi applicati all’ interpretazione di un medesimo terroir. Il Domaine, così com’era, aveva in dote circa 11 ettari vitati , molti dei quali sul comune di Puligny , un premier cru su Chassagne, più qualche orticello sparso tra Saint Aubin e Mercurey. Adesso, presumibilmente gli ettari saranno divisi in due e quindi la produzione annuale di Puligny e Chassagne scenderà drasticamente attorno alle 15.000-20.000 bottiglie annue, numeretti che ricordano le micro produzioni di mostri sacri della Bourgogne che fanno di nome Guffens-Heynen o D’Auvenay. A questo punto la caccia a quel che resta del 2009 con l’etichetta Louis Carillon può partire, subendo l’inevitabile speculazione che farà salire i prezzi al mercato nero, nel frattempo sarà il caso di mandare una bella letterina a uno dei due? O magari a tutti e due in previsione del 2010 ? Perché la loro distribuzione è stata sempre ben organizzata in passato, tra importatori stranieri ed enoteche o ristoranti di prestigio sul territorio francese, in più non hanno mai disdegnato la vendita a clienti privati. Quindi le vie per raggiungere i loro Puligny sono ora più di una. Proviamo? Sono proprio curioso di vedere come risponderanno ;-)

http://www.louis-carillon.com/contact.htm

lunedì 4 luglio 2011

Chambertin 2009 | L'apoteosi del Domaine Rossignol-Trapet

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Come facilmente prevedibile il successo internazionale del Domaine dei fratelli Usignolo-Trapet ha fatto si che ormai per andare a fare un giro à la pipette nella loro bella cantina sia necessario prenotare la degustazione con largo anticipo. Giapponesi, inglesi, belgi, olandesi, scandinavi e americani hanno progressivamente aperto gli occhi e le narici, et voilà, il meritato riconoscimento è arrivato a premiare uno dei migliori Domaine biodinamici del mondo. Tuttavia gli intelligenti ragazzi di Gevrey Chambertin non hanno dimenticato le facce di chi andava a bussare anche in tempi diversi, quando il loro 2002 usciva timidamente dalla media generale dei vini del comune, quando il 2003 gli si attaccò alla padella e quando il 2004 gli rimase acerbo e verde come un cespuglio di genziane. Fu il favorevolissimo 2005 a far capire come potevano andare le cose, il seguito fu tutto un cammino in discesa, con il solo millesimo 2007 a lasciare una vena amara in bocca. Ecco, qui il rischio preso sul tema della biodinamica non è la perdita di controllo aromatica o l'aspetto sporco di un determinato vino ma è invece rappresentato dalla consapevolezza che sia quasi impossibile non subire le caratteristiche del millesimo. L'impressione è che non si cerchi di dare un aiutino o un ritocchino alle annate meno esuberanti, mentre si riesca ormai a cogliere in pieno le opportunità di una grande annata. Qui l'impegno primario sarà delineare e definire ogni singola denominazione . Ogni impegnativa degustazione avvenuta in questa cantina sarà ampiamente ripagata dal riscontro didattico, perché la scalinata delle denominazioni è scolpita al punto che dopo un paio di giri anche il neofita comincerà a non avere più grossi dubbi nel distinguere le diverse appellation, anche se si trovano collocate a distanza di poche centinaia di metri. Stavolta abbiamo avuto poco tempo, proprio per l'arrivo incombente di una delegazione multietnica alle prime armi, e dunque teoria e pratica avranno avuto modo di fondersi nel migliore dei modi. In bottiglia c'è il 2008 ( già in vendita), il 2009 ( in uscita a ottobre) e il 2010 in botte. I ragazzi si saranno sicuramente divertiti. Per noi un rapido giro culminato dall'ultimo tassello mancante, l'unico degli Chambertin (dal 2002) che non avevo ancora assaggiato. Lo stappo dello Chambertin 2009 è stato dato quasi per scontato, come dire, cosa vi serve fare tutto il giro ... e bevetevi questo che per oggi siete a posto, dove andate adesso a berne uno come questo? Questo immaginavo io mentre mettevo dentro il naso nel vino, ma l'umiltà dei fratelli Trapet sicuramente li terrà ancora con i piedi ben attaccati a terra, nonostante questo momumentale Chambertin lascerà il segno nella storia del comune di Gevrey Chambertin, e nonostante il prezzo del vino più complesso del Domaine sia ormai prossimo ad avvicinarsi alla vertiginosa quota dei 100 euro, ma è altrettanto vero che ci sono almeno trenta altri produttori o negociant di Chambertin grand cru a cui non offrirei neanche 20 euro per una bottiglia della stessa denominazione .

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