lunedì 20 agosto 2018

Deviare per credere

- by lifeonthetopfloor -


Perdersi: la parola ha un’accezione negativa? No, se si parla del perdersi intenzionale, quel gesto voluto che, sulla strada di casa, porta a svoltare, deviare, lasciarsi depistare per puro amore del viaggio. Unico scopo: la Bellezza del divenire. Viaggiavamo in cabrio, a cielo aperto e ritmo lento, per interiorizzare il paesaggio e liberare la mente. Lasciato il mare alle spalle, le dolci colline piemontesi. La decisione di perdersi è arrivata con naturalezza; si è imposta con gentilezza: perdiamoci, perché la strada è troppo dritta; perdiamoci, per il gusto del percorso; perdiamoci, in cerca di ispirazione; perdiamoci in nome della conversazione e per lasciarci sorprendere ancora; perdiamoci per temporeggiare: il lusso più bello. MirePuà Food Lab, nel centro storico della piccola Rivalta Bormida, temporeggia ad arte, sospeso con perspicace innocenza tra passato e futuro, tra gli affreschi barocchi di Palazzo Bruni e la vivace sperimentazione che si affaccia con misura e sobrio rispetto per la tradizione.


MirePuà è storia di sapienti deviazioni, tutt’altro che inconsapevoli: il primo a voler cambiare strada è stato il sindaco di Rivalta Bormida, Claudio Pronzato, che ha visualizzato un ristorante tra le mura settecentesche di Palazzo Bruni; ristorante? No, parliamo di Food Lab, spazio di creazione e innovazione – altro spostamento di realtà; lo stesso nome, MirePuà, è fuga dal francese mire poix; in autostrada, l’uscita di Ovada è essa stessa deviazione e tradisce l’intento di non voler tornare: “I veri viaggiatori partono per partire e basta” scriveva Baudelaire. Dalla costa, la cabrio vira, ed è subito mare verde dove l’occhio si perde – perdersi, nell’accezione che ci piace.

Gaia ci accoglie con la delicatezza e il sorriso: la nostra tavola estiva è apparecchiata in cortile, spaziosa e ben distante dalle altre; semplicità, discrezione e minimalismo entrano in piacevole contrasto con la solennità degli interni: “tradizione oggi”, dopotutto, è il motto del Food Lab, che lo chef Federico Ferrari esprime in una cucina deviata quanto basta, creativa di testa ma con i piedi ben radicati a terra – o meglio, al territorio. È una sperimentazione che avanza in punta di piedi, quella di Federico: raffinata e sottile, posata e umile. Dopotutto, di barocco ci sono già i soffitti. E di tradizione ce n’è già tanta nelle mura settecentesche: il tonno di coniglio è l’antipasto conservatore che non manca, ma è al tartufo, per distinguersi.

Poi, forse già nostalgica per aver lasciato il mare, oppure confusa dalle onde color verde Langa, ho deviato io, cercando insolite note mediterranee tra le colline piemontesi. Se si sperimenta, tanto vale farlo a un Food Lab. Deviazione di successo la melanzana arrostita con agro di pomodoro e salsa di provola: ingredienti di carattere, ritrovati in un accostamento semplice, perfettamente eseguito; il risultato è un piatto profumato, fresco e bilanciato, piacevole di consistenza oltre che di gusto.


Meno riuscito l’azzardo del secondo piatto: deliziosa la crema di patate al limone, per la delicatezza ravvivata da un tocco di discreta acidità; un po’ troppo imponente il calamaro con il suo ripieno di verdure, in una presentazione che compromette l’equilibrio dell’insieme.

I dessert sono stati un’incantevole rivelazione. Sulla carta intrigano e al palato stupiscono. Pistacchio e cioccolato ivoire è elegante e femminile: l’oro verde – qui presentato in diverse consistenze – indossa l’abito da sera in color avorio, di seta: fresco, morbido, raffinato. L’entrata in scena è di gran classe e l’abito ha uno strascico importante, che non si scorda facilmente.




Davanti a un calice di Brachetto d’Acqui, che ci prende per mano, lo chef racconta di aver intrapreso un percorso di approfondimento sulla pasticceria: ascoltiamo curiosi e, golosi, pensiamo a quando tornare; che per il lusso di perderci conosciamo la deviazione.


domenica 12 agosto 2018

Wonder Wheel



- by lifeonthetopfloor-


Sanremo è nostalgica: una perla così – si dice – non può essere dimenticata in fondo a un cassetto; arriverà sicuramente qualche sognatore illuminato a tirarla fuori e riportarla in luce. Sembra la favola della Bella Addormentata, anche se qui la strega non c’è: Re e Regine sì, però; e anche musicisti, scrittori e splendenti First Lady.

Siamo ai tempi della Belle Époque e Sanremo è la più preziosa perla della Riviera dei Fiori, destinazione di punta per il jet-set mondiale; l’età d’oro del Liberty, dei grandi alberghi e delle feste alla Great Gatsby scalpita per tornare in vita tra le maestose mura del Miramare The Palace Hotel Sanremo, riaperto a febbraio 2018 dopo una ristrutturazione premiata dalle cinque stelle lusso e culminata nell’inaugurazione del raffinato Mimosa Restaurant. Basterà a riconquistare il cuore della bella Daisy?


Tre bottiglie di finissimo champagne per riconquistarla. “Les Maillons” Ulysse Collin è il galante invito a cena: arriva in punta di piedi – danzando su note fruttate e floreali – per poi sprigionare – onesto e generoso – un carattere audace, ma anche rispettoso e auto-ironico, mai invadente. Tavolo in terrazza; la vista sulla piscina – colorata di intenso blu elettrico – rinfresca i sensi in una calda serata d’agosto. Per Daisy, insalata di King Krab, ginger rosa e crema di avocado: un piatto straordinariamente bilanciato e rotondo, esotico nell’ispirazione, che regala le sensazioni rassicuranti del rientro a casa al termine di un lungo viaggio.

Il temerario invito a danzare arriva con “L'Apôtre” David Léclapart. Il salone è illuminato da sfarzosi lampadari di cristallo e le pareti bianche luccicano come diamanti agli occhi pieni di meraviglia di Daisy. Il senso, seppur sussurrato all’orecchio, arriva forte e chiaro al cuore: champagne opulento, dal gusto complesso e persistente, elegante messaggero di verità.


Al King Crab segue la capasanta su vellutata di asparagi, spugnole e tonda gentile: la conchiglia di Saint Jacques rivela il proprio candore di perla senza timidezza alcuna, in un accostamento morbido ma deciso; un piatto volitivo che – nella ricerca dell’equilibrio tra purezza salina e intensità terrene – tradisce mano e pensiero dello chef Manuel Marchetta.

Arriva al tavolo la ruota della piccola pasticceria: giocattolo dal sapore rétro, aspirante Wonder Wheel dal retrogusto melanconico, che vorrebbe spiccare il volo verso un’altra dimensione e intraprendere un viaggio nel tempo, ma che, alla fine, sa di essere condannata a girare in tondo. Il panorama è lontano, meraviglioso da osservare, ma impossibile da raggiungere. Daisy abbassa gli occhi: non mi fai più danzare?


Champagne Blanc de Blancs Didier Herbert per scendere dalla ruota e chiudere il cerchio: la freschezza d’agrumi sciacqua via l’ingombrante eccesso di decadentismo; schietto, spensierato, sorridente e giocoso, ci accompagna a bordo piscina: al chiaro di luna, ha la raffinata ironia di una chiacchierata notturna tra amici. La nostalgia c’è, ma non è ostentata; il messaggero ha lasciato un segno indelebile ma nell’eterno ritorno non vi è traccia di meraviglia alcuna. Scendere dalla giostra, aprire gli occhi e lasciarsi stupire. Tre, i momenti della Sanremo nostalgica: passato, presente e futuro. Tre, le bottiglie di finissimo Champagne per riconquistare il cuore della bella Daisy.

- lifeonthetopfloor-

sabato 4 agosto 2018

Il pranzo della domenica: l’altra faccia


- by lifeonthetopfloor -


Quante facce ha un cubo di ghiaccio? La risposta è tante quante se ne vogliono vedere. Una verità che vale sempre, chiaro, ma che diventa ancor più lampante quando il cubo di ghiaccio sta sul fondo di un bicchiere e incontra, tagliente, la purezza del gin. Tra ghiaccio e vetro zigrinato, profumo di arancia disidratata e aroma di cardamomo, è bello perdersi in un vortice ipnotico di audaci trasparenze.La soluzione del rebus è Gin & Tonic e la location è il bar del ristorante Ezzelino presso l’albergo Miramonti di Frabosa Soprana.


Non che stavolta il mio pranzo della domenica sia iniziato a colpi di Gin & Tonic, vi tranquillizzo; è che ho deciso di partire dalla fine, perché qui il bar merita notevole attenzione: posto in pole position all’ingresso della struttura, è un invito a leggere tra le righe e cogliere la natura multi-sfaccettata – eccolo, il nostro cubo di ghiaccio – di un luogo poliedrico che è, insieme, albergo per famiglie, rigenerante fuga romantica e sofisticatoristorante gourmet.


Il risultato, inaspettatamente, non è affatto caotico: ogni dimensione trova qui il proprio spazio per esprimersi, senza infastidire le altre. Proprio come la parete verde muschio che, nell’area cocktail bar, affianca quella in rosa antico: diverse quanto basta per volersi bene. Anche la lampada che emana raggi di luce a ventaglio, catalizzando l’attenzione, invita a non soffermarsi su un unico punto ma a cercare, piuttosto, l’armonia fra le parti.


Non mi accontento dell’effetto raggiera artificiale – non certo d’estate – ed esco a cercare il sole, quello vero. È una giornata calda ma i mille metri di altitudine regalano un piacevole refrigerio. Accetto volentieri l’invito a pranzare in terrazza: un calice di bollicine e inizia la festa. Luca torna dalla cucina con, tra le mani, la carta studiata ad hoc per l’occasione insieme agli Chef Antonio Ietto e la moglie Giovanna Tesio. Il menu arriva scritto a mano, in penna blu e bella calligrafia; ha il fascino vintage di una lettera d’amore che, nelle parole – o, meglio, nei piatti – celebra il ricordo degli anni trascorsi a fianco del Maestro Ezio Santin.

L’incipit della lettera è un inno all’estate: i gamberi di Mazara del Vallo con pesche e basilico– serviti a contrasto su una lastra di ardesia –risolvono al palato le opposizioni tra caldo e freddo, dolce e salato, familiare ed esotico. Il sapore del gambero diventa tutt’uno con la consistenza della pesca, confondendo piacevolmente i sensi – siamo in mare o sulla terra ferma? Un sorso di raffinato Chablis ci invita – suadente e deciso – a leggere oltre.

Segue, virtuosa, la brandade di baccalà,immancabile classico d’autore nonché chiaro tributo al passato d’eccellenza trascorso presso l’Antica Osteria del Ponte. Pausa, di nuovo Chablis, punto e a capo: i toni si animano e la lettera si lascia andare nella più appassionata dichiarazione, che culmina in una riuscitissima tarte Tatin di peperoni alla brace e gelato alle acciughe.L’avvolgente dolcezza del peperone incontra la sapidità della brezza marina, in un piatto perfettamente bilanciato che è armonia di volumi, colori e sensazioni.


Dopo una rivelazione così, la tappa al bar è d’obbligo. Anche se la lettera lascia l’invito sottinteso, il buon intenditore sa dove andare a parare: riprendiamo il racconto dalla fine, con il rebus – ormai risolto – del Gin & Tonic. Juliana e Domenico, a quattro mani, ci servono – con la simpatia e la naturalezza di chi ci sa fare davvero – un capolavoro di cocktail. Interessante scoprirlo qui al Miramonti di Frabosa Soprana quando il punto di partenza era Milano. La lampada a raggiera riflette la luce colpendo l’intreccio di trasparenze, liquide e solide, che popola il nostro bicchiere. Il gin, versato a filo, investe con garbo il cubo di ghiaccio e io, tra la rarefatta atmosfera delle colline piemontesi, lassù dove si ferma il tempo, riconosco la faccia(ta) di casa.

Sushi vegetale

Un solo tipo di pane, ma perfetto

Gamberi, pesca e basilico

Brandade

Tatin di cipolla dolce, peperone arrostito e gelato d'acciuga

Panino al vapore con crema di fagioli, cipolla rossa all'agro e nervetti

Plin di cacao e fieno, ricotta di capra e brodo di fieno

Milanese (vera) con patate arrosto, salsa BBQ e giardiniera

Pomodoro e mozzarella ... e fragole


mercoledì 1 agosto 2018

La finezza di una bomboniera


- Michela Brivio -

Il bar è sempre aperto e quindi ne approfitto per un’altra sosta e per sorseggiare qualcosa insieme, raccontandovi di Giuseppe Cereda e della sua Cucina.
Bergamo mi è sempre stata nel cuore. Ora è anche la mia città e quindi ho finalmente più occasioni di frequentare i luoghi e le persone che amo.



In un’atmosfera elegante e leggera di un signorile palazzo cinquecentesco si aprono le porte di questa piccola bomboniera, nascosta e protetta dal “magico” mondo degli chef e giornalisti, per vivere e risplendere di luce propria, senza maschere o finzioni, ma con una spontaneità e sincerità disarmanti.
Giuseppe è un cuoco di poche parole e tanti fatti, che non ama mettersi in mostra ma dare sostanza al suo lavoro, che è fatto di passione, valori, dedizione, condivisione e forza della squadra che insieme a lui opera per regalare emozioni.



Il suo umile approccio però nasconde un’esperienza e una capacità espressiva davvero intesa, frutto sì di trascorsi importanti e stellati, ma soprattutto di una gran dote e dono che niente e nessuno ti può insegnare.

I lievitati
La sua cucina è un intreccio tra tradizione e modernità, con al centro la materia prima, rispettata e valorizzata con tecnica e grandi equilibri, giocando con pochissimi ingredienti. Dico giocando perché Giuseppe ama proporre uno stesso ingrediente nel piatto, estraendone tutto il concentrato in diverse consistenze e preparazioni.
Esempi per chiarire.


Fegato di vitello all’extravergine e frutta speziata.

La frutta è una confettura speziata, cremosa. La frutta è disidratata, croccante.


Taleggio caramellato e lattuga.

Che piatto! E che taleggio! Un’intensità davvero esplosiva in bocca, sia per la consistenza liquida perfettamente ottenuta che per il gusto. Indescrivibile a parole.
Qui è la lattuga a presentarsi in diverse vesti: cuore fresco, fermentata e estratto.


Che ne dite?
Proseguo.
Ero al tavolo con un amico, loro cliente, fornitore e anche collega. Un ragazzo speciale che produce un olio meraviglioso che ovviamente ha trovato casa qui visto che Giuseppe è un “cacciatore” di eccellenze.

Da quest’anno non è più solo in degustazione ma è diventato a pieno titolo olio ufficiale della cucina.
Non vi dico i numeri di consumo e conseguente ordine, ma mi commuovo inchinandomi al cuoco, che pensa a far star bene i suoi clienti in tutti i sensi. Mi piacerebbe entrare nelle cucine dei più chiaccherati da tutti per vedere cosa trovo….


Sciavuru d’Aliva https://www.sciavurudaliva.it/

  
Tornando in cucina è la bellezza che ci circonda la sua fonte d’ispirazione, un ricordo che trova espressione in un piatto molto immediato che arriva dritto dritto al cuore senza passare prima dalla mente per capirlo.
Ci arriverà dopo per imprimersi e lasciarne memoria.



Sarda marinata a beccafico


Triglia Tonic

Il passaggio dalla tradizione all’interpretazione avviene in modo molto leggero e spontaneo, senza forzature o ostentazioni. Vero è che questo piatto è una bomba, anche perché amo l’acido e l’amaro e qui è un gioco al palato davvero divertente e freschissimo.
Triglia cotta al vapore, spuma di acqua tonica, perle di cetriolo, limone, mentuccia, gelatina al lime e gin 8025.


Babà al pomodoro e mozzarella

Nella foto manca il gelato al basilico, a completare il tricolore.
L’impasto del babà rispetta la tradizione mentre la bagna è con acqua di pomodoro. La crema di base è una mozzarella affumicata e le verdurine danno croccantezza.


Casoncelli ai gamberi rossi e alghe

Un piatto ormai simbolo del luogo. Riassaggiarlo è sempre un piacere. Il gambero è cotto nel ripieno e  nel condimento è crudo e in polvere.
“L’unica cosa è che ce ne vorrebbe un secchio”. Commento live di Gianfranco Tuoro.

Piatto wow. Qui torniamo al territorio a cui Giuseppe è legatissimo.
Il controfiletto di pecora è meraviglioso, delicatissimo contro ogni preconcetto sull’argomento. A completare il piatto hummus di ceci neri fermentati.

La degustazione a mano libera termina qui. Manca la parte dolce, fresca con la granita di liquirizia, spuma di limone e capperi e divertente all’arrivo a tavola di posateria baby.
Ovvio l’aspettarsi qualcosa di altrettanto curioso. Il budino di sedano rapa è servito in formato caramelle gommose. Un gioco. Perché la cucina deve avere anche questo lato gogliardico.

  

Budino di sedano rapa.


Di seguito i vini che il bravissimo maitre Maurizio Conti ha abbinato ai piatti.
Lo conoscevo già dalla sua precedente esperienza ed è un piacere ritrovarlo qui, in uno dei posti che fa battere il cuore.

La carta è sempre in crescita e la selezione avviene personalmente, come tutto del resto, perché il giusto abbinamento è una parte irrinunciabile dello stare a tavola. Giuseppe ama le piccole aziende come me quindi come non può essere amore?




Incrocio Manzoni - Azienda Agricola Tosca
Cinquecampi rosso - Cinque Campi


Informazioni di servizio: menù degustazione a 45€ (lo evidenzio nel caso vi sfugga), possibilità della mezza porzione per quasi tutte le portate, 30x30, se hai meno di 30 anni il menù degustazione costa 30€. Un bel modo per incoraggiare tutti ad avvicinarsi alla ristorazione di livello.
Uno dei miei posti del cuore. Punto.
Ora riparto.





Cucina Cereda
Via Piazzini, 33 - Ponte San Pietro (BG)
Tel. 035 4371900
E-mail: info@cucinacereda.com