giovedì 28 febbraio 2013

La più carina




gdf 2014

Lo dovrebbe capire che non è più una bambina. La più carina, la più sciocchina, anzi, sicuramente la più cretina come diceva non a torto Antonello Venditti quando non si occupava ossessivamente di tutte le uscite del raccordo anulare ma della sua compagna di scuola. Ma non vorrei infierire, poverina, già è depressa e non sta bene di suo, sapesse anche del mio disprezzo sarebbe come metterci un asso di briscola di sopra e renderla ancora più a rischio.

A rischio che ne combini qualcun’altra questa disastrosa sedicente (ho scritto di proposito sedicente e non sedicenne, non è un errore…) giornalista che non sa neppure cosa siano le 5 W. Ma non ditegli niente, già non sta bene di suo.

Io ci ho provato, a spiegargli come vanno le cose. Per esempio: la carne di cavallo è finita negli hamburger e nei ripieni della pasta fresca per colpa del redditometro. I proprietari di ronzini con l'incubo di ritrovarsi alla porta il postino con la raccomandata di Equitalia e il giorno appresso l'ufficiale giudiziario, prima di farsi pignorare la stalla li hanno fatti sparire in  nero. Ma non so se mi ha inteso.

A dire il vero, a guardarla bene  -superata la superficialità della sua eterea bellezza- si sono rese evidenti le orecchie a sventola e le almeno 4 W doppie create istintivamente dall’intreccio delle sue lunghe  braccia e delle sue lunghissime gambe. Come dire, hai visto che postura? Di qui non si passa, scordatelo! Ma non in senso fisico, proprio in senso cerebrale. Sguardo perso nel vuoto a fissare quella finestra chiusa come la sua apertura mentale. Le domande a vanvera e me; e al ballottaggio vincerà vanvera, come intuibile già dal primo sondaggio-carotaggio verbale in quel cervello di gallina.

Su cosa ha scritto e su cosa non ha scritto ci potrei costruire uno dei pezzi più velenosi mai apparsi su questo blog, ma che gusto c’è a prendersela con la più carina, la più cretina. Quello che mi salva è che quei quattro gatti che si saranno avvicinati a quel testo demenziale non ci avranno capito niente e quindi di danni non ne ha potuto far molti miss occhi persi nel vuoto.

Tutto ciò perché allora? Lo dico a tutti quelli che si sono esposti pesantemente sul web in questi ultimi dieci anni: ogni tre o quattro mesi fate una ricerca su voi stessi. Non è egocentrismo o narcisismo, serve per capire come vi vedono gli altri da fuori. In immagini o in righe scritte, per verificare se oggi siete il parabrezza o l'insetto. Come vi vedono, se riescono a vedervi, e cosa hanno capito di quello che gli avete detto. Quello che rimarrà scritto, che è "tutto da ridere".

gdf

mercoledì 27 febbraio 2013

Il ba-ratto della Sabina


gdf 2014

Prima di fotografarlo l'ho appoggiato su una colonna vagamente romana,  che forse è l'origine del nome di chi me l'ha mandato. O forse è greca la colonna, mentre invece quella sopra somiglia ad una piramide tronco conica di profilo pre-colombiano, frutto delle tre mungiture di tradizione piemontese. Anche questo è il baratto; è tanta roba buona, senza denaro ma con buone idee, da ovunque vengano, e di varia stagionatura. Il baratto è un patto anarchico e imprevedibile nelle conseguenze, ma con qualche regola non scritta. 

Per esempio mi sono ripromesso di non rivelare e tanto meno di  pubblicare i nomi dei  molti che si sono impegnati a mandare al faro i prodotti più disparati ma comunque splendidi "oggetti" del baratto con il libro dall'accento inglese in arrivo o arrivati da ogni parte d'Italia fino alle isole Britanniche. Però, Sabina mi perdonerà ( spero ) per questa eccezione, che non è la prima e non sarà l'ultima, perché alcuni minacciano prodotti ancora più estremi, ma lei mi ha provocato già nelle intenzioni, e poi guarda qua. Per fare un altro esempio trovo curioso il fatto che quasi tutti i vini bianchi spediti al faro siano di origine Alsaziana o della Mosella.

Di tutto mi sarei aspettato da questo appuntamento al buio, ma non un Tortonese Montebore arrivato da Roma e stagionato nella capitale. Questo va oltre. Grazie Sabina, e grazie anche a tutti quelli che si sono ricordati che il baratto è un patto a doppio senso. Gli altri? pazienza. Ho imparato a metterne via parecchia in dispensa di quella roba filosofica che si chiama sopportazione, in cambio di un sorriso allo specchio.

Non la conosco questa Sabina, ma d'istinto la rapirei insieme alla sua collezione di formaggi stagionati!


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martedì 26 febbraio 2013

Pernambucco

L'isola  Gallinara, dalla  spiaggia di Albenga

 del Guardiano del Faro

Il Pernambucco


Cercando la parola Pernambucco sul potente motore di ricerca di Google, il massimo sistema di intelligenza elettronica esistente in rete prima di tutto cercherà di modificare la vostra ricerca levando al termine una C e di conseguenza tentando di teletrasportarvi in un millisecondo addirittura in Brasile, sulle spiagge di Recife per esempio. Ma il gatto è pigro, il Brasile lo vuole qui.


Anche il programma di office word pare essere d’accordo, evidenziando l’errore di battitura, ma insistendo un po’, magari ricercando immagini del misterioso Pernambucco con due CC, finalmente anche l’intelligenza artificiale si adeguerà al concetto e vi porterà prima su un albero di arance pernambuco e poi qui, a questo buon ristorante di Albenga che porta in insegna l’agrume della varietà Washington Navel coltivato nelle provincie di Savona e Imperia, a far compagnia all’altra varietà rara di arance della zona: il Chinotto.

Il giardino del ristorante

C'è freddo da voi?Qui no, ci vuole un clima quasi brasiliano per il pernambucco


Eccola la storia del Pernambucco di Pernambuco, dove una C fu aggiunta perché non pareva bello riproporre lo stesso nome della regione brasiliana da cui arrivarono le piantine di questa varietà di arancia. Piantine arrivate fin qui grazie ad uno dei tanti navigatori liguri, di ritorno da uno dei molti viaggi oltre Oceano.

Le piante si acclimatarono evidentemente così bene da fruttificare abbastanza regolarmente anche al tiepido sole invernale del Savonese. Da Recife a Pietra Ligure: una storia di emigrazione di agrumi.

A questo punto la storia si incrocia con quella della famiglia Alessandri, che da 40 anni porta avanti la valorizzazione del prodotto, al punto di avergli dedicato l'insegna del loro storico ristorante marinaro, a due passi dalla spiaggia di Albenga; e per chi non vuole preoccuparsi di test alcolici dopo aver abusato della bella cantina del ristorante c'è anche la stazione ferroviaria a 200 metri dal ristorante.
L'elegante e borghese apparecchiatura dei tavoli


Ma la famiglia Alessandri non si occupa di sola ristorazione, perché nell'entroterra di Ranzo, come si vede in etichetta, producono un ottimo olio di oliva e alcuni vini, tra cui un paio veramente sorprendenti, perché frutto di un'altra emigrazione di piante partite da Chateauneuf du Pape ( Beaucastel ) e ripiantate da queste parti.  Viognier e Roussanne ( 50 e 50 ) compongono l'uvaggio di questo ricco e morbido bianco che alla cieca potrebbe anche mandare in confusione qualche esperto della famosa zona vinicola dei dintorni di Avignone. Alla stessa maniera, l'uvaggio ( sempre 50 e 50 ) di Grenache e Syrah, sposta la mente idealmente di nuovo sul corso del Rodano; un po' più a nord in questo caso, perché la speziatura di pepe nero e caffè potrebbe far pensare ad un buon Cornas.


E adesso che vi ho raccontato una storia di cibo e di vino un po' diversa dalle altre possiamo passare a tavola per gustare una classica cucina marinara fatta di prodotti freschissimi, anche se è lunedì, un giorno che un tempo non veniva indicato come il migliore per mangiare pesce al ristorante. Un altro luogo comune da sfatare, almeno da queste parti.

L'ottima torta verde, che qui prende un nome particolare derivato dall'utilizzo di molte bietoline...

Rossetti al vapore con carciofi di Albenga, rigorosamente crudi ma tenerissimi


Piccoli calamaretti con le prime zucchine in fiore, in attesa di qualche trombetta...

Le cozze ripiene con brodetto di pomodoro piccante

Il Ligustico, uvaggio di Syrah e Granaccia

I ravioli di branzino e borragini con ragù di gamberi e scampi (!)

Filetto di orata alla ligure...

Il fastoso dessert di frutta con...

... con il morbido e soffice sformato di Pernambucco e confettura del medesimo

E c'è anche il passito di Pigato ( sempre dall'azienda di famiglia ) da abbinare felicemente al dessert.

E ancora, la profumata grappa di Pigato, distillata da Marolo, non un'azienda qualsiasi...

Piccola pasticceria maison

Il clima rimane buono sia per i gatti che per il Pernambucco, così come per tutte le verdure della piana di Albenga, dove  che siano carciofi, zucchine o asparagi violetti, la concorrenza si deve arrendere all'estrema particolarità e qualità di questi ortaggi, storicamente e attualmente tra i migliori in assoluto


Ristorante Pernambucco
Viale Italia 35
Albenga (SV)
Tel 0182 253458

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Azienda Agricola Massimo Alessandri
Via Costa Parrocchia, 22
18028 Ranzo (IM)
Tel 0182 53458

gdf

domenica 24 febbraio 2013

Crazy Horse


gdf 2014

Il vecchio se ne stava da solo a leggere il giornale su un piccolo tavolino circolare al bar della stazione. Ai due tavoli vicini, altri due pensionati appena tornati delusi dall’ufficio postale posarono la lettera ingannevole ricevuta la mattina stessa e si rifugiarono in un primo e in un secondo bicchiere di bianco secco non sapendo ancora che la loro delusione sarebbe stata condivisibile con altri nove milioni di italiani. Il vecchio si ostinava a leggere a voce alta il giornale senza occhiali, ma così facendo si doveva accontentare di svelare solo i titoli scritti più in grande ai due vicini di tavolo. Quelli che il direttore del giornale voleva si leggessero meglio.

Ai due vicini di tavolo non interessava nulla di quanto stava dicendo il vecchio, che così si mise a battere ripetutamente il dito su un titolo in particolare, riuscendo finalmente ad attirare la loro attenzione. Su cosa mi chiesi. Cosa faranno i grillini da martedì? Cosa ne faranno dei voti gli altri? Come andrà il derby di Milano? Che il debito pubblico francese sia peggiorato più del nostro? Che la Spagna sia e no fallita come la Grecia? A giornate si e a  giornate no.  No, siamo in Italia e quindi, che sia Franza o che sia Spagna, basta che se magna. Ma che se magna?


Eccolo il fatto più dirompente della settimana, la notizia più giornalaia della settimana: i controlli a tappeto su scala europea per cercare pericolosissime tracce di DNA equino dentro i ripieni bovini contenuti in lasagne, ravioli e tortellini venduti sotto un marchio italiano ma ormai di proprietà di una multinazionale svizzera che aveva comprato la materia prima di origine forse Britannica dopo una lavorazione può darsi fatta in Germania.

Oltre al vecchio al bar, anche gli altri due tra i nove milioni di italiani cominciarono a pensare al fantasma inesistente della crazy cow, immaginandolo pure più veloce in caso di crazy horse. Anche un allibratore londinese avrebbe (notare il sofismo giornalistico) manifestato preoccupazione per almeno tre motivi: per essersi probabilmente mangiato il suo lavoro e il suo guadagno giornaliero;  aver contribuito alla penuria di quadrupedi che non fossero mucche pazze o sane, ma comunque in grado di correre; e infine temendo di vedere ad Ascot un cavallo galoppare in contromano, tenendo finalmente la destra. Puzza di stallatico tutto quanto, di nuovo, come un vino biodinamico mal riuscito.



Ci sono odori che sembrerebbero cattivi di primo acchito, ma che se analizzati con il contributo del magazzino dei ricordi potrebbero invece rivelarsi piacevoli. Quell’autobus che apre le porte alla fermata per esempio, che solo avvicinandosi al marciapiede emana una miscela fatta da odore di gomma bruciata, freni affaticati, lubrificanti, idrocarburi sotterranei e sudore umano. Che non sarebbe granché da leggere, ma che a me  ricorda il ritorno a casa dopo la lunga e noiosa mattinata passata a scuola, quindi positivo perché liberatorio.

Oppure l’odore di benzina un po’ bruciata e un po’ no, digerita in parte da un carburatore mai tarato al punto giusto, perché potesse finalmente prendere la giusta dose di super, di Bardahl e di ossigeno. Odore che a me ricorda una buona miscela fatta di libertà, Bardahl, Super e aria; su un Ktm che attraversa sentieri nei boschi.

O ancora l’odore di tangenziale, che a Bordeaux chiamano goudron, e che a me ricorda il bouquet di un Haut Brion ’61 invece dell'esalazione del caldo catrame percorso da mille Tir sotto il sole estivo.

Ci sono giorni che quando apro il giornale e leggo con quale enfasi vengano martellate giornalmente le medesime non notizie, invece dell’odore di carta e di inchiostro io sento odore di fogna, che riesco ad associare solo alla fognatura e a quello che ci passa dentro.

Perché, sai com'è, se l'ha detto il telegiornale, ci sarà anche scritto su un giornale, e poi su un altro che correderà la pochezza della notizia con immagini ad effetto; e poi il tutto rilanciato dall'agenzia di stampa e ripreso dalle testate più piccole, a caduta, fino a quando la bolla si sgonfia, come quando finisce una tregua elettorale da riempire.

Situazioni che fanno parte di quei meccanismi istruttivi che gli ingenui continuano a non voler capire, perché è irrilevante l'importanza dei contenuti della non notizia, quello che conta e continuare a sostenerla, l'uno con l'altro, tutti i giorni e a tutte le ore, alimentandosi a vicenda di notizie infette, quelle si, quelle che fanno ammalare il cervello.


sabato 23 febbraio 2013

I suoi riccioli liquidi sono coperti da fiori bianchi




gdf 2014

“Hugh Johnson è l’autore contemporaneo che più di ogni altro ha contribuito alla letteratura del vino. I suoi libri precedenti (…) sono stati tradotti in tredici lingue e hanno venduto un totale di sette milioni di copie. Più che un divulgatore di cultura enologica Johnson è un gigante letterario che ha illuminato e ispirato una nuova  generazione di enofili a livello mondiale. Il segreto del suo successo si spiega con apparente facilità: ha la singolare abilità di arrivare al nocciolo della questione con poche parole ben azzeccate, e di esporre con assoluta chiarezza anche i concetti più difficili. Con lui l’erudizione si trasforma in divertimento.”

E già così, in apertura di prefazione mi stai già convincendo a leggerti caro il mio Johnson, anche se questo volume supera le 700 pagine e il suo peso fisico non è indifferente, ma a quanto pare non lo sarà intrinsecamente ( pesante intendo ) nonostante l’opera sia stata scritta nel lontano 1989, ma che solo negli ultimi mesi sia stata edita in Italia e scritta in scorrevole Italiano. Più in là arriva questo:

“I vini della Grecia antica erano spesso lodati per la loro dolcezza. Nella maggior parte dei casi, questa dolcezza veniva probabilmente ottenuta nello stesso modo in cui i Greci ciprioti fanno, e hanno sempre fatto, il loro Commandaria. L’uva viene raccolta al massimo della maturazione, poi viene stesa nel vigneto su stuoie di paglia (…)  Un metodo analogo viene usato a Jerez in Spagna per la produzione dello Sherry. (…) Un altro scrittore, Archestrato, parlando di un vino di Lesbo fa la sorprendente affermazione che: “ i suoi riccioli liquidi sono coperti da fiori bianchi”  è una descrizione poetica ma abbastanza precisa della crescita del lievito chiamato flor, al quale i produttori di Sherry devono lo speciale aroma e la lunga conservazione del loro vino. Una pittura su vaso mostra un lungo mestolo, abbastanza simile alla venencia di un mercante di Sherry, che ha la forma ideale per pescare al di sotto della schiuma di flor ed estrarre un campione di vino limpido…”

E’ a pagina 51. Mi hai convinto Johnson, me ne restano altre 650 ma se  vai avanti anche solo la metà di così ce la posso fare, il tuo traduttore ha lavorato bene. E non mi pare una delle  solite Enciclopedie del Vino, di cui ne ho due mensole piene così.  Il titolo originale recita "Story" e non "History", insomma, un racconto, e tanto mi basta.

Il Vino
Storia, tradizioni, cultura
Hugh Johnson
Orme Editori
euro 48

venerdì 22 febbraio 2013

Quant’altro, ma ci sta


 gdf 2014

Chissà se ci starà dentro questo concetto nel quant’altro. 

Augurandomi prima di tutto che quant’altro si scriva e venga scritto quant’altro e non quantaltro e che quindi non significhi qualcos’altro, e che comunque ci stia dentro nel concetto, perché se ti alzi troppo presto come stamattina poi fai fatica a starci dentro, non perché ti sei alzato molto presto o perché sei andato a letto tardi, ma anche per quant’altro. Ma se arrivi tardi lo stesso, anche se ti sei alzato presto, puoi sempre giustificarti per questo o per quel motivo, ma anche per quant’altro, inaspettato, ma che però ci sta.

Sei sicuro di preferire questo o vorresti quant’altro? Non lo so, ma nel dubbio preferirei quant’altro con poca tonica, come ogni volta che non so cosa dire ma siccome vorrei starci dentro fino alla fine, dicendo quant’altro tiro innanzi. Le frasi, le citazioni e quant’altro; perché si che ci sta, e  va anche oltre le capacità espressive, e perché i descrittivi utili restano solo tre, lasciando incolume il  quant’altro.

L’enfasi è il quant’altro? Il quant’altro è perifrasi? Un giro di parole può nascondere questo e quant’altro? Mah, basta che ci stia dentro, ma spesso più che dentro sta al margine ultimo, fuori tempo scaduto, al limite del recupero dell’ultimo alito di respiro, quando la frase sta morendo. Come un tic nervoso, come quando ho perso le parole, da quando ha perso le parole, la voce, e quant'altro.

“Le perifrasi possono essere usate nel linguaggio di tutti i giorni per evitare una ripetizione ravvicinata dello stesso termine, per rendere meglio comprensibile un concetto complicato dal punto di vista tecnico, oppure per evitare termini che possono essere percepiti come non rispettosi eufemismi ma anche per dare varie sfumature all'oggetto con tono celebrativo, ridicolizzante o quant'altro.”

Ma allora, ci sta o non ci sta il quant’altro? Assolutamente SI!
Non staremo sfociando nel benaltrismo? Assolutamente NO!

Quant'altro and tonic.
Con tutte quelle bollicine...


gdf 12 minuti

giovedì 21 febbraio 2013

Les étoilés de la Côte d'Azur



Sono in ritardo, ma c’era da smaltire qualche Teens Tanqueray Ten e i tempi di recupero non sono proprio quelli di un teen ager. Spremuta d'arancia anti sbornia e caffè lungo leggendo Nice Matin di martedì 19 -l’altro ieri- che usciva quasi a tutta pagina con le novità Michelin relative alle nuove  stelle che la Rossa ha consegnato lungo la costa più azzurra e più stellata del pianeta. Loro le chiamano ricompense. Hai lavorato bene? Bene, ecco che l’omino gommato ma senza dotazioni invernali arriva con gli occhiali scuri da Parigi per difendersi dal bagliore del sole del sud con un bel dono sotto il braccio.



 

Blocco centrale in prima pagina con le foto di quattro chef premiati, tra cui il nuovo tre stelle di St.Trop : Arnaud Donckele a La Pinede, luogo magnifico che rimane nel mio cuore e nel mio scalping tristellato francese fuori Parigi, sempre al completo nonostante le cose cambino, ma probabilmente molto poco, se no sarei rimasto indietro invece che aggiornato.

 


Non basta, perché all’interno del giornale ci sono due bei paginoni centrali più erotici di una miss pieghevole e smutandata, il massimo per i perversi ascoltatori di Radio Casserole. Perdenti e vincenti sono immortalati in foto e interviste che rivelano fatti e gossip, fino a scoprire che il nuovo tristellato ha soli 35 anni, ed è quindi il più giovane tra i 27 che possono vantare la medesima tripletta, quella che ti consacra per l’eternità tra i bomber della paillard. Arnaud, per una volta non è un Bretone, è Normanno, del Calvados, e vanta un confortante  passato, tra le solide cucine di Guerard, Ducasse e Lasserre prima di giungere pieds dans l’eau su quella spiaggia ad alta densità di Sophie ma che evidentemente non sono bastate per distrarlo dall’impegno.


 


Anni fa ci saremmo di nuovo stupiti per lo spazio che la stampa francese riserva a questo evento, che si trasforma in promozione pubblicitaria sia per il ristorante che per la Guida. Ma ormai, anche chez nous gli chef sono finalmente diventati stelle della comunicazione più che delle fettuccine. Forse non così tanto da interessare una bacino di utenti vasto come in Francia, però nel nostro piccolo è innegabile che stiamo recuperando terreno sul campo della notorietà profusa gratis e a piene mani a vantaggio dei nostri magnifici talenti tricolori.



 

Ora, siccome tutto sembra normale, di qui e di là, stavo pensando di spostare qualche tassello che modificasse gli equilibri, se no mi annoio. Vorrei spostare il Mirazur di Mauro Colagreco in Italia. Non fisicamente, ma solo sulle Guide. Insomma, Mauro arriva dall’Argentina, e fin qui ci siamo, ma siccome ha passaporto italiano, vive in Italia ed ha la Fiat 500 color carta da zucchero targata IM, secondo me se lo infiliamo in tutte le guide nella località di Ventimiglia non se ne accorge nessuno della differenza e nello stesso tempo spostiamo un bel po’ di stelle, medaglie, cappelli e forchette  laddove si sono rarefatte..

 


Conosco Mauro da ormai sette anni, e cioè da un mese dopo che aprì questo locale e dopo che un uccellino mi disse semplicemente: vacci! Però nonostante la confidenza, dirgli che vorrei spostare il suo ristorante di là non è così normale. Farei così: Mirazur, Mauro Colagreco, alla Frontiera di Ponte San Luigi, Ventimiglia. Senza specificare se di qui o di là, anche perché ci è mancato poco che l’architetto progettasse questo edificio a cavallo della linea di demarcazione che ci ha tagliato fuori da una Bonaparte di civilizzazione. Quella che oggi consente a Mauro, alla ottava riapertura del Mirazur, di avere 40 giorni d'attesa per le prenotazioni. Pranzo e cena, per 40 - 50 coperti a servizio. Due stelle e Relais & Chateaux qui sono cose che valgono, però vanno intese anche in termini di acidità più borghesi.


 


Ecco un campionario di Colagreco 2013, sperando di vederlo su qualche Guida Italiana 2014 mentre lui intanto gioca i quarti di Champions League, e io, che scioccamente non avevo prenotato, ho rischiato di rimanere fuori dallo stadio a mangiare un toast se un tavolo non avesse disdetto la prenotazione. 

 

 

 


Carpaccio Gascon, pommes, sauce agrumes

Fruits de mer...




Panais et Pistache, huile de cafè

Oeuf de Poule, texture de topinambour et truffes noires

Bonite, arlequin de choux e agrumes de Menton


Veau Roti ... purè de panais a la vanille et cacao de l'Amazonie

Poire fenouils

Tarte au citrons, glace vanille, gelée citron vert







gdf  Balzi Rossi