sabato 2 agosto 2014

Il piatto è interessante


Leggo da anni il blog di Fabio Rizzari, rintracciabile tra gli anfratti del vasto sito-portale de L’Espresso. Quel blog è quasi del tutto monotematico, nel senso che l’argomento vino viene si sviluppato in mille maniere, ma sempre (o quasi sempre) di vino si tratta. 

Siccome Rizzari è una persona che si porge pubblicamente in maniera saggiamente autocritica nonché spiritosa - diversamente da altri blogger gonfi d’ego- Fabio la butta spesso sul lato ironico la faccenda.

Periodicamente si rende conto che l’aggettivazione usata dai suoi collaboratori impegnati nella stesura delle schede che andranno inserite nella Guida annuale dei i vini de L’Espresso diventa bizzarra.

L'attribuzione usata da chi si fa prendere la mano da un eccesso di trasporto o di entusiasmo diventa pressoché grottesca, da fargli rizzare i capelli.

Per rimediare o per lo meno limitare la tracimazione dell’aggettivazione creativa dai bicchieri, i curatori della Guida intervengono dove colgono definizioni avventurose, che immagino taglino o correggano. Fatto questo però,  il buon Rizzari non butta nulla di ciò, ma lo rende noto al pubblico, ovviamente evitando di citare la “fonte” di tanta fantasia repressa, ma non facendoci mancare un sorriso, chiosando su ogni trapezismo letterario che stava per venire stampato sulla Guida annuale.

Della divisione del mondo eno da quello gastronomico ne ho parlato spesso, sottolineando quanto l’incredibile scissione tra i due momenti sia evidente, momenti che dovrebbero invece coincidere, ma che in fase di consuntivo si allontanano.

E così, per cercare epiteti curiosi in campo gastronomico bisognerà cambiare tipologia di blog da esaminare, rendendomi subito conto che l’aggettivazione qui è molto più semplificata e meno creativa. Noto che un piatto non sarà più solamente buono o cattivo, ripugnante o eccellente, ma che può anche essere interessante.

Ma come sarà una piatto interessante? Beh, immagino che nella testa del degustatore quel piatto provochi sensazioni anomale, nel senso che qualche cosa gli sfugge, al punto da non sapere più se quel piatto è buono o solo mediocre, suadente, ammaliante, invitante, disturbante, confortante e qualche rara volta rotondo; nel gusto e nella forma.

Quando non è così il piatto diventa interessante, come un quadro o una scultura che nasconde significati che al primo colpo d’occhio non si manifestano platealmente, cosa che invece un piatto cucinato dovrebbe comunicare al primo sguardo e alla prima inalazione del profumo che emana.

Un quadro o una scultura si potranno esaminare con tutto il tempo necessario per modificarne la percezione ablativa, dall’interessante a qualche altra aggettivazione più precisa e decisiva per poterci costruire sopra una cosciente critica, mentre il piatto se te lo studi un’ora, o si fredda o si scalda, e comunque sia, dopo dieci minuti il cameriere te lo leva da sotto il naso se non l’hai ancora toccato, distraendo la concentrazione del degustatore appoggiato al bordo del tavolo su un gomito e con il pollice a sostenersi il mento.

La probabile verità si nasconde sotto il fatto che il degustatore non ci ha capito un belino di quella complicata composizione edibile, ma non volendo ammettere che quel piatto non lo ha per nulla convinto nell'aspetto e nell'odore, comunque lo assaggia, nel tentativo di svelarne i caratteri più criptici, ma ahinoi, senza riuscirci, e quindi il piatto resterà etichettato e catalogato nel misterioso limbo dell’interessante.

A volte il piatto diventa addirittura intrigante, come una bella ragazza con lo strabismo di venere, forse perché l’autore della composizione culinaria ci ha nascosto consapevolmente qualche ingrediente che solletica la mente del degustatore al punto di fargli immaginare scenari sotterranei non ancora emersi ai più.


Alla fine mi accontenterei della definizione di un piatto che finisca con il provocare l'aggettivazione "divertente" , almeno da farci sopra due risate. Allegria!


gdf

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