Come si dice, ad una certa età si può dire tutto ciò che si vuole senza se e senza ma, senza timori , meglio ancora se si è coscienti e convinti di sapere quello che si sta dicendo con cognizione, esperienza e competenza. La Revue de Vins de France questo mese propone un articolo che vale la pena di essere letto con l'attenzione degli occhi ma con la congiunzione delle labbra pronta a chiudersi in un sorriso spento sul nascere. Io sarei per una risatina a denti stretti, perché Nostra Signora ha un pensiero per molti, anche se non per tutti. Qui non pretendo di tradurre l’intero articolo ma di cogliere solo qualche perla sotto ogni appellation citata:
“ Ho sempre avuto delle difficoltà ad acquistare dei buoni Richebourg, anche quelli di Henry Jayer, sovente migliori di quelli della Romanée Conti, ma poco regolari.”
Sul tema Richebourg l’articolo di Roberto Petronio fa riferimento al Leroy che definisce “renversante”. In confronto, quello di Méo Camuzet non offre la medesima setosità, coperta dalla potenza. Al contrario quello di Anne Gros, molto fine ma meno profondo. Quello de la Romanée Conti, che non ha la medesima densità e neppure dei profumi così accattivanti.
Andando avanti nelle sue vigne, dove non sono più di quattro i grappoli ammessi per ogni piede di vigna, arriviamo a La Romanée St-Vivant, i cui sentori non hanno nulla di simile a quelli di Richebourg. St-Vivant incarna il floreale e la finezza, la finezza più prossima ad una Romanée Conti. Nessun St-Vivant è come un Leroy : Jacques Confuron con il suo élevage in legno pronunciato, L’Arlot , potente ma che necessita di lungo periodo d’affinamento, mentre piace lo stile Cathiard.
“Annusate questa terra fine e profumata, questo è Musigny! “Il sent la terre, le raisin d’ici et rien d’autre” Questa lezione me la sono presa anch’io a suo tempo, mentre qui l’autore si domanda se la fermentazione abbia ancora qualche possibile influenza sul profumo dei vini oppure se la priorità d’incidenza sia semplicemente il luogo dove il grappolo è nato. Profumi rilevabili dentro un indimenticabile bicchiere di Musigny Leroy, mentre Roumier parrebbe più versatile, fine e delicato. Mugnier sta depurando il suo stile. Vogue, raffinato alla nascita ma che invecchiando non mantiene sempre le promesse mentre un Prieur rivela più spessore che raffinatezza.
Chambertin, l’ultimo di una degustazione Leroy, semplicemente per motivi geografici. Dalla piccola parcella Leroy nasce il vino che insieme al Musigny rappresentano la referenza del Domaine. Il paragone con il cavallo di razza tutto muscoli etichettato Dugat-Py. Il poetico Rousseau o un luminoso Trapet. E scendiamo verso la Montagne de Corton: “ Ce vin rustique conserva la sua potenza con l’età” . Qui Nostra Signora , pur possedendo vigne in bianco e in rosso, è convinta sia il pinot noir ad esprimere le cose migliori rispetto allo chardonnay. Si onora di classicismo Bonneau du Martray, la longevità di un Bouchard Père et Fils 1923, la verticalità di un Follin Arbelet, la mancanza di finezza di un Méo-Camuzet. E quante altre ancora, anche su Clos Vougeot e Chevalier Montrachet, pacatamente, serenamente.
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