lunedì 7 maggio 2018

Decompressione criptica - Il Dina di Alberto Gipponi


“Dina è il mio sogno e, se tu sei qui, ne stai facendo parte”. (Alberto Gipponi)

Foto da:  www.inNaturale.com.


- di Michela Brivio -

Torno al bar di corsa dopo questa esperienza (da Bg al bar ci ho messo un pochino…). Come state?
Sono stata lì, ne ho fatto parte e ora dovete sognare con noi!

Festeggiamento. Ricerca di un posto speciale per l’occasione. E’ lunedì (con chiusure connesse). Voglia di novità. Chiedo l’aiuto ad un amico fidato. Due proposte note e un po’ fuorimano, una sconosciuta. Sia.
Curiosità è donna ma anche professione/passione. M’innamoro già leggendone e da qualche scambio diretto sui social con il cuoco prima di andarci. Mi piace.

Partenza.

Arrivo.

Una casa, un grande portone di legno, un campanello. La semplice e quasi invisibile scritta Dina ci rassicura che siamo nel posto giusto.

Suoniamo.

Un gran rumore di chiavistelli. La porta si apre e Alberto Gipponi, da gran padrone di casa, ci accoglie.
La stanza è tutta buia. Sul fondo una scritta al neon bianca, opera d’arte di Jonathan Monk: "Until then if not before", ossia fino ad allora se non prima. “Non esiste un momento giusto per fare le cose, esiste solo il momento in cui il tuo cuore decide di farle.”



E questo momento è arrivato da poco, anche se da sempre presente e nascosto nel suo cuore.
Si accende timido nel 2015all’Orsone di JoeBastianich, continua ad alimentarsi con l’esperienza Da Nadia a Erbusco e poi esplode grazie a una forte vibrazione provocata dalla frase “ segui il tuo sogno” di Massimo Bottura e quindi conseguente esperienza di lavoro/vita all’Osteria Francescana.

E’ la ricetta della sua crema anti-spreco di buccia di zucca, volutamente lasciata al tavolo modenese (che non vedo l’ora di assaggiare non appena è stagione), e il suo corteggiamento ad aprirgli la porta di una delle cucine più importanti al mondo. Dura un’anno l’esperienza, faticosa all’inizio ovviamente, ma che pian piano gli permette di aprire le ali e quindi volare verso il suo sogno che si realizza pochi mesi fa, in questa casa, Dina, che onora la famiglia e la tradizione ma non solo.

La nonna è stata la prima che gli ha insegnato a cucinare e vuole essere presente anche nell’ospitalità, nell’atmosfera casalinga che si percepisce, nella condivisione del piacere della tavola che va oltre il piatto e entra nell’intimo. Poi arriva il colore, la frizzantezza, l’estro, la creatività, l’entusiasmo, la passione e la cripticità. Ma dura soltanto nei pochi istanti della lettura del menù perché poi Alberto svela tutto e ancor di più “spogliandosi pian piano come una cipolla”. Rubo la frase di Luigi Cremona che gli ha detto giusto qualche settimana fa dopo averlo conosciuto e assaggiato. Lui la assorbe subito trasformandola in un piatto, che è ancora in lavorazione ma prossimamente in carta, e poi anche interiorizzandola nel proprio essere. Mi sa che la mia curiosità gli è arrivata. Assaggio in anteprima il piatto.


Sfogliati come una cipolla. Vari strati: cipolla al burro esternamente, crema di riso, zafferano e vaniglia, cipolla agrodolce, salsa dolceforte, cipolla al ginepro e crudo di lepre marinata in un liquore al ginepro e timo.

E ha proprio ragione anche e ancora MB (michelabrivio o massimo bottura? …. è solo un gioco ovviamente) a definirlo umile, perché se al primo impatto può sembrare un po’ rigido, più lo si conosce più ci s’innamora della sua semplicità, coinvolgimento, capacità di ascolto e richiesta di confronto, anche con i più piccoli, come la bimba seduta vicino al nostro tavolo. Che fortunata svezzarsi così …. ma anche rischioso. La immagino alla mensa della scuola digiunare, al supermercato a rifiutarsi di entrare e presto a decidere lei dove portare i propri genitori al ristorante. Fantastico!

Torniamo a noi. Facciamo un passo indietro?
Eravamo rimasti alla sala dell’alchimia. Decompressione terminata. Cervello azzerato. Inizia il viaggio.
Penetriamo in Dina.

Tre gli ambienti: il salotto, disimpegno di collegamento, la cantina, la parte classica del locale, e la Veranda. L’ordine non è questo ma poco importa. Ho lasciato per ultima la nostra destinazione, perché anche il luogo è parte integrante dell’esperienza, e ogni dettaglio non è lasciato a caso. Dalle luci all’arredamento, dai colori di soffitto ai muri, dalle opere d’arte alla mise en place …. tutto insieme ai piatti evoca una storia, una riflessione, regalando un’esperienza a tutto tondo.





Tre sono anche i fili conduttori della sua cucina: la memoria, il gioco/illusione e la penetrazione.
Obiettivo raggiunto.
Leggendo il menù praticamente non si capisce nulla. Ma avendo azzerato la conoscenza esterna è come imparare da zero e scoprire un nuovo linguaggio, criptico ma non troppo, perché il cuoco narrante è sempre presente in sala per raccontare ogni singolo particolare di tutti i piatti, prima e dopo, lasciando nel durante la parte personale di godimento e sperimentazione emozionale.


Manca ancora un dettaglio, anche se  in realtà è uno tra gli infiniti dettagli che vorrei condividere: c’è un quarto ambiente. Alberto ce lo racconta ma come prima volta mi è assolutamente vietato l’ingressso perché troppo estremo senza aver prima imparato l’alfabeto Dina. Il mio posto punta proprio dritto all’ingresso di questa saletta per pochi. Una tenda la nasconde e da quando me lo dice non c’è attimo che non la desideri. Ma forse ha ragione. Servono i preliminari per arrivarci. Ed è giusto sia così. Mai bruciare le tappe. Anche se la tentazione di sedersi subito là è molto molto forte.
Mi ritieni pronta ora Alberto? Se sì ovviamente tornerò al bar per raccontarvela.



Cucina: il menù degustazione è un’oscillazione di sensazioni, mai ripetitive, che si alternano ora nella semplicità, apparente, ora nella tradizione, ora nella sperimentazione che però è sempre diretta, riconoscibile anche con contrasti che la mente fuori di qui non riuscirebbe ad immaginare, ma da Dina diventano la cosa più normale e quotidiana.

E’ una creatività intelligente, che punta a far godere gli ospiti a tavola, a stupirli con effetti speciali frutto di un grande lavoro in cucina, mentale e di cuore.

Vini: selezione altrettanto interessante. Grande ricerca di piccoli produttori e perlopiù biologici/ biodinamici, ma non di quelli che fanno passare il difetto per un pregio o che prima di berne un bicchiere buono devi aspettare del tempo e se ti va bene è l’ultimo.


Champagne Dosage Zero Vincent Couche



Rosé Brut PasOperé Cà del Vent
Ora vi lascio la galleria fotografica dei piatti, un mix tra le belle, loro, e amatoriali, mie, con le sue didascalie di una degustazione che mi è arrivata drittadritta al cuore.


Brodo di casa: torbido e volutamente non chiarificato. Accogliente nella sua imperfezione, ma credo buono.





Casoncello crudo ma cotto: gioco della memoria. Casoncello di carne apparentemente crudo. Si supera il proibito. 



Tutto passa attraverso e ci cambia: crema di cozze, pomodoro confit, aria di limone, erbe aromatiche e tartare di fungo. Racconto della natura umana. Siamo filtri e parassiti. Tutto ciò che incontriamo ci lascia un segno e proviamo ad attaccarci a ciò che desideriamo.


Agretti come spaghetti: agretti all’olio al fieno, ravanelli, crema di noci, lime e timo (serviti con terra e erba per un gioco/completamento olfattivo).


Ostrica o carciofo: carciofo alla romana, ostrica e foie gras. Non fermiamoci alle apparenze. Omaggio a Riccardo Pippo Feroci Forapani, colonna dell’Osteria Francescana, mio incubo e senz’altro fortuna.


Vi rode il fegato: fegato di fassona con salsa bordolese, cipolle fritte, noci tostate, estrazione di mela e riduzione di mela alla curcuma. Primo mio piatto sui 7 vizi capitali: l’invidia.

Aglio, olio e 58: piatto accogliente e goloso. Crema al prezzemolo alla base, spaghettoni mantecati con crema di patate, aglio, scalogno, timo al peperoncino, pane croccante sopra il nido e ostrica ghiacciata. 58 sta per Franceschetta 58. Il piatto è nato lì. Doveva entrare in carta , ma per un errore non ha mai trovato posto in quel luogo, così l’ho fatto da Dina.
(Foto non scattata. Causa troppa eccitazione)


Non mi era proprio piaciuta: pasta al pomodoro e basilico. La mantecatura dello spaghetto, il gelato e la meringa sono tutti e tre pasta, pomodoro e basilico.


Ne mangerei un bidet: casoncelli con crema di parmigiano 43 medi e polvere di salvia.


Ma quante ne sanno: ravioli di polpo alla Luciana e beurre blanc. La storia di questo piatto è che ha una storia, ma non si può raccontare.


L’agnello nella bocca del lupo: agnello marinato nella melissa (la bocca del lupo) stufato e accompagnato da una crema di patate arrosto, radici di Soncino, spinaci, fondo di agnello e polvere di erbe. In accompagnamento consommé di funghi e melissa. Parla di quelle attrazioni che nella vita dovremmo proprio lasciar perdere.


Gelato al limone, olio d’oliva e menta: questo è un ricordo del passato per me. Da bambino, in estate, mettevo l’olio nel sorbetto al limone in vacanza in Liguria. Una cosa che avevo dimenticato e tornata alla mento uno dei primi giorni in cucina.


Risotto? Ma non doveva essere pane, burro e marmellata?!?! Risotto al rosmarino, riduzione d’arancia e pinoli al burro. Questo sono io….o almeno credo….


Ma che cavolo: spuma di cavolfiore alla vaniglia, crumble al cioccolato salato, gelato al miele di corbezzolo, limone amaro. By sous chef Gian Nicola Mula).


C’è qualcosa che non quaglia: scherzando dico che ogni volta che faccio un dolce un pasticcere muore di crepacuore. Sono un cuoco e la pasticceria è una cosa seria. Quindi faccio dolci “non dolci”. Quaglia al miele, crumble al whiskey e cacao, crema di pinoli, mou e caramello alla salvia, gelèe al whiskey. Accompagnato da un brodo dolce di quaglia e spezie.

Che ne dite?
Per noi è stata una grandissima esperienza e festeggiamento. Non ho degustato tutti questi piatti da sola, anche se assaggiati ovviamente sì. Come poter resistere??? E’ una tentazione dietro l’altra.
Una volta usciti, Dina ti resta dentro ed è una grande emozione che vi auguro.
Ogni tavolo ha un diario per lasciare il proprio ricordoche rimarrà quindi nelle pagine di Dina per sempre.

Lascio anche qui un piccolo pensiero per chiudere questo racconto: “Non esiste mai un linguaggio simbolico senza ermeneutica; là dove un uomo sogna e delira, un altro uomo si fa avanti per interpretare.” Paul Ricoeur, autore della frase, Alberto Gipponi interprete.
Grazie. Riprendo la corsa e torno a casa.

DINA - Via S. Croce, 1, 25064 Gussago BS

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