“Dina
è il mio sogno e, se tu sei qui, ne stai facendo parte”. (Alberto Gipponi)
Foto da: www.inNaturale.com.
Foto da: www.inNaturale.com.
Torno
al bar di corsa dopo questa esperienza (da Bg al bar ci ho messo un pochino…). Come
state?
Sono
stata lì, ne ho fatto parte e ora dovete sognare con noi!
Festeggiamento.
Ricerca di un posto speciale per l’occasione. E’ lunedì (con chiusure
connesse). Voglia di novità. Chiedo l’aiuto ad un amico fidato. Due proposte
note e un po’ fuorimano, una sconosciuta. Sia.
Curiosità
è donna ma anche professione/passione. M’innamoro già leggendone e da qualche
scambio diretto sui social con il cuoco prima di andarci. Mi piace.
Partenza.
Arrivo.
Una
casa, un grande portone di legno, un campanello. La semplice e quasi invisibile
scritta Dina ci rassicura che siamo nel posto giusto.
Suoniamo.
Un
gran rumore di chiavistelli. La porta si apre e Alberto Gipponi, da gran
padrone di casa, ci accoglie.
La
stanza è tutta buia. Sul fondo una scritta al neon bianca, opera d’arte di Jonathan
Monk: "Until then if not before", ossia fino ad allora se non prima.
“Non esiste un momento giusto per fare le cose, esiste solo il momento in cui
il tuo cuore decide di farle.”
E
questo momento è arrivato da poco, anche se da sempre presente e nascosto nel
suo cuore.
Si
accende timido nel 2015all’Orsone di JoeBastianich, continua ad alimentarsi con
l’esperienza Da Nadia a Erbusco e poi esplode grazie a una forte vibrazione
provocata dalla frase “ segui il tuo sogno” di Massimo Bottura e quindi
conseguente esperienza di lavoro/vita all’Osteria Francescana.
E’ la ricetta della sua crema anti-spreco di
buccia di zucca, volutamente lasciata al tavolo modenese (che non vedo l’ora di
assaggiare non appena è stagione), e il suo corteggiamento ad aprirgli la porta
di una delle cucine più importanti al mondo. Dura un’anno l’esperienza, faticosa
all’inizio ovviamente, ma che pian piano gli permette di aprire le ali e quindi
volare verso il suo sogno che si realizza pochi mesi fa, in questa casa, Dina,
che onora la famiglia e la tradizione ma non solo.
La nonna è stata la prima che gli ha insegnato a
cucinare e vuole essere presente anche nell’ospitalità, nell’atmosfera
casalinga che si percepisce, nella condivisione del piacere della tavola che va
oltre il piatto e entra nell’intimo. Poi arriva il colore, la frizzantezza,
l’estro, la creatività, l’entusiasmo, la passione e la cripticità. Ma dura
soltanto nei pochi istanti della lettura del menù perché poi Alberto svela
tutto e ancor di più “spogliandosi pian piano come una cipolla”. Rubo la frase
di Luigi Cremona che gli ha detto giusto qualche settimana fa dopo averlo
conosciuto e assaggiato. Lui la assorbe subito trasformandola in un piatto, che
è ancora in lavorazione ma prossimamente in carta, e poi anche
interiorizzandola nel proprio essere. Mi sa che la mia curiosità gli è
arrivata. Assaggio in anteprima il piatto.
Sfogliati come una cipolla. Vari strati: cipolla
al burro esternamente, crema di riso, zafferano e vaniglia, cipolla agrodolce,
salsa dolceforte, cipolla al ginepro e crudo di lepre marinata in un liquore al
ginepro e timo.
E ha proprio ragione anche e ancora MB
(michelabrivio o massimo bottura? …. è solo un gioco ovviamente) a definirlo
umile, perché se al primo impatto può sembrare un po’ rigido, più lo si conosce
più ci s’innamora della sua semplicità, coinvolgimento, capacità di ascolto e
richiesta di confronto, anche con i più piccoli, come la bimba seduta vicino al
nostro tavolo. Che fortunata svezzarsi così …. ma anche rischioso. La immagino
alla mensa della scuola digiunare, al supermercato a rifiutarsi di entrare e
presto a decidere lei dove portare i propri genitori al ristorante. Fantastico!
Torniamo a noi. Facciamo un passo indietro?
Eravamo rimasti alla sala dell’alchimia. Decompressione
terminata. Cervello azzerato. Inizia il viaggio.
Penetriamo in Dina.
Tre gli ambienti: il salotto, disimpegno di
collegamento, la cantina, la parte classica del locale, e la Veranda. L’ordine
non è questo ma poco importa. Ho lasciato per ultima la nostra destinazione,
perché anche il luogo è parte integrante dell’esperienza, e ogni dettaglio non
è lasciato a caso. Dalle luci all’arredamento, dai colori di soffitto ai muri,
dalle opere d’arte alla mise en place …. tutto insieme ai piatti evoca una
storia, una riflessione, regalando un’esperienza a tutto tondo.
Tre sono anche i fili conduttori della sua
cucina: la memoria, il gioco/illusione e la penetrazione.
Obiettivo raggiunto.
Leggendo il menù praticamente non si capisce nulla.
Ma avendo azzerato la conoscenza esterna è come imparare da zero e scoprire un
nuovo linguaggio, criptico ma non troppo, perché il cuoco narrante è sempre
presente in sala per raccontare ogni singolo particolare di tutti i piatti,
prima e dopo, lasciando nel durante la parte personale di godimento e
sperimentazione emozionale.
Manca ancora un dettaglio, anche se in realtà è uno tra gli infiniti dettagli che
vorrei condividere: c’è un quarto ambiente. Alberto ce lo racconta ma come
prima volta mi è assolutamente vietato l’ingressso perché troppo estremo senza
aver prima imparato l’alfabeto Dina. Il mio posto punta proprio dritto
all’ingresso di questa saletta per pochi. Una tenda la nasconde e da quando me
lo dice non c’è attimo che non la desideri. Ma forse ha ragione. Servono i preliminari
per arrivarci. Ed è giusto sia così. Mai bruciare le tappe. Anche se la
tentazione di sedersi subito là è molto molto forte.
Cucina: il menù degustazione è un’oscillazione di
sensazioni, mai ripetitive, che si alternano ora nella semplicità, apparente,
ora nella tradizione, ora nella sperimentazione che però è sempre diretta,
riconoscibile anche con contrasti che la mente fuori di qui non riuscirebbe ad
immaginare, ma da Dina diventano la cosa più normale e quotidiana.
E’ una creatività intelligente, che punta a far
godere gli ospiti a tavola, a stupirli con effetti speciali frutto di un grande
lavoro in cucina, mentale e di cuore.
Vini: selezione altrettanto interessante. Grande ricerca
di piccoli produttori e perlopiù biologici/ biodinamici, ma non di quelli che
fanno passare il difetto per un pregio o che prima di berne un bicchiere buono
devi aspettare del tempo e se ti va bene è l’ultimo.
Rosé Brut PasOperé Cà del Vent
Ora vi lascio la galleria
fotografica dei piatti, un mix tra le belle, loro, e amatoriali, mie, con le sue
didascalie di una degustazione che mi è arrivata drittadritta al cuore.
Brodo di casa:
torbido e volutamente non chiarificato. Accogliente nella sua imperfezione, ma
credo buono.
Casoncello crudo ma cotto: gioco della memoria. Casoncello di carne apparentemente crudo. Si supera il proibito.
Tutto passa attraverso e ci cambia: crema di cozze, pomodoro confit, aria di
limone, erbe aromatiche e tartare di fungo. Racconto della natura umana. Siamo
filtri e parassiti. Tutto ciò che incontriamo ci lascia un segno e proviamo ad
attaccarci a ciò che desideriamo.
Agretti come spaghetti: agretti all’olio al fieno, ravanelli, crema di noci, lime e timo
(serviti con terra e erba per un gioco/completamento olfattivo).
Ostrica o carciofo: carciofo alla romana, ostrica e foie gras. Non fermiamoci alle
apparenze. Omaggio a Riccardo Pippo Feroci Forapani, colonna dell’Osteria
Francescana, mio incubo e senz’altro fortuna.
Vi rode il fegato:
fegato di fassona con salsa bordolese, cipolle fritte, noci tostate, estrazione
di mela e riduzione di mela alla curcuma. Primo mio piatto sui 7 vizi capitali:
l’invidia.
Aglio, olio e 58:
piatto accogliente e goloso. Crema al prezzemolo alla base, spaghettoni
mantecati con crema di patate, aglio, scalogno, timo al peperoncino, pane
croccante sopra il nido e ostrica ghiacciata. 58 sta per Franceschetta 58. Il
piatto è nato lì. Doveva entrare in carta , ma per un errore non ha mai trovato
posto in quel luogo, così l’ho fatto da Dina.
(Foto non scattata. Causa troppa eccitazione)
Non mi era proprio piaciuta: pasta al pomodoro e basilico. La mantecatura
dello spaghetto, il gelato e la meringa sono tutti e tre pasta, pomodoro e
basilico.
Ne mangerei un bidet: casoncelli con crema di parmigiano 43 medi e polvere di salvia.
Ma quante ne sanno: ravioli di polpo alla Luciana e beurre blanc. La storia di questo piatto
è che ha una storia, ma non si può raccontare.
L’agnello nella bocca del lupo: agnello marinato nella melissa (la bocca del
lupo) stufato e accompagnato da una crema di patate arrosto, radici di Soncino,
spinaci, fondo di agnello e polvere di erbe. In accompagnamento consommé di
funghi e melissa. Parla di quelle attrazioni che nella vita dovremmo proprio
lasciar perdere.
Gelato al limone, olio d’oliva e menta: questo è un ricordo del passato per me. Da
bambino, in estate, mettevo l’olio nel sorbetto al limone in vacanza in
Liguria. Una cosa che avevo dimenticato e tornata alla mento uno dei primi
giorni in cucina.
Risotto? Ma non doveva essere pane, burro e marmellata?!?! Risotto al rosmarino, riduzione
d’arancia e pinoli al burro. Questo sono io….o almeno credo….
Ma che cavolo:
spuma di cavolfiore alla vaniglia, crumble al cioccolato salato, gelato al
miele di corbezzolo, limone amaro. By sous chef Gian Nicola Mula).
C’è qualcosa che non quaglia: scherzando dico che ogni volta che faccio un
dolce un pasticcere muore di crepacuore. Sono un cuoco e la pasticceria è una
cosa seria. Quindi faccio dolci “non dolci”. Quaglia al miele, crumble al
whiskey e cacao, crema di pinoli, mou e caramello alla salvia, gelèe al
whiskey. Accompagnato da un brodo dolce di quaglia e spezie.
Che ne dite?
Per noi è stata una grandissima esperienza e
festeggiamento. Non ho degustato tutti questi piatti da sola, anche se
assaggiati ovviamente sì. Come poter resistere??? E’ una tentazione dietro
l’altra.
Una volta usciti, Dina ti resta dentro ed è una
grande emozione che vi auguro.
Ogni tavolo ha un diario per lasciare il proprio ricordoche
rimarrà quindi nelle pagine di Dina per sempre.
Lascio anche qui un piccolo pensiero per chiudere
questo racconto: “Non esiste mai un linguaggio simbolico senza ermeneutica; là
dove un uomo sogna e delira, un altro uomo si fa avanti per interpretare.” Paul
Ricoeur, autore della frase, Alberto Gipponi interprete.
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