martedì 4 marzo 2014

Alla perfezione.

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Si usa dire che la perfezione non esiste, invece negli ultimi anni questo termine si è sempre più diffuso proprio in un settore dove l’opinabile e il concetto dell’oggettività sono preponderanti. Difficile per un cuoco fare due piatti identici, eppure proprio sul versante gastronomico la perfezione pare si possa incontrare piuttosto spesso.

A partire dai molti blog specializzati in pizze, polpette e tagliatelle, dove di “ricette perfette” pare ne siano state rintracciate e codificate a centinaia. Il concetto di perfetto, quando non è un parfait francese, indicherebbe qualche cosa di compiuto o di ineccepibile. Difficile infatti mettersi contro un Bastianich al contrario o un Bruno Barbieri di fronte, perché ormai ogni tre parole che escono dalla loro trasmissione Master Chef -infarcita di mille flash pubblicitari più o meno evidenti- uscirà il termine “perfetto” o “alla perfezione”. A ruota inseguono le ricette televisive perfette di Giallo Zafferano e non sono da meno quelle del famoso chef Paolo (ma chi è costui?) di Knorr.  E pure dal serioso food blog de L'Espresso, in questi giorni non ci vogliono far mancare la ricetta del bombolone perfetto.

L’etimologia del termine ci porterebbe verso il latino, mentre la genealogia al greco, ma comunque non sposterebbe il nostro orientamento verso la sintesi di un concetto astratto ma bensì verso un oggetto concreto. Un bullone e una vite, quando si avvitano uno nell’altro sono un concetto condivisibile di perfezione, e anche replicabile pressoché all’infinito.

Più possibilista Aristotele, che dava almeno tre interpretazioni; pensavo di più. Può essere perfetto ciò che è completo, ciò che contiene quindi tutte la parti necessarie, oppure ciò che è così buono e che null’altro possa essere migliore, e infine ciò che ha raggiunto il suo scopo.

E se l’ha scritto Aristotele nel libro sulla Metafisica ci possiamo fidare? Mah, intanto vorrei far notare quanto il termine venga abusato sulle vie di comunicazione, e che quindi tra non molto tempo ci farà venire la nausea. Per combattere la nausea da perfezione vorrei allora proporre anch’io una ricetta perfetta: la polpetta perfetta per la precisione.

Come si possa far diventare perfetta una preparazione rustica come la polpetta in realtà ce lo dice un grande chef, che intanto ci invita a non utilizzare materiale di recupero (gli avanzi di qualche pietanza del giorno prima) ma materie prime fresche da trasformare con un preciso criterio.

La polpetta in questione si chiama Pojarski, e si prepara con carne magra di vitello o di pollo. Per 200 grammi di carne tritata finemente andranno aggiunti nell’impasto 50 grammi di burro di alta qualità e 50 grammi di mollica di pan carré ammollato nel latte, strizzato e passato al setaccio. Si profuma con un poco di noce moscata e del pepe bianco, che non macchia di puntini la polpetta perfetta. Un pizzico di sale e poi le polpette possono gradatamente prendere la loro forma classica, che dovrà essere identica per tutte, se no non sarebbero perfette.

La polpetta perfetta va quindi dorata in burro chiarificato, e servita ben calda. Il Maestro che mi ha condotto verso la polpetta perfetta, la polpetta Pojarski, non poteva essere che Gualtiero Marchesi, che invita anche a non metterci dell’aglio tritato nell’impasto, perché non farebbe in tempo a cuocere, e quindi ci disturberebbe l’alito, che non sarebbe più perfetto ma perfettibile, come ogni ricetta.

gdf

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