lunedì 21 maggio 2012

Lo Chambertin 2005 di Borgo Priolo


 - del Guardiano del Faro -


Era tempo d tornare. Sono passati ben quattro anni da quando scoccò la scintilla. Era giusto e doveroso tornare. Meglio ancora in una giornata di metà maggio così imprevedibile, dove il meteo si è messo di traverso e i 600 chilometri sotto la pioggia non hanno fatto altro che costringere la mente a ripiegarsi su se stessa e concentrarsi meglio sul ricordo. Il ricordo di ieri e l'emozione di oggi che si fondono e si confondono. Si, forse mi ero sbagliato quando definii  Chambertin di Borgo Priolo questo pinot nero piantato in Oltrepò con ambizioni importanti; ambizioni che invece si sono rivelate degne di un risultato diverso. Il pépinièr aveva venduto piantine originarie di Vosne Romanée ( parenti di quelle di quella vigna là, quella là ) e non di Gevrey Chambertin. Ma nel 2008 questo vino - tra le migliori espressioni del pinot nero mai assaggiato al sud delle Alpi - era talmente buono, talmente esuberante, talmente vivo e focalizzato sul frutto che mi trascinò la mente verso gli eleganti frutti rossi, la grande stoffa e la vigorosa spinta di uno Chambertin. Ma lui si è ricordato le sue origini, si è adattato a questi terreni e a questi climi - che non sempre gli consentiranno di arrivare  a questa sommità - e finalmente ha gettato la maschera. 


Se ora parlo di fiori rossi, di incenso e di liquirizia mi ritrovo a spasso per un altro comune, quello di Vosne. Sempre questi paragoni, ma chissà cosa succederà in futuro a questo vino magico nei prossimi quattro anni. Chissà se avrà la voglia e l'energia di viaggiare e farmi viaggiare ancora attraverso i nobili terroir d'origine. Magari deciderà di spostarsi ulteriormente, e prevedibilmente, verso le note terrose di Volnay. Secondo me, che l'ho ascoltato come un figlio e che ci ho scommesso sopra con un rischio neanche tanto azzardato, nel suo futuro aderirà ancor di più al suo terreno adottivo, ma nel frattempo se ne andrà in giro per le appellations della Cote D'Or finché non si stancherà di divertirsi alle spalle dei fortunati nasi che avranno la buona sorte di passarci sopra periodicamente. 


I più piccoli, il 2006 per esempio, sente la responsabilità e per ora non osa il confronto, limitandosi a fornire buone impressioni ma senza tentare il confronto. Il 2011 fa lo spaccone, tirato fuori dall'acciaio mostra i muscoli e una forza virile che di nuovo mi potrebbe ingannare e riportare la mente sul comune di Gevrey, magari dalle parti di Griotte stavolta. Ma ci sarà tempo e modo per raccontare un altro capitolo di una lunga storia. Storia che iniziò appunto nel luglio 2008, storia che non fa parte dei miei 500 post/articoli apparsi negli ultimi cinque anni sui vari blog o forum che ho frequentato. Quella storia rimase nel cassetto e, fu l'unica completamente inedita tra quelle che comparvero sul Libro dei Vini Francesi, in contrapposizione al Nebbiolo di Vosne. E allora adesso mi sembra venuto il momento di riproporla anche in digitale, a chiudere un altro cerchio di emozioni. Ancora un grazie di cuore a Ombretta e Paolo Baggini per la deliziosa ospitalità. A presto. - gdf -

Paolo Baggini: entriamo in casa, al Domaine Olmo Antico ;-)
"I sogni di molti appassionati di grande cucina, quando si rendono conto che ormai il sacro fuoco gli è scoppiato dentro, potrebbero essere diversi: 1.aprire un ristorante per conto proprio convinti di aver capito tutto e pensare, adesso vi faccio vedere io! 2.Attrezzarsi in casa di ogni diavoleria tecnologica e approvvigionarsi di ogni grande materia prima disponibile sui mercati di nicchia per poi vessare amici e parenti con esibizioni bisettimanali di presunta alta cucina trasformando la cucina in un campo di battaglia permanente. 3.Stressare ogni cuoco o ristoratore con cui abbiano allacciato un minimo di rapporto confidenziale con l’intento di fargli cambiare linea di cucina. 4.Riuscire a condividere una avventura nella ristorazione affiancando quello che in quel momento ritengono lo chef preferito e senza investire un euro, semplicemente lavorandoci a fianco con un incarico diverso all’interno del medesimo ristorante.

In cucina si sta preparando la festa

Facendo autocritica non posso negare di essere caduto più volte nel tranello rappresentato dal punto 2 e dal punto 3, mentre per fortuna sono riuscito a rimanere fuori dal bagno di sangue che rappresenta il punto 1, così come, sempre per fortuna e per buone intenzioni, sono riuscito ad entrare in alcuni progetti attinenti il punto 4.  Il punto 4  identifica la situazione migliore auspicabile per un appassionato di alta cucina, ma anche per chi è veramente interessato a sviluppare il tema enologico senza dissanguare il portafoglio, anzi, mettendosi al servizio retribuito con il ruolo di cantiniere o di sommelier che dir si voglia ed aver così accesso a molti dei migliori vini di questo pianeta.

Centro tavola, come dire... evocativo.

Lavorare a fianco ad uno chef solido ma profondamente ispirato sul lato creativo come Fabio Barbaglini è stata una delle più sofferte soddisfazioni che ho vissuto nel periodo di anni che ho dedicato all’altra parte della barricata, quelli passati tra il pass di cucina, la cantina e la sala ristorante. Maitre? Sommelier? Direttore di sala? Consulente? Non saprei definire con precisione, e non è questo il tema. Il tema è che questi ruoli consentono di conoscere persone interessanti da un punto di vista diverso, perché chiunque stia seduto al tavolo di un ristorante per me è un cliente come tutti gli altri, o quasi come tutti, finchè non decida lui di rivelarsi per quello che rappresenta nella vita di tutti i giorni e decida di raccontare quello che non direbbe quasi a nessuno, invece con chi in quel momento è delegato a rendergli piacevole qualche ora al ristorante lo farà. E così si fanno conoscenze importanti e si possono anche costruire nuove amicizie. Un altro privilegio che questi ruoli possono portare è l’accesso alle proprietà vinicole di ogni zona dall’accesso principale, perché sei considerato più o meno a ragion veduta uno che ci  capisce, uno che potrebbe essere utile alla causa commerciale di quella casa vinicola, uno con il quale poter condividere qualche ora con un bicchiere in mano parlando la stessa lingua attingendo ad un repertorio di termini prelevati dal medesimo glossario.

Le bollicine rosè di Olmo Antico, da magnum, 72 mesi sui lieviti...

Tutta questa tiritera per arrivare al punto, sperando di riuscire velocemente a ritrovare la sintesi o finiranno prima le pagine disponibili sul libro piuttosto dello sviluppo dell’argomento. Il punto è nell’oltrepò, in una Tenuta Agricola non ancora famosa ma che lo potrebbe diventare, e che in quell’estate del 2008 era totalmente sconosciuta sia a me che a Fabio Barbaglini. Eravamo stati invitati per motivi e scopi diversi dall’assaggio di qualche bottiglia di vino, ma alla fine quello diventò il fulcro di quella bellissima giornata a Olmo Antico di Borgo Priolo.


Questo perché il padrone di casa, il vulcanico Paolo Baggini ci svelò l’esistenza di una botte di pinot nero da uve di una recente vendemmia non ancora messa in bottiglia. Uve da piante comprate direttamente tra Gevrey Chambertin e Vosne Romanée. Prima si scherzava sul Nebbiolo di Vosne Romanée, qui invece si stava facendo il contrario e sul serio con cloni di pinot noir di Gevrey Chambertin piantate in oltrepò. Paolo Baggini in realtà aveva, o forse ha ancora marginalmente compiti ben più dinamici che la coltivazione di una vigna. Direttore dell’Harrys Bar di Roma, poi del ristorante del Principe di Savoia di Milano e ancora dei ristoranti del Casinò di Campione. Start-up, direttore di sala, sommelier… insomma, a un certo punto mi dice : “ma allora noi facciamo lo stesso lavoro? Mah, forse no, nel senso che tu fai le stesse cose ma con un valore umano ed economico da gestire che potrebbe valere un coefficiente cento volte più grande per difficoltà e per relative soddisfazioni ovviamente.

Paolo e le vecchie pietre di Borgo Priolo, come a Gevrey.

Attività per me anche ludica e appagante sul piano umano, stressante quanto economicamente molto più interessante la sua. Da qui la scelta di rallentare con quella frenetica attività e tornare progressivamente alla terra. Insomma, quello che non per passione  ma per necessità toccherà a molti in futuro, quindi meglio pensarci prima e dargli già da subito un senso compiuto. Una linea di vini pensati per le diverse esigenze, per le diverse fasce di clientela ed infine il gioiello di famiglia, quello che da subito mi è parso sicuramente la miglior espressione nel bicchiere di un pinot nero in oltrepò e anche in assoluto sul podio degli ultimi 20 anni sull’intero territorio a sud delle Alpi . Io mi auguro che all’uscita di questo libro quel vino sia stato finalmente messo in bottiglia, e se ciò è stato fatto, che sia in qualche maniera anche disponibile allo stappo piuttosto di rimanere ancora a lungo in fase di affinamento. Questo perché il vino mi era già parso in quel frangente fatto e finito, e tutte le evoluzioni successive avrebbero sicuramente contribuito ad allargarne la complessità, ma ciò si può apprezzare anche gradatamente, anno dopo anno, stappo dopo stappo. Il mio timore è che Paolo Baggini si sia affezionato troppo al suo Chambertin di Borgo Priolo e che non se ne voglia più separare. Coraggio Paolo, se già non l’hai fatto, mostrati al mondo in un modo diverso rispetto al passato, fai vedere al mondo che anche nella terra dei cachi si può fare un pinot noir degno di questo nome. C’è bisogno di sognare così come di vederli realizzati i sogni."




- gdf 2012 -

4 commenti:

  1. Però non si trova normalmente in enoteca...
    Beppe

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  2. Non saprei, comunque meglio andare sul posto e provare anche il resto, come le bollicine e altre cose...

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    1. Costa un occhio della testa però...

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    2. Vabbè, palesati e passa dal faro, suona al videocitofono. Un bicchiere di Pinò ai viandanti motivati non si nega, per quel che ne resta.

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