mercoledì 20 aprile 2011

BIO? "non scherziamo, quelle sono cose verdi come la benzina….chissà cosa c’è dentro"

Cosa dire, leggiamo, poi discutiamone, Gaber l'avrebbe forse definito il riflusso?

- di Massimo Viglietti -


1989/1991

-allora Massimo, cosa ci da da bere ?-

“provate questo pinot blanc alsaziano di un produttore che lavora in bio….”

-non scherziamo, quelle sono cose verdi come la benzina….chissà cosa c’è dentro…-

“no, veramente, questo è un artigiano seguace di Steiner, assaggiatelo, al limite lo cambiamo….”

- ci porti ‘sta roba e vediamo….-

2007/2010

-senta, di bio cosa tiene in carta? Sa io apprezzo solo quei produttori che non alterano in maniera chimica…..-

Come negli anni novanta venivo mal giudicato, oggi non sono soddisfatto in quello che credevo, sono disilluso dalla piega che hanno preso gli eventi.

Il fare vino deve essere sincero, le mode e i consumi sono per stilisti e clienti.

La confusione è sempre stata una condizione, instaura falsi miti e crea aleatorie sicurezze.

Il bio che oggi furoreggia dopo avere preso schiaffi e ingiurie a scapito della produzione più classica , oggi vessata dopo anni di “grandeur” stile francese, non ha senso.

Chardonnay, Sauvignon, Cabernet, Merlot, e mi fermo a questi per non andare su uve e vitigni che oggi sono diventati autoctoni anche nel nostro territorio, tutto si trasforma in vino senza contare l’aspetto del “terroir”tutto basato su scelte che non hanno a che vedere con clima -vitigno, ma con vino-commercio. Il bio non sempre è sinonimo di qualità, non usare pesticidi, concimi chimici, esasperare naturalmente il terreno, fare “compost” e sporcarsi le mani non vuol dire che il prodotto sia eccezionale. Molti produttori si sono dati al bio solo perché fa tendenza, senza interpretare il vero ruolo che ha il “vigneron”che ci crede, solo per ricreare un mercato che altrimenti non avrebbero.

Spesso vediamo bicchieri pieni di liquido torbido, alcuni con strane “puzze” e sentiamo, immancabilmente, il sommelier che con prosopopea ci spiega -questo è un vino di produzione bio, non filtrato e con lieviti indigeni, naturale al 100 per cento- poi leggi l’etichetta e ti accorgi che l’azienda è enorme, le bottiglie prodotte esagerate e il territorio è zona di bonifiche……

Ho sempre avuto un occhio di riguardo per le persone che sono quello che fanno, i produttori bio mi hanno sempre affascinato, ho tenuto e continuo a tenere vini bio in carta perché ci credo, ma oggi è difficile……un mucchio di furboni ci sta manipolando il “pensare”, non si può essere affascinati da “miti” che giravano con il maglioncino di lana e i sandali anche in inverno e oggi li trovi in queste kermesse culturali, perché ormai è così…..status symbol e basta, con il maglioncino che ora è di cachemire, i sandali di tendenza ci sono sempre e nelle mani straordinariamente perfette e pulite compare un habana de luxe.

I vini non hanno frontiere di confine e di gusto, le uniche condizioni devono essere la serietà, il rispetto del terroir, la coerenza , la passione e il volere fare le cose perché si ama farle, poi, se il cliente è contento, se il prodotto ha successo e se le sirene cominciano a cantare, si cercherà di trovare ottimi tappi di cera per le orecchie.

http://www.youtube.com/watch?v=mNsCvOFcNng




















5 commenti:

  1. Crederci è la prima condizione Steineriana che farà si, o no , che il vino sia più o meno vero, più o meno buono.

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  2. Mi piace questa "lettura" dell'amico Viglietti di cui condivido pero' solo alcuni aspetti. Uno di questi è quello che mi rattrista di piu' ed è legato al "naturale" che che rischia di divenire una moda ed essere cavalcata dagli opportunisti-furbetti dell'ultima ora, ma bisogna saper scegliere e capire chi ci fa e chi ci è, non è difficile..
    Non sono un esperto di biodinamica e tantomeno un'agronomo, mi sono pero' avvicinato negli ultimi anni molto a questa filosofia produttiva.
    Principalmente i fattori che mi hanno avvicinato a questo mondo sono tre, le mie tre ICO:
    Tipico: il fatto che bevessi vini tutti uguali senza piu' un'impronta territoriale perche' la maggior parte dei vini attualmente prodotti nel mondo sono standardizzati, cioè ottenuti con tecniche agronomiche ed enologiche che mortificano l’impronta del vitigno, l’incidenza del territorio e la personalità del produttore.
    La standardizzazione sta generando vini simili in ogni angolo del pianeta,
    appiattiti nei caratteri organolettici e incapaci di sfidare il tempo.
    L’utilizzo della chimica nel vigneto e l’utilizzo dei lieviti selezionati in laboratorio
    sono le due cause principali di questa standardizzazione.
    Salutistico: una sempre piu' impellente necessita' di bere vini sani e
    “digeribili”; ho approfondito queste due tematiche e inevitabilmente mi hanno condotto verso i vini bio o naturali che dir si voglia.
    Ho riscontrato una tipicita' molto piu' accentuata nei vini ottenuti da questo tipo di
    agricoltura e a livello salutistico una sicuramente migliore digeribilita'.
    Etico: cerchiamo di salvare il mondo in cui viviamo, basta infliggere alla terra il
    flagello di erbicidi, pesticidi, fertilizzanti ed ogni sorta di porcheria chimica.

    Grazie Massimo, sarai sempre il benvenuto in questo blog se i tuoi scritti continueranno ad essere interessanti e profondi come questo.

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  3. Le domanda che mi vengono spontanea sono :
    chi faceva dei buoni vini bio/logici/dinamici nel 91 li fa ancora oggi? Se si benissimo, se no anche quelli si sono piegati al bieco commercio e hanno tradito la filosofia produttiva? Esiste un effetto simile a quello che si nota comunemente in campo musicale ad esempio il gruppo underground fantastico che appena ha un po' di successo perde buona parte dei fans della prima ora che lo tacciano di essersi imborghesito, perchè viviamo sempre nell'illusione di essere i primi scopritori delle novità e quando queste novità diventano tradizioni non ci stuzzicano piu' l'ego ? Se dei mostri sacri del bio della prima ora in questo periodo deludono non è che fossero deludenti anche allora ma non eravamo in grado di valutarlo obnubilati dalla splendida novità che colpiva la nostra immaginazione? Perchè invece di essere contenti della ricerca anche per moda da parte del consumatore medio ci si barrica dietro un atteggiamento radical chic?
    Ecc ecc
    Io se mio figlio mi chiede la crostata fatta in casa invece della merendina sono ben felice di propinargliela anche se l'ha fatta mia moglie e non l'ho fatta io :) Perchè dovrei negargli il piacere della riscoperta di cio' che anni di deleteria massificazione hanno nascosto? Credo che sia un obbiettivo massificare il buono, l'etico e il tipico. Quando mi accorgero' di non essere piu' in grado di star dietro alla produzione di crostate fatte in casa allora dovro' pormi altre domande, ma inizialmete è inutile e dannoso.
    Cosi' al volo, scusate se ho fatto confusione...

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  4. No, no, quale confusione, diversi passaggi tra le righe e nelle righe le ho colte, e non sarebbe molto diverso il discorso della Baladin ;-)

    Mi piace molto questo concetto:
    " perchè viviamo sempre nell'illusione di essere i primi scopritori delle novità e quando queste novità diventano tradizioni non ci stuzzicano piu' l'ego "

    Voilà!
    E quando scrivi queste cose mi chiedo perché non ci mandi anche tu qualche post solleticante..
    Merci!

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  5. @ gdf :
    1) al volo
    2) crostate per i bimbi

    1+2= breg in questo periodo :)

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