- di Michela Brivio -
“Mamma mia, mamma mia!
Oggi tutto è così strano! E ieri era tutto come al solito. Mi chiedo se sono
stata scambiata nella notte. Lasciatemi pensare: stamattina quando mi sono
alzata ero proprio la stessa? Quasi quasi mi pare di ricordare di essermi
sentita un po’ diversa”. (Alice nel Paese delle meraviglie).
Come promesso ritorno al bar, senza aver chiuso occhio
durante il viaggio per le forti emozioni ancora in corso.
Ordino qualcosa e poi cerco di riassumere il mio viaggio in
laboratorio, desiderato sin dal primo istante in cui mi sono seduta da Dina, giusto un mese fa.
Tè e un bel respiro per abbassare un po’ il ritmo cardiaco.
La prima volta non si scorderà mai ovvio. Ma c’è un po’
d’imbarazzo nel non conoscersi ancora, una timidezza nello spogliarsi pian
piano e penetrare l’uno nell’altro, anche se la forte passione accende da
subito il fuoco, travolgendoti, tanto da volerlo ancora, subito, con la
consapevolezza che sarà sempre più bello.
Pronta.
Premo il campanello.
Il portone si apre suonando il rumore dei chiavistelli che
proteggono Dina dall’esterno. Si apre ma Alberto
Gipponi non c’è. Un pochino mi rattristo lo ammetto, è l’unica piccola
sfumatura negativa della serata e di questa favola che vi sto raccontando.
La decompressione “Until
then if not before” fa però la magia cancellando anche questo.
Arriva. E da ieri oggi e domani è Gippo anche per me, perché
ormai ci siamo sciolti entrambi e sono finalmente ammessa a questa esperienza
davvero unica.
Il laboratorio, ma non solo, è tutto per noi. Parlo al
plurale perché condivido l’esperienza con un amico in comune. Ci avvolge il
colore delle pareti, la cura in ogni dettaglio (luci, opere d’arte, mis en
place), ma soprattutto l’atmosfera magica dove tutto diventa possibile, anche
mangiare al contrario, e non intendo a testa in giù.
Anche questo lo desideravo ma sinceramente non mi aspettavo
lo riproponesse anche a noi, come aveva fatto qualche settimana fa per Corrado Assenza, partendo dal “dolce”,
e quindi proseguendo di conseguenza.
Un brindisi in salotto e poi ci accomodiamo.
Adrenalina a mille.
E’ la lussuria il
vizio racchiuso nel bicchiere che ci fa iniziare il viaggio.
Coinvolgente già dal servizio/realizzazione al tavolo. L’estratto
di barbabietola racchiuso in un cuore, colora d’amore l’infuso di mela, limone,
gin, menta, zucchero di canna e seme di melograno.
Entra nel nostro corpo e lo invade, come una pozione magica
che ci trasforma.
Sempre in onore dell’ospite prima citato ecco il Caffè Sicilia.
Latte di mandorla, arancia e caffè di carrube. Servito
freddo. Un’esplosione isolana, che fa commuovere chi è con me, viste le sue origini.
Io non ho queste radici familiari ma credetemi mi sono sciolta con lui.
Saliamo un pochino lo stivale per il Delirio?
Babà, gelato alla
terra e riduzione di fungo.
Rigorosamente con le mani. Inzuppato a dovere. La lussuria
continua …. e noi continuiamo a goderne, con la curiosità e l’attesa del
prossimo cambio di scena.
Coltelli, forchette, cucchiai ….non c’è più regola nel
GippoLab … è l’istinto a prevalere ed ogni cosa è concessa.
2.0 Cavolfiore
Un mese fa assaggiavo il Ma che cavolo.
Ora la nuova
versione. La spuma rimane la stessa, il crumble diventa di nocciola, il gelato
è al wasabi e il bergamotto completa il piatto.
I piatti dello
chef sono di un equilibrio da brivido.
Vi rode il fegato.
Rimane sì lo stesso
piatto già descritto dalla veranda, ma sapete che la magia di questo luogo e
delle sue mani lo hanno comunque trasformato ancora?
Esperimento?
Siamo qui apposta!
La definisce una
versione dell’agnello da “mangiarozzo, golositalia”.
Scopriamola, o
meglio scartiamo il pacchetto di stagnola che lo avvolge. All’interno una sorta
di kebab molto provocatorio per il palato, e davvero estremo, come sa essere
solo lui.
Nota amarissima,
data dalla genziana, speziata ma anche fresca ….adorooooooo.
Bellissimo anche
sporcarsi le mani e leccarsi le dita. Puro piacere senza limiti!
Non mi era proprio piaciuta.
Non è vero. Era
stato uno dei piatti “classici” e apparentemente semplici che mi avevano
conquistata assai. Ma facciamo finta che valga il titolo, la versione rock
attuale è ancor più strepitosa.
Pesca, fragola e
basilico: un cocktail analcolico che mi ha ubriacato.
Riassaggio anche
l’Agretto come spaghetto.
Il gioco
olfatttivo che lo precede è tra i miei preferiti. Non me ne priverai mai vero?
Chiudere gli
occhi, anzi prima meglio afferrare le ciotoline, quindi chiudere gli occhi e
respirare il profumo di terra bagnata ed erba. Solo dopo procedere con
l’assaggio. Ma cosa succede a questi piatti?
Si trasformano
ogni volta facendo cogliere sfumature diverse. Qual è il trucco? Secondo me il
concentrato d’amore e passione per questo lavoro che si traduce nell’ingrediente
segreto che solo lui può usare così.
Silenzio. Si
spegne la musica. E’ il tintinnio di un orologio a riempire il laboratorio.
Batte a ritmo sostenuto. Ci guardiamo, ma pian piano non riusciamo neanche più
a farlo perché una a una le luci si spengono, lasciando solo quella di una
lampada portata al centro del tavolo.
Il battito
cardiaco ne segue l’andamento accompagnato anche dallo stupore e dall’attesa di
quello che potrà succedere.
Il tendone rosso
che separa gli ambienti viene sciolto, chiudendo il sipario. La cadenza
dell’orologio rallenta.
Prenditi il tuo tempo – tana del
bianconiglio.
Stupendi colori e
presentazione. Il protagonista è ovviamente il coniglio: spuma di fegato e
rognone.
Crema di patate e
chutney di carote, erbe aromatiche….In alcuni piatti non riesco a stargli
dietro con tutti gli ingredienti, ma è giusto anche non svelarvi tutto.
Non può mancare
il tè come accompagnamento.
Ogni piatto è una storia, un concetto, una riflessione
interpretato secondo il suo linguaggio che voglio fare mio per potergli parlare
ancora e ancora.
Alberto ci presenta il prossimo piatto. Bertagnì, sottotitolo baccalà fritto anche se non dovrei metterlo
perché lo conoscete tutti vero?
Non gli viene come voleva quindi stravolge l’ordine delle
cose …che non è comunque mai stato ordine sin dall’inizio.
“Nella vita non ho fatto tutto di perfetto, un’inversione
dei piatti capita”.
Ci vuole uno shock per rimediare e lui ci riesce. La luce
scopare di colpo. Arrivano due bicchieri con una piccola illuminazione e il
rumore del mare fa da sottofondo.
Vorrei togliere le scarpe ma non oso ancora …mi ci vuole
un’altra volta per sciogliermi ancora di più e voglio sia prestissimo, anche
per tornare a raccontarvelo.
La prima parte è nota, ed è proprio per questo mi stupisco
ci sia un seguito.
Tutto passa attraverso e ci cambia, che racconta come l’uomo sia anche un filtro. Crema di cozze, pomodoro confit, aria di
limone, erbe aromatiche, pane croccante e tartare di fungo, servito in
bidoncino del pattume realizzato con la Mepra di Gianni Prandelli.
Aveva lasciato il segno e lo lascia ancora. Anche per
l’aggiunta, che si svela sul fondo togliendo il primo contenitore. Non so se
rendo l’idea ma chi se ne frega! Godetevelo nella mia semplicità ma soprattutto
lì a tavola, senza troppi formalismi. E’ un suo brutto ricordo d’infanzia ad
ispirarlo: un riso nel brodo di dado con prezzemolo e pane ammollato. Lui lo
rende uno dei piatti più buoni della serata. Sempre tanti ingredienti, che di
solito mi spaventano ma che qui arrivo a desiderare: brodo di gallinella, riso
cotto nel latte di tigre, lime, zenzero, cocco, cipolla, sfilacci di cavallo,
crostini alla paprika, coriandolo e un tocco di affumicato. ADOROOOOOOO…
Bertagnì time.
Crema di baccalà sul fondo e fritto a chiudere. In mezzo
cipolla acida (aggiungo un altro acida rafforzativo perché spinge assai) e
spuma di foie gras.
Dalla comune esperienza all’Osteria Francescana i due
superman mi raccontano della tecnica della pastella sifonata. La cucina è un
libro aperto da sfogliare, ascoltare e scrivere, è per questo che è la mia
passione più grande.
Pane burro e marmellata si completa con l’estathé. E’ sempre
l’ora di una merenda. Ovviamente il tutto è come al solito criptico e da
interpretare. Non ci sono gobbi o sottotitoli ma l’autore di tutto questo che m’incanta
ad ogni portata come se ascoltassi una favola.
Secondo voi è finita?
Non so se dirvelo o no. Vi lascio solo qualche spunto.
Ho tralasciato la parte vini. Volutamente perché è stato un
trittico inizialmente pensato per un piatto specifico ma poi ripreso per altri
e anche lasciato al piacere personale di decidere quando, come e dove ….senza
necessariamente un perché logico ma nell’illogica equazione dell’amore.
Chicche del mondo naturale, biodinamico e di vignaioli fuori
dal coro con produzioni limitatissime. Anche questo è Alberto Gipponi e Dina.
Dinavolino bianco (Az. Agricola
Denavolo)
Curtefranca bianco (Cà del
Vent)
Ici et Maintenant (Les Petit Riens)
Completamente sedotta concludiamo la serata con una
chiaccherata che avrei voluto non finisse mai.
Esco da Dina, i chiavistelli serrano la porta, ma il mondo
fuori ora ha un altro colore.
“E se smettesse
di sognare di te, dove credi che saresti?”
“Dove sono ora,
naturalmente”, ribatté Alice. “Niente affatto”, disse Piripù sprezzante. “Non
saresti in nessun luogo. Perché tu sei soltanto un qualche cosa dentro il suo
sogno.”
Complimenti al sommelier.
RispondiEliminaComplimenti a tutti. Vai e poi raccontami
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