- del Guardiano del Faro -
Non mi sembrava vero che qualcuno
volesse darmi dei soldi per andare la domenica allo stadio a sue spese:
trasferta, pranzo e biglietto pagato. In cambio voleva solo che raccontassi
alla mia maniera come erano andate le cose su un giornale locale e una radio
locale. Guarda un po’, niente di originale, perché poi scoprii che non erano
pochi i giornalisti sportivi che si sdoppiarono in critici gastronomici. A 16
anni non potevo però certo ambire alla qualifica di giornalista, ma bensì di
quella più defilata di pubblicista sportivo. Ma gli effetti collaterali furono
comunque inevitabili, perché le partite cominciavano tutte alle 15, e quindi
qualcuno che aveva la dritta giusta per far passare quelle due ore seduti alla tavola di un buon ristorante nella cittadina di turno lo si trovava sempre. Adoravo le partite in trasferta.
Di quel periodo ricordo ora un
collega che parallelamente si occupava di altro genere di critica, che non
riguardava né lo sport né la cucina. Lui era appassionato di cinema, e sia pur
molto giovane quanto me, ne sapeva e ne capiva parecchio. Personaggio schivo e
chiuso in se stesso, passava la giornata a studiare trame e sceneggiature su
riviste specializzate da carbonari. Poi, dopo aver mangiato in casa con la
mamma una bistecchina con il pomodorino usciva quando le luci del giorno si
erano ormai abbassate sul suo set giornaliero.
Magro, con la barba, con gli
occhiali, abbigliato nel suo solito black look e spettinato ancora dal cuscino
del mattino si dirigeva con lo sguardo assonnato verso le sale cinematografiche
della città o delle cittadine circostanti dove si proiettavamo quei film
francesi d’essai che per i più erano
di quanto più noioso creato dall’uomo civile. Un paio di volte mi avventurai
con lui nei meandri della filmografia underground
apprendendo che quanto più la colonna sonora fosse assente, i dialoghi
rarefatti e il colore della pellicola bianco- nera o seppiata e tanto più il
film rivelava personalità e artisticità sotterranea carpibile solo dai più
preparati critici, quelli che sapevano intendere la differenza tra quello che
veniva proiettato oltre gli spessi tendoni che dividevano il mondo normale e
quello dei film d’essai.
Anche lui poi raccontava il suo
punto di vista sulla pellicola oggetto dell’interesse di quattro gatti
attraverso le colonne del giornale e dal microfono della radio privata che ci
ospitava a pagamento. A differenza mia, che usavo all’epoca nome e cognome, lui
utilizzava uno pseudonimo, preferendo la discrezione e salvaguardando la sua
indipendenza di giudizio. Non era un atteggiamento costruito, era proprio lui
fatto così, che non gradiva apparire ma rimanere nel suo grigiore camaleontico.
In effetti il suo ruolo era perfettamente coperto, perché alle sue spalle c’era
un editore e un direttore responsabile consenzienti, e siccome, come me, aveva
diritto ad un stipendio ed ad un rimborso totale delle spese dei biglietti e
dei viaggi si trovava nella condizione ideale per poter proseguire serenamente
nel suo mestiere che per lui era anche una missione divina.
Ovviamente in molti si
incuriosirono e cercarono di capire chi si celasse dietro a questo Nosferatu
cinematografico. Penna fluente, ma voce incerta, e fu quello il suo tallone d’Achille,
perché un giorno, pardon, una notte, in una sala non desolatamente vuota, sua condizione abituale da vivere durante la proiezione di un film, c’era più gente
del solito, forse addetti ai lavori, che scambiavano qualche opinione tra il
primo e il secondo tempo. Forse fu perché questi dissero delle castronerie
insopportabili alle sue vergini orecchie, ma tant’é che gli sfuggi un pesante
commento che non passò inascoltato da uno degli spettatori; a quest'ulitmo parve di
riconoscere una voce radiofonica che si occupava di critica cinematografica e decise di verificare.
La sua vita quel giorno
cambiò, perché lusingato da quello, che
si rivelò un addetto ai lavori di un certo livello nazionale ed
internazionale, accettò inizialmente un
invito a cena per scambiare qualche forbita opinione, poi fu chiamato a fornire
consigli su questa o quell’altra sceneggiatura. Anche qualche regista lo volle
sul set perché desse un occhiata preventiva alle pose e ai punti di ripresa.
Infine venne invitato a far parte della giuria di concorsi e festival. Il telefono, al giornale e alla redazione radiofonica, squillava spesso, ed erano in molti a chiedere di lui. Ormai gli chiedevano anche quali attori fossero liberi da impegni per essere impiegati in delicati ruoli dove la trama del film prevedesse precise caratteristiche.
Era diventato lui più star di alcune star, con la differenza che le vere star guadagnavo molto, anche grazie alle sue dritte, mentre lui continuava a campare con lo stipendio del giornale. L'unica differenza consisteva negli inviti a partecipare a meeting, convegni e festival, dove naturalmente era ospitato in grandi e lussuosi alberghi, ma il prezzo da pagare fu altissimo per la sua contraddittoria personalità il giorno in cui si rese conto di non potersi più definire un critico cinematografico.
- gdf 2012 -
come lo capisco questo qui... sospiro... per lui era una missione divina come lo è per me... mi ha messo malinconia leggerti oggi.... mi piacciono però i film d'essai :) virante seppia ecco.
RispondiEliminavirante seppia, si, ma in umido coi piselli :-)
RispondiEliminaBeppe
Bha, visto che piove sul mare la vena malinconica prevale:
RispondiEliminase ne volete ancora di questa roba, nell'archivio ( mese di giugno se non ricordo male ) dovreste trovare anche L'Uomo in Blu, e anche L'Agonia di un Maitre. Poi quando avete finito di piangere andate a farvi un prosecchino al bar ;-)
...per i veri drogati di malinconia,rispetto a L'Agonia di un Maitre questa è rrobba tagliata....
RispondiElimina...condivido, esattamente come tra i vampiri di Twlight e Klaus Kinski che nei panni di Nosferatu mi faceva gelare il sangue, uno spavento simile l'ho provato solo alla prima visione di The blair witch project. Penso che merita almeno un grazie quest'anonimo critico e tutti quelli che come il maitre non vogliono arrendersi all'omologazione culturale. Il maitre ed il giornalista, potrebbere entrare anche nel post Un altro io: per coincidenza ambedue finiscono al cinema, uno a staccare biglietti l'altro a guardare pellicole. Bello.
EliminaAlba
seppie coi piselli, piatto doc della signora madre, buone! pure qua piove e malinconicamente travaso verduzzo, mentre messaggio con la langhetta malata... mi sa che è autunno... ;)
RispondiEliminaSono d'accordo: rispetto al pezzo sul maitre questa e'roba tagliata, e anche male. Io ci leggo tutta un'altra cosa.... E quindi il Gdf quando va sul mirato perde lucidita' e sbarella un po':-)
RispondiEliminafomentator dici che gdf deve drogarsi meglio? così non sbarella più? ;)
RispondiEliminaMmmm... beh, dai, però un giro sulla giostra non dovrebbe far male. Capisco l'incontaminata purezza della passione, ma peggio sarebbe stato se fosse vissuto sperando, che comporta un modo di invecchiare non precisamente nobile.
RispondiEliminadella tangibilità della sfumatura autocritica, belìn che giostra
RispondiEliminail giro in giostra a volte è bello, meno bello è quando ti fanno assaporare il gusto del biglietto per poi candidamente affermare che non sei all'altezza (di cosa ? e sopratutto, in base a che cosa?). così resti giù e guardi la giostra che gira chiedendoti cosa c'è di sbagliato in te in quell'istante. mera autocritica? forse, la malinconia non fa per me
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