domenica 21 ottobre 2012

Domenica e il maledetto Canapè


- gdf 2012 -

Il pan carré è bastardo di suo. Suo fratello, quello senza crosta, anche di più. Quello senza crosta comincia a darti fastidio non appena cerchi di estrarlo dalla sua confezione di plastica, quindi già da subito, perché quella confezione è sempre troppo stretta. 

E’ chiaro, gliel’hanno messa intorno dopo, mica ce li hanno infilati uno per uno. Se no sarebbero ancora li.  Se ne vuoi estrarre una sola fetta, o magari due, scordati di tirarle fuori integre. Perché il pan carrè senza crosta è sempre tanto morbido e un po’ umidiccio, e allora tutte le fette si attaccano insieme, e non c’è verso di tirarne fuori solo due; sicuramente si spaccano, si sbriciolano, si mollìcano, si appallottano.

Allora ti tocca sventrare l’intero pacchetto da dieci anche se te ne serve solo una, così le altre si seccheranno in frigo o nel sacchetto del pane vecchio. Per lo meno, quello con la crosta è molto più gestibile sotto questo aspetto: ne estrai due fette e poi decidi con calma se ci vuoi fare un toast oppure fino a otto piccoli canapè quadrati.

Siccome ha la crosta, il pan carrè classico, anche se lo tagli in quattro quarti mantiene comunque due lati rigidi, quelli con la crosta, quelli che compenseranno la carenza di rigidità degli altri due anche se sottoposti a tartinatura cremosa o umida. Così che in caso di attacco da parte di avventore affamato, quei due lati potrebbero tener testa alla pressione di indice e pollice. Se ci provi con l’altro no, anzi non ci provare, se no finisce male.

Lui scoprì tutto quanto in un tardo pomeriggio di mezzo autunno, il giorno stesso che fu assunto -sa, sono nuovo, volevo fare bella figura-  in quel bar di quartiere frequentato da svogliati giocatori di scala quaranta in pensione, ed in libertà vigilata da mogli e badanti. Erano tornati in molti da un giro in collina per funghi quel pomeriggio, e si ritrovarono la sorpresa. Fino al giorno prima non si era mai visto nulla su quel bancone all’ora dell’aperitivo, neanche un oliva con il macchiato (Vermentino e Campari).

Lui voleva solo far bella figura con il titolare e nel contempo stimolare le bevute caricando quei poveri disgraziati di tartine, e così, con quel che aveva trovato in cucina, aveva riempito completamente il piano del bancone di piattini colmi di canapé e di tanto altro. Da fuori vedo tutta quell’apparecchiatura furibonda, mi incuriosisco ed entro, mi infilo nel Happy Hour over Seventy.

L’entusiasmo  degli habitué era evidente, mollati i tavoli da gioco, e anche le slot, si buttarono a pesce sul bancone facendo a gomitate, ma più delle gomitate era il pan carré senza crosta che si stava trasformando in una trappola definitiva.

Non ci puoi mettere una tartinatura umida su quel bastardo, i baristi esperti lo sanno: segano fine una croccante baguette e così risolvono, sulla baguette ci puoi mettere quello che vuoi, al limite scappa via di sotto qualche goccia d’olio, ma questo è il massimo rischio che corri. Invece con il pan carrè ti potrebbe andare molto peggio.

Ma lui non lo sapeva, lui era stato appena assunto, era il suo primo giorno, ed era tanto entusiasta. Volendo usare quello che trovò in dispensa pensò bene di cominciare a tartinare l’infido pan carré con polpa di olive nere e come guarnizione metterci un quadretto di pomodoro fresco. Dopo due minuti secondi quel pesto di olive taggiasche diventa opaco e grigio, perché l’olio se lo è già preso il bastardo, insieme all’acqua del pomodoro. Il tutto diventa una massa molliccia che si attacca come una ventosa al piattino. Inattaccabile, imprendibile con due dita, con una forchettina da finger, ed anche con uno stuzzicadente. Salvo forzare il gesto indice e pollice, andando incontro alla vendetta del pan carré.

I primi tre canapè finirono spiaccicati tra robuste falangi agricole, persino sorprese da tanta facilità di presa, infatti finirono rispettivamente su una camicia, un gilè, un pantalone, e il più preciso di mira sulla punta di una scarpa scamosciata. Il pesto di olive taggiasche su scarpa scamosciata beige non è un bel vedere.

Ma il canapè  più infido doveva ancora rivelarsi, perché apparentemente innocuo, quello tricolore, con pomodoro, mozzarella, olio e origano. Infido ma non troppo bastardo, perché alla sua maniera un avviso lo aveva scritto, un messaggio lo aveva fatto passare, lasciando sotto di se  una torbida pozzangherina disgustosa. Chi non comprese il messaggio la pagò cara (la lavanderia di fronte intendo) e non voglio nemmeno pensare alle improvvide scuse fornite a mogli e badanti.

Quando entrai in aperta competizione con loro il pavimento era una pista da hockey su olio. Contavo sulla differenza generazionale per fare la differenza, e cioè stare in piedi, quindi evitando i canapè a terra ma anche quelli sul bancone. Tentai la sorte dapprima cercando di tirar su un cubetto di pecorino in olio e peperoncino tagliato fine con la punta di uno stuzzicadente, coefficiente di difficoltà 3.9 ; avrei dovuto provarlo prima a casa l’esercizio, non  ci si improvvisa virtuosi. Pulloverino colpito pesantemente. Tanto ormai era da lavare previo borotalco, e allora via sulla zucchina grigliata, senza ritegno ma con troppo olio per la forchettina finger; anche il pantalone subì.

Il barista si scusò, promise di metterci qualche trappola e qualche tagliola in meno su quel bancone in futuro. Ma sono già tre giorni che non lo vedo all’ora del Seventy Happy Hour: ferie o tfr?


3 commenti:

  1. A me invece la prima volta è successo di averne preparati diversi ma troppo in anticipo rispetto alla consumazione e si sono seccati a mo di galletta risultando anche gommosi alla masticazione, quei gran bastardi.
    Alba

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  2. Passando per caso, una sera, ho intravisto al bancone un push-up alle prese con una Berkel. Rossi entrambi, il push-up e la Berkel. Ho intuito una ebbrezza verticalizzante (ehm..): il canapé cubico. Il push-up prendeva a tre a tre i fogli di pan carré senza crosta e li spennellava di maionese. Poi, per tutta la sua lunghezza (ehm...)cospargeva un piano di prosciutto cotto e l'altro di uovo sodo tritato con un po' di roba piccante, anch'essa rossa. Chiudeva, pressava e incellofanava. Ha ripetuto il gesto anche per gli altri tre canapé. La sera dopo sul bancone troneggiavano tanti bei cubotti, asciutti e di morso, nonché di facile presa, e disposti in piramidi puntate dritte verso il soffitto stellato. Il push-up, appoggiato languidamente alla Berkel rossa, guardava i clienti, fiera del geometrico cambio di prospettiva.

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