- Silvia Vecchione - lifeonthetopfloor -
Cena nel Roero selvaggio al 21.9 di Flavio Costa
Ho
sentito dire che dall’altra parte della collina, al tramonto, si stappa Perrier-Jouët
Belle Èpoque. È vero? Tramonto di un periodo storico, forse, ma non di un modo
di vivere che, anzi, mi pare voglia riemergere con esuberanza tra le righe del
decadentismo contemporaneo, così come nel perlage vivace dello champagne più floreale
che conosca e che mi conquista sempre, per affinità elettiva.
C’è aria di Belle
Èpoque al Ristorante 21.9 di chef Flavio Costa, fra gli storici vigneti di
Tenuta Carretta a Piobesi d’Alba, sullo sfondo di un tramonto che è l’Alba di
un nuovo autunno. È il 22 settembre e abbiamo solo un giorno di ritardo: 21.9,
per Flavio, è una data che cambia la vita, il giorno di nascita delle sue due
gemelle.
Il
nostro tempismo, non proprio perfetto, è perdonato e veniamo benevolmente
accolti fra i 35 ettari di vigneti che circondano Tenuta Carretta. In cortile,
c’è una sposa che agita l’abito bianco a ritmo di musica, fra lo scintillio dei
calici, le risate fragorose e l’alzarsi della polvere da terra. Terra del Roero
selvaggio quella su cui la Tenuta – una delle più affascinanti realtà
vitivinicole della zona – si appoggia dal 1467. Un luogo sofisticato, una
country house di charme che ospita, oltre al ristorante, un boutique hotel con 10
suite finemente arredate da Ivana Miroglio e un’accogliente enoteca che è anche
wine shop. Il chiasso dei festeggiamenti, anche se gioioso, un po’ mi
infastidisce, al termine di una giornata intensa trascorsa tra viaggi e lavoro.
“Finiranno presto”, mi rassicura con elegante pacatezza la brigata del 21.9, mentre
l’occhio cade curioso sul British bar in fondo al salotto, tra gli arredi di
gusto classico e signorile.
Mi prendo
del tempo per sistemarmi in camera e scendo con un abito chemisier color
bronzo. Finalmente, il rumore della festa è svanito nel silenzio delle colline.
Mi sono goduta il tramonto direttamente dal balcone, lasciando che il calore
della luce bassa alla fine del giorno scaldasse il pavimento e le lenzuola. Il
tavolo in terrazza dà su quell’anfiteatro di vigneti che allo chef non fa
rimpiangere il mare.
Nato in Liguria e cresciuto sotto una buona stella – Michelin – Flavio propone una cucina di sofisticata contaminazione, che dà pari valore a pesce e cacciagione, puntando sulla qualità assoluta delle materie prime e giocando di creatività, senza dimenticare le tradizioni. Le sue dita maneggiano il lusso con totale naturalezza: non è snobismo, direi, perché qui non ci sono né esibizione né ostentazione; nel trattare l’eccellenza e raccontare l’esclusività, vi è assoluta franchezza, purezza, immediatezza e genuinità.
Si
parlava di tradizioni. Lo citano già dal 1999 ma vorrei provare l’ebbrezza di menzionarlo
anch’io, il piatto storico di Flavio che ricorda la riviera: la crema di
zucchine trombette, seppie al nero e scorzette candite di limoni.
L’olio di taggiasche
esalta garbatamente l’equilibrio di un piatto che non gioca in casa ma vince
sempre. L’olio, spremuto a freddo, riveste ancora un ruolo importante a fianco
del panino al pesto, tanto ligure quanto delizioso: crosticina sottilissima e
croccante, che lascia spazio a morbidezza ed evocativo profumo di basilico
fresco.
Ma lo chef, nato nell’olio, sguazza nel burro, che – se il colesterolo
non è chic – è innanzitutto soavità e profondità di gusto. Tanto poi a sgrassare
ci pensa lo champagne. Et voilà: il burro accompagna il caviale in un primo di
gnocchetti che colpisce per delicata sapidità e avvolge in vellutata cremosità.
Velluto avorio e perla nera cedono il passo alla star della serata: la prima
donna è vestita di bronzo – già mi sta simpatica – e si nasconde all’interno di
una lucentissima sfera: lì, tutta la dolcezza della nocciola piemontese si
fonde con un giovane e prezioso tartufo bianco.
È così che, stasera, il bronzo conquista
la medaglia d’oro: nessuna ostentazione e tanta autenticità in una cucina fatta
di contrasti, spigliata e schietta, elegante per natura, senza la pretesa di stupire.
S.V.
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