domenica 21 ottobre 2018

La joie de vivre in terra di confine: Diego Pani al Marco Polo di Ventimiglia


- Silvia Vecchione -
-lifeonthetopfloor-



Una palafitta affacciata sulla spiaggia, si dice, i cui paletti affondano ben più in profondità che in un'evanescente distesa di sabbia. Per conquistare una terra di confine e tenersela stretta servono radici belle solide: quelle del Ristorante Marco Polo di Ventimiglia risalgono al 1960, anno in cui Oreste e Maria Pani hanno dato il via all'attività, destinata a prosperare all'interno della famiglia per le successive tre generazioni. 

Fiero capitano dagli anni '80, Marco Pani guida il galeone con a fianco la moglie Ivana e, oggi, salpa alla scoperta di nuove frontiere insieme al figlio Diego, venticinque anni tutti fatti di passione, determinazione, competenza e personalità. Alle sue spalle, la tradizione di casa e una brillante formazione che lo ha portato a viaggiare fra Patagonia, Parigi e Montecarlo, sperimentandosi accanto ai più gradi chef francesi; uno fra tutti, il Maestro Alain Ducasse, con cui ha lavorato per tre anni, fino a diventare uno dei suoi allievi prediletti.


Diego ci accoglie con entusiasmo ed esuberanza. Il sorriso è di chi non vede l'ora di mettersi al lavoro e lo sguardo rivela sicurezza, decisione e concentrazione. Il nostro tavolo è all'interno, vicino alle finestre e affacciato sul terrazzo, oltre il quale s'intravede la spiaggia privata, anch'essa finemente agghindata in tonalità blu Marco Polo. Più in là, il mare appare calmo e lucente. Siamo in settembre, la giornata è calda ma la lieve brezza è bastata a convincere un buon numero di buongustai come noi a uscire di casa e incamminarsi a riva per un pranzo stellato.

La terrazza si popola velocemente e gli ospiti, quasi beneficiando dell'atmosfera che li circonda, sembrano a un tratto tutti belli e ben vestiti: avevo avuto la stessa impressione qualche anno fa, girovagando per le vie di Le Marais e Saint-Germain a Parigi. Entrano, attraversano la sala, volteggiano verso il terrazzo - ho il ricordo di un'elegante signora in abito giallo di chiffon - varcano la soglia e diventano più belli.

Immaginiamoceli poi al primo sorso di champagne e al primo ricciolo di burro. Non so, una specie di magia, che mi ha ricordato, per l'emozione e la joie de vivre, il dipinto Bal au Moulin de la Galette. Renoir era a Montmartre e noi a Ventimiglia, ma Francia, vino e buona cucina non mancano né lì né qua; e un piccolo salto nel passato ci è anche concesso: non si chiama vintage contemporaneo lo stile di Diego?


L'ho detto, a Diego, quell'aragosta ce l'ho ben impressa: piatto del giorno e aragosta almeno del decennio - sfido chiunque si voglia cimentare a superarla. Aragosta mi-cuite, fresca dal mercato di Ventimiglia, dove ho fatto un giro in mattinata, straniera fuori luogo in elegante décolleté di suede e completo floreale, e dove la famiglia Pani si rifornisce ogni giorno del pescato più fresco, per rendere giustizia al mare da cui proviene e per impreziosirlo al tocco di francesissimi fiocchi di burro. 

Toujours du beurre: arriva al tavolo come un trofeo, l'aragosta mi-cuite al burro, accompagnata da una finta crêpe di patate e cipolle, che addolcisce la sapidità intensa del mare e bilancia la crudezza di un piatto schietto, vivo, vero, forte e onesto, come piace a me. La sincerità mi conquista e a Le Moulin de la Galette, secondo me, non si scherza: se qualcuno ti vuole invitare a ballare, sono certa, te lo chiede. À la santé, sono sguardi e danze, joie de vivre e bellezza di confine: in trasformazione, in divenire. Vietato stancarsi, o adesso o mai più, come nelle pennellate impressioniste di Renoir.


Le acciughe panate e fritte in crosta di nocciole giocano in casa, riportando la Liguria con i piedi per terra. Seguono la stessa filosofia i fiori di zucchina, mentre il raviolo ai funghi racconta l'autunno che sta per iniziare, quello che, al Marco Polo, chiuderà la spiaggia ma non la porta. Il rombo cotto all'osso accompagnato dalla passatina di ceci e pinoli, così come il pescato del giorno abbinato a un raffinato contorno di cannolicchi, sono di Diego il manifesto: #FishIsTheNewMeat.


Venticinque anni, quindi un bell'hashtag me lo concedo; tanta tecnica, però; tanta conoscenza, tanta esperienza, tanta dedizione e abilità: il giovane francese di Ventimiglia, il figlio d'arte e Renoir della Riviera, cuoce il pesce come se fosse carne. Giocando in casa, pianta palafitte marine nella solidità della terra; e non sbaglia. Non sbaglia un colpo, tanto da confonderci la testa con la dolcezza proustiana de Les Petites Madeleines: a lui, forse, ricordano Parigi; a me ricorderanno, sempre, di un'impeccabile aragosta assaporata in terra di confine, dove la gente diventa più bella, nell'atmosfera giocosa ed elegante di una domenica d'estate a Le Moulin de la Galette.









S.V.

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