giovedì 17 gennaio 2013

Resta dell'amaro in bocca


- gdf archivio 2011 -


- Ah ahh… uscita Arles direzione Camargue, o quasi, diciamo che posto più ameno non potevamo trovarlo. Un insalata tra i canneti e le saline?

- Più o meno, La Chassagnette è un vecchio Mas provenzale nascosto tra questa fitta vegetazione, intuisco che questo le è sfuggito durante i suoi viaggi.

- Abbia pazienza ma sono ormai diversi anni che non scendo in Provenza con velleità gastronomiche di primo livello, questo per me è proprio una novità assoluta.

- Non lo sarà particolarmente invece, si tratta di un altro esponente della cucina naturale, derivata da prodotti biologici coltivati sul posto, un esponente della generazione dei cuochi contadini. Lei riesce ancora immaginare un cuoco di successo, uno che sappia stare al passo coi tempi e non abbia accesso ad un proprio orto biologico?

- Impensabile, siamo passati dalla cucina del mercato alla cucina del proprio orto. Una volta gli chef parigini si alzavano presto per andare a cercare i migliori prodotti, vegetali o altro, ai mercati come quelli di Rungis, appena fuori Parigi, poi ci fu il momento della priorità del fornitore di fiducia, sempre il solito, mentre oggi una star come Alain Passard si fa arrivare i prodotti addirittura dal suo orto, lontano ore ed ore dalla città. Ma è un caso limite, per chi sta in città è difficile replicare le condizioni di chi sta in campagna. E’ certo che almeno un erbario lo devono piazzare vicino o nei dintorni dell’ingresso del ristorante per convincere il cliente della prossimità di reperimento delle materie prime vegetali, in attesa che ci mettano anche un pollaio e una gabbia di conigli.

– Lei lo dice sorridendo ma io non lo escluderei, il chilometro zero è un’altra tendenza, anche se le scuole di pensiero degli chef fondamentalmente sono due. Quelli che pensano il piatto in funzione di quanto hanno a disposizione in quella giornata, in quella settimana, in quella stagione; e poi abbiamo gli chef che pensano il piatto in funzione di se stesso, secondo la teoria dell’alimento come elemento, e dunque se gli servirà una ciliegia in novembre per completare una determinata composizione non esiteranno ad acquistarla a caro prezzo, di qualunque provenienza sia la ciliegia, ma vorranno la ciliegia in novembre e l’asparago per Natale invece del carciofo.

- Solo una cosa prima di entrare qui dentro, ma non andremo per caso ad affrontare una cucina unicamente vegetariana oggi? O magari fatta di radici, pompelmi e alghe amare come stava accadendo anche da voi in Italia?

- No, no, stia tranquillo, quella è un’altra moda che ha fatto flop un po’ dappertutto, il canto del cigno è già avvenuto;  lei prima citava Passard dell’Arpege, che ci stava provando, e in alcuni menù ha spinto molto in quella direzione, così come Gagnaire per altri versi, però poi sono tornati tutti verso menù più equilibrati. Un po’ per le perplessità del pubblico, ma anche della critica, voglio dire, se un qualche redattore della Guida Gault Millau scrive platealmente di aver  mangiato delle villane radici in un menù a 300 euro, oppure un cliente lamenta gonfiori da abuso di verdura, radici, bulbi, foglie, fiori e frutti nel menù monotematico, sarà lo stesso chef a doversi preoccupare di ritrovare un equilibrio tra la pura filosofia, i desideri dei clienti e la giustificazione di certi prezzi, che con un cesto di radici, alghe e pompelmi da riversare nel piatto è una condizione  difficile da sostenere. Così come applicando all’esasperazione la filosofia dell’acido amaro fino alla saturazione del palato e del cervello. Ma le sto dicendo cose che ovviamente conosce, qui invece si tratta di una cucina di frutta e verdura della proprietà, con pesce e carni reperite non troppo lontano, senza salse troppo grasse e con un saggio uso di cereali.

– Da come me l’ha spiegato questo luogo…  sa che nella maniera che me l’ha fotografato mi sembra  di aver già pranzato, potrei passare direttamente al digestivo.

- Non si preoccupi, qui non le rimarrà dell’amaro in bocca, quello è un sapore che lasceremo ad altri.

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 gdf 2011 - segue, ma chissà quando -

4 commenti:

  1. Io della Chassagnette ho un bel ricordo che va oltre le radici amare, la carne di toro era favolosa.

    Stronzo&Ladro.

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  2. il mio ritorno alle "radici" è stato "dolce", condivido volentieri il ricordo...Le interpretazioni talvolta allontanano ma tutto torna...dopo l’amaro, l’allegato…

    Marco

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  3. La radici amare erano altrove, così come le alghe, quelle che provocarono l'editto Franconiano: "finché ci sarà insalata non mangerò alghe"

    Piatto freddo, non c'è fretta a gustarlo, anche cinque anni dopo va bene.

    Tutto torna, sono d'accordo, anche quel cerchio è stato chiuso.

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