- gdf 2014 -
Un’intera pagina dedicata a lui su
La Stampa di
ieri, a lui: L’architetto del chilometro zero e vita lunghissima. Manco a dirlo, piemontese. Gli
dissero – più o meno- qui nel novarese ci sono solo
dei mattoni, scordati il marmo. Ok rispose – forse- : date un’occhiata a quel Santuario che c’è qui dietro le colline;
con i mattoni che si cuociono in queste fornaci se ne possono fare di costruzioni azzardate. E quell’altra cosa che ho iniziato a Torino? Prima o poi qualcuno la finirà, se no come potranno
etichettare un derby quando inventeranno il calcio?
C’è tutto, anzi, parecchio, salvo
errori e omissioni, ma soprattutto incompiuti, anche perché se decidi di tirare
in piedi qualche milione di mattoni, tante certezze che stiano tutti belli e in
ordine non ne puoi avere. Neanche se campi 90 anni.
Non mi ero mai posto il problema
o dubbi architettonici, anche perché in prima elementare ti potevano al massimo
insegnare come tracciare un asta, verticale, orizzontale o obliqua. Mi pareva
più interessante capire dove stavo che imparare la bella calligrafia, nella
regione delle due cupole, una simbolo del capoluogo di provincia e l’altra
simbolo del capoluogo di regione.
Mi dissero che quel signore di
cui leggevo la targa commemorativa in marmo tutti i giorni andando a scuola,
fosse stato proprio lui; lui l’artefice di quelle due opere somme che erano
così alte da poter essere viste nelle belle giornate dalla sommità della
collina del paese dove nacque.
Mi incuriosiva la collina, e anche se fossi mai riuscito ad arrivare a 90 anni.
Diverse le domande di mezzo, tra l’inizio e la fine della collina. Dove
comincia la collina? E cosa ci sarà dietro la collina? Andandoci vicino non te
ne accorgi dove comincia la collina, ma qualche cosa ad un certo punto della
pianura cambia, perché invece degli orti seminati a ortaggi comincia un altro
tipo di cultura: quella dell’uva.
E cosa ci fanno tutti questi
filari ordinati nel bel mezzo del mio cammino verso la cima della collina? A
settembre? Mah, intanto mi fanno ombra, con tutte queste belle e grandi foglie
che mi coprono e mi riparano dal sole di fine estate, e poi mi impediscono di
sbagliare direzione, così dritti e regolari, verso la sommità della collina.
Ma che fatica quando hai iniziato
a risalire la collina, anche se non hai capito bene dove cominciava. Viene
sete, ma di acqua non ce n’è, c’è solo qualche albero da frutto, ma fuori dal
vigneto, mentre dentro al vigneto ci sono dei bei grappoli scuri e maturi. Ma
accidenti, ma non è buona quest’uva! Quest’uva è aspra e astringente, quest’uva
che i contadini del paese amano tanto non è buona, quest’uva che loro chiamano
Nebbiolo non è buona da mangiare come quella bianca che trovo in casa
insieme alle banane e alle fragole.
Niente frutta buona, anzi, peggio ancora, perché fuori
dal vigneto, verso l'alto, c’è solo qualche prato d’ortica ad infierire sulle ginocchia
scoperte, tra i pantaloni corti e i gambaletti in filo di Scozia, dentro i sandali blu.
E’ dura arrivare in cima alla collina con delle gambe così corte. Però là dietro, ne sono certo, là dietro ci sarà il mare. Invece no, in cima alla collina c’è solo un’altra collina, e poi un’altra. Una più alta e una più bassa, e poi, in fondo, tante montagne, e basta.
Mi volto allora, almeno le Cupole, le Torri, quelle ci saranno! No, non ci sono neanche quelle a vista. Che delusione la mia collina, tanto vale tornar giù di corsa in negozio a vedere se c'è qualche disco nuovo arrivato dall'America o dall'Inghilterra, e poi ad infangarmi nel campo di calcio aspettando l’ora di cena, a casa del nonno torinista, osservando le sue strane abitudini mentre malediva l'ennesimo scudetto Juventino, con un buffetto verso il nipotino degenere che aveva scelto la zebra come animale di pelouche per giocare il derby col Toro.
Quel nonno che faceva una cosa che non capivo dopo cena, perché anche dopo che gli avevano tolto la tovaglia da sotto i gomiti pretendeva comunque avere davanti un bottiglione di Nebbiolo aspro e astringente da versare in un bicchiere. Lui beveva quel liquido aspro e tannico, mentre io mangiavo l’uva bianca dolce e croccante. Ci ho messo più di 20 anni per capire il perché, perché aveva ragione lui, non ad innamorarsi del Toro, ma del Nebbiolo del paese di Antonelli.
E’ dura arrivare in cima alla collina con delle gambe così corte. Però là dietro, ne sono certo, là dietro ci sarà il mare. Invece no, in cima alla collina c’è solo un’altra collina, e poi un’altra. Una più alta e una più bassa, e poi, in fondo, tante montagne, e basta.
Mi volto allora, almeno le Cupole, le Torri, quelle ci saranno! No, non ci sono neanche quelle a vista. Che delusione la mia collina, tanto vale tornar giù di corsa in negozio a vedere se c'è qualche disco nuovo arrivato dall'America o dall'Inghilterra, e poi ad infangarmi nel campo di calcio aspettando l’ora di cena, a casa del nonno torinista, osservando le sue strane abitudini mentre malediva l'ennesimo scudetto Juventino, con un buffetto verso il nipotino degenere che aveva scelto la zebra come animale di pelouche per giocare il derby col Toro.
Quel nonno che faceva una cosa che non capivo dopo cena, perché anche dopo che gli avevano tolto la tovaglia da sotto i gomiti pretendeva comunque avere davanti un bottiglione di Nebbiolo aspro e astringente da versare in un bicchiere. Lui beveva quel liquido aspro e tannico, mentre io mangiavo l’uva bianca dolce e croccante. Ci ho messo più di 20 anni per capire il perché, perché aveva ragione lui, non ad innamorarsi del Toro, ma del Nebbiolo del paese di Antonelli.
gdf
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