- Silvia Vecchione -
lifeonthetopfloor -
Ristorante La
Credenza, San Maurizio Canavese
"È
vegano?" - "No, è buono." Risponde con decisione il nostro
Maestro Credenziere. Semplicemente buono. Siamo al Ristorante La Credenza di
San Maurizio Canavese, in una giornata d'autunno ancora calda da sembrare
estate, se non fosse per i giardini cosparsi di zucche, le pagine Facebook
invase da tartufo e il mio look giocato in arancione.
Mi sono
informata: perché si chiama "credenza"? Una volta, ai cosiddetti
Maestri Credenzieri veniva affidato il compito di assaggiare per primi tutte le
pietanze di un banchetto per assicurarsi che non vi fosse nulla di avvelenato. Così,
i piatti venivano disposti sul mobile che poi avrebbe preso il nome di
"credenza" e, salvo effetti collaterali, al segnale di via libera la
festa poteva iniziare, con la convinzione - o
la "credenza" appunto - che tutto fosse degnamente commestibile.
Forse nel 1600,
tra aristocratici e nobildonne, si parlava più di veleni che di vegani. Io
mangio quasi ogni cosa - chi è stato a tavola con me conosce i miei, pochi,
limiti - e una buona forchetta non si tira indietro a provare cucine
alternative, sapori esotici o interpretazioni, più o meno audaci, della
classicità. Un piatto vegano non mi spaventa affatto, anzi, quando si è sempre
in giro per ristoranti penso possa solo fare bene! Certo è che davanti alla
risposta secca " È buono" e all'espressione consapevole di Giovanni,
mi viene voglia di assaggiarla proprio tutta, questa Credenza.
Intanto, vi
presento il buon vegano: bietole, verdure di stagione e clorofilla di prezzemolo.
Enchanté, per davvero: un verde brillante che richiama il prato del bel
giardino zen al di là della sala e trasmette speranza in quello che sarà, su
questa bella tavola dove il moderno minimalismo viene spezzato da raffinati
tocchi di colore e dettagli decorativi.
Andando con un
po' più d'ordine, farei ritorno al momento amuse bouche per citare il roll di insalata
russa tonnata. Bello da vedere e piacevole da gustare: il croccante e il sapido
risvegliano le papille gustative e la morbidezza rassicura, in un finger food che
ammicca in vezzoso abito a fiori e poi conquista con la personalità di chi sa
quello che fa. Esperienza, passione, determinazione e coerenza fanno di
Giovanni Grasso, Igor Macchia e Chiara Patracchini un team vincente, che crea
cucina bella, nuova e di sostanza.
La melanzana
arrostita con toma di alpeggio, pomodori confit e patate al pesto sorprende per
la tecnica e il contrasto tra consistenze. Un viaggio da Nord a Sud che saluta
l'estate in un'istantanea dai colori vividi. E la mia faccia davanti al risotto
mantecato con toma delle viole l'avete vista? Una frase un po' disordinata è
giustificata, direi, davanti a un piatto che avvolge i sensi in tanta profumata
cremosità. Il tartufo, ça va sans dire, sta decisamente meglio qui che su una
pagina Facebook.
Il dessert scelto
per me è un mix che ben si adatta alla personalità imprevedibile e un po'
controversa - così dicono - di un segno doppio: ciliegie allo zenzero,
camomilla, cioccolato bianco e granita ai fiori di sambuco. Quanta dolcezza,
delicatezza, morbidezza e calore racchiusi insieme a carattere, decisione, durezza
e freschezza.
Un mix equilibrato in tutte le sue componenti, degna conclusione
di un banchetto che lascerebbe soddisfatti anche gli aristocratici e le
nobildonne, sempre che il loro Maestro Credenziere fosse in grado di limitarsi agli
assaggi.
Piccola
pasticceria da portar via, se si vuole, in una deliziosa scatoletta mignon che
è oggetto di design, pratica ed essenziale. Portar via, ma per andare dove? Qui
non ci sono camere, è vero, ma proseguendo sulla bella strada del design c'è
Casaformat, il progetto di ristorazione e ospitalità responsabile sempre firmato
dal duo Macchia-Grasso. In località Orbassano, a due passi dalla Palazzina di
caccia di Stupinigi, Casaformat abbina l'assoluta modernità degli interni con
la cucina gourmet che nasce dall'orto, per non deludere nemmeno i vegani.
S.V.
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