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Il pranzo della domenica: impressioni
Della cucina di Ribaldone
conservavo il piacevole ricordo di un viaggio impossibile: il famoso risotto
alle spezie, dimostrazione per assurdo che il giro del mondo può raccogliersi
tutto nella circonferenza di un piatto. Tesi ardita che, forse, a parole
spaventa, ma che, ai sensi, incanta. In particolare conservavo il ricordo dei
profumi: giustapposti, messi intenzionalmente nella condizione di esprimersi
appieno ed entrare in contrasto fra loro; odori che richiamano luoghi esotici e
terre di casa, tutti insieme, a litigare e abbracciarsi, verso una sintesi di
bellezza ulteriore, che è ancor più delle singole parti. Una fusione di
opposti, essenziale e totalizzante, che sfida i confini del tempo, superandoli.
Domenica, mi sono sentita così sulla soglia dell’Osteria Arborina, tra le dolci
colline di La Morra: sospesa nel tempo.
Ad accogliermi è stato il
profumo di lavanda, libero e sovrano nell’atmosfera limpida e sfumata, di bellezza
inafferrabile. Il rumore che mi portavo in testa da Milano ha incontrato il
silenzio, cornice assoluta di tutto questo splendore: caos e silenzio si sono
scontrati e poi ripresi, nella danza atemporale di opposti che è il fil rouge del nostro racconto nonché
forza creativa nella cucina di Ribaldone. All’ingresso dell’Osteria Arborina,
l’atmosfera rarefatta, quasi onirica, fa riaffiorare alla mente ricordi
lontani:“Taci. Su le soglie del bosco non
odo parole che dici umane”[1].
Il colore tenue della
lavanda in fiore si staglia, impeccabile, sul verde brillante dei vigneti di
Barolo. Quasi come in un quadro impressionista, l’aria è rarefatta e vive in
virtù della luce che la colpisce, trasformandola in un ebbro susseguirsi di
pennellate cangianti. L’occhio è travolto e la mente offuscata: rimane il dono
di un’immagine indelebile, che permarrà oltre il tempo e lo spazio.
Osteria Arborina è inserita
nell’elegante contesto dell’Arborina Relais, un boutique hotel dotato di una
piccola spa e di una piscina mignon all’aperto.
Elementi in metallo, pietra e legno si combinano armonicamente in una struttura
di design che sembra emergere in piena naturalezza dalla collina in cui è
incastonata. Trasparenze, volumi e consistenze, plasmati ad arte, si fondono
con l’ambiente circostante in una sorprendente continuità che non sembra opera
umana.
Della carta, mi colpiscono
in particolare tre creazioni. Primo è l’antipasto di scampo arrostito a la plancha, servito con barbabietola e umeboshi: un bouquet di colori e note
olfattive che regala al palato un tripudio di consistenze
e sensazioni lungo il continuum tra
morbido e croccante, dolce e salato, acido e delicato.
Poi, gli spaghetti ostriche,
mandorla e rafano: storia di un viaggio in mare che si conclude vittorioso portando
a terra la più preziosa delle perle; l’ostrica è glorificata in un piatto
raffinato e femminile che abbina l’intensità del rafano alla candida dolcezza
della mandorla.
Last but not least, il
piccione con ceci e aglio nero: si temeva fosse scontato e, invece, si è
rivelato sorprendente; in un piatto forse un po’ dispersivo alla vista –tavolozza
di colori e linee –è espresso il principio di un’esecuzione impeccabile,
perfettamente equilibrata.
Il mio pranzo della domenica
in Langa ha preso il via, curioso, da una bollicina di Nebbiolo, fresca, briosa
e fragrante, per concludersi sereno, nobilitato e riflessivo davanti a un
calice di saggio Sauternes: “Basta che un
rumore, un odore, già uditi o respirati un tempo, lo siano di nuovo, nel
passato e insieme nel presente […],perché subito l’essenza permanente […] delle
cose sia liberata […]. Un istante affrancato dall’ordine del tempo ha ricreato
in noi, perché lo si avverta, l’uomo affrancato dall’ordine del tempo”[2].
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