mercoledì 29 gennaio 2014

La metafora sulla montagna

Marco 50 & 50

Al Gran Premio della Montagna mancavano solo tre chilometri, per arrivarci con quella maglia ancora sulle spalle però, gli sarebbero servite tre cose, ma le gambe ormai non rispondevano più e le palle, si sa, non funzionano a comando...

Nelle gare di un giorno la grande prestazione occasionale può farci arrivare per primi al traguardo, se la corsa è a tappe il discorso è diverso, il sacrificio continuo, potrebbe sembrare più facile suddividere le energie a seconda della difficoltà della tappa e dello stato di forma, ma non è così, la costanza è rigore e disciplina, ma non è da tutti e c'è il rischio che la maglia venga esibita da altri come un trofeo.

Bisogna inseguirla a lungo, corteggiarla con insistenza ed impegno e, una volta conquistata, il meno è fatto, perché andrà difesa, mantenuta, protetta, sacrificandosi  giorno dopo giorno. La preparazione fisica, ma soprattutto mentale e psicologica è importantissima, bisogna arrivarci preparati ed allenati,  se in quota al Poggio ci arriva qualcun altro proveremo le tre valli varesine, stasera però ci sono le gemelle francesine e via così.

Questa è la quadratura del cerchio anzi del giro, che potrebbe condurci oltre il giro di boa, è qualcosa di davvero grande, l’attrezzatura in carbonio andrà sempre tenuta, insieme alla testa, sotto controllo.

Se la manovra di avvicinamento avrà dato i suoi frutti, una volta indossata quella maglia andrà difesa, ci sono tappe di pianura dove sarà possibile, senza tirare troppo la corda e la catena, vivere di rendita, pedalando in gruppo, vigili ma consapevoli di avere intorno, amici desiderosi di fare un pezzo di strada insieme a noi, dandosi aiuto reciproco, dandosi anche di gomito senza urtare il manubrio, perché quando la scelta è tra petto e coscia non sempre stiamo parlando di  pollo. In mancanza di falso piano, ma soprattutto di un piano falso, la tappa verrà condotta in porto con successo, il giorno dopo, quella maglia, sarà ancora onore e onere sulle nostre spalle.

Seguiranno anni che sembreranno giorni di passo regolare, il fisico integro, l’alimentazione adeguata, qualche saliscendi, piccole salite brevi e senza strappi, la pendenza ancora accettabile poi qualche pezzo in discesa dove con un po' di tecnica e coraggio il leader della corsa può perdere qualcosa ma non compromettere il possesso della maglia, i pazzi scatenati che si lanciano su strade da vertigine a velocità motociclistiche sono da guardare con rispetto ma non fanno paura, si possono riprendere e superare nella tappa successiva facendosi tirare da tutti i gregari a disposizione economizzando le energie in uscita.

La sera si ristudia il percorso, allenati a lungo per fare fiato e passo, sappiamo di dover spingere forte e con costanza e che, dopo tanto tempo, dalla prima volta saremo soli a difenderla quella maglia che tutti temono, basterebbe indovinare il ritmo e  potremmo farcela a superare indenne la cronometro individuale, la maglia dovrebbe rimanere al proprio posto in attesa delle grandi salite.

A questo punto non restano che due modi per perderla, quella maglia simbolo.
Il primo è quello di agire scorrettamente,  pensare di poter fare qualunque cosa sicuri che niente è nessuno potrà mai toglierci il gusto dell’arrivo solitario in quota, come fosse un diritto acquisito, allora si verrà prima o poi, inevitabilmente scoperti, come col rossetto di un'altra sulla camicia e mentre le analisi parleranno chiaro ci sfileranno la maglia, questa è una certezza.

L'altro modo, per perderla, è il modo di affrontare le salite che, come le grandi mareggiate d’inverno cambiano il modo di concepire il termine stesso di mareggiata, intorno cambia tutto, il vento, i colori, la temperatura, il paesaggio, la dimensione e il rumore spaventoso delle onde, è impossibile abituarsi a quel che nemmeno si poteva immaginare, ci si può solo adattare, poco importa se ci si è già allenati in altura, perché in salita, come in mare può capitare di fermarsi e mettersi a piangere.
Sono gli strappi ai quali siamo impreparati che ci fregano, ci si ritrova soli, col fiato corto, le gambe che bruciano, il cuore in riserva e un muro d’acqua o di granito da scalare, nel momento più duro la quota, persa di vista, diventa vulnerabile.

...il Gran Premio della Montagna non sarebbe stato l'ultimo, affrontato in questo modo rischiava di esserlo, provò a cambiare rapporto sperando di salvare il proprio, la quota là in alto si stava tingendo di rosa come la maglia, perderla per mancanza di gambe e di palle poteva anche starci ma prima avrebbe dovuto usare tutto quel che aveva a disposizione, così ci mise il cuore e se pur in trance arrivò sul traguardo, sentiva di averla persa e infatti per pochi secondi la perse, la maglia ma non la sua quota.


A tutte le quote, soprattutto quelle rosa.
M 50&50

7 commenti:

  1. In fondo (anche alla gara) ciò che importa è la quota !

    Pallock

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  2. la gara più importante è quella che si deve vincere contro o verso se stessi...
    Grazie, Simo Motta

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  3. Bene, quindi se qualche volta mi supero e arrivo secondo, va bene lo stesso, c’è sempre il dolce…
    M 50&50

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  4. Sei un poeta, a volte profeta...Chapeau
    Mario

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    1. …ma mi mancano i descrittivi sul vino…
      Grazie
      Ciao
      M 50&50

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  5. piacere Giordano ..... sono trentasei maglie passate a luglio!
    ....... prima o poi la maglia la perderemo ma Giordano rimmarà sempre a stringerti la mano

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    1. “Piacere Giordano” resterà scolpita nel muretto e la maglia della salute non l’abbiamo ancora messa.
      M 50&50

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