lunedì 14 ottobre 2013

Lepri e lupi di mare


del Guardiano del Faro


Sfortunatamente non capita abbastanza spesso di affrontare consecutivamente due bottiglie che rasentano, o che raggiungono la perfezione rimanendo per anni in equilibrio precario come una forchetta in un nido di tagliolini. Non esistono lepri di mare, e neanche lupi di mare, tutto quanto è frutto della nostra immaginazione.

Cogli il momento intimo! vacci dentro, perché il tempo nel quale nessuno si interessava alla tua intimità è passato da un pezzo, poi c'è stato un bel periodo fitto in cui la tua intimità diventò piacevolmente molto pubblica; in seguito in esclusiva, ed infine ecco tornare tutto molto intimo. Definitivamente.

La perfezione che non esiste, o che comunque dura poco, in mezzo a tanta piacevolezza e a tanto divertimento da cogliere quando capita.



La perfezione che non sta dentro l’intera produzione di un vino, perché passati alcuni anni dall’imbottigliamento, dentro ad ogni singola bottiglia può accadere qualche cosa che la rende diversa dalle sue sorelle, così diverse da sembrare parenti senza poterne vantare tutti i diritti civili, come è stato il caso di questo nobile Chateauneuf du Pape blanc 2006 di Beaucastel, neppure troppo anziano, anzi, ma già così diversamente evolutosi in due bottiglie stappate una dopo l’altra da far pensare che sia veramente il tappo, a parità di condizioni, a decidere che tipo di vita farà quella determinata bottiglia di vino.
 
Crema di zucca, peperone arrostito, patè di fegatini di lepre

Quindi sorprendermi -quando già la bocca aveva saturato i messaggi da lanciare al cervello- sorprendermi a tirar su due volte il pollice verso l’alto. Non mi è capitato molte volte, e forse mai di fronte a due bottiglie di vini rossi provenienti dal sud della Francia, da Chateauneuf du Pape, e non, come sarebbe molto più probabile, dalla Cote de Nuits.

Fassone battuto al coltello con sfoglie di porcino crudo e germogli


Il Rodano, nord o sud che sia, la mia seconda regione in un ordine di grandeur francese, dopo la Borgogna, tutte e due molto distanti dal lontano, dal sempre più lontano Bordolese che non mi invita proprio più a partire, né con le gambe né con la testa.

Quei pollici inviati timidamente verso il soffitto dal mio sistema nervoso indipendente, quasi di nascosto dalla moderazione che la mia mente cerca sempre di stabilizzare verso il basso, verso la ricerca del profilo basso, evitando gli aggettivi superlativi, o superflui.

Porcini in tempura e in torta pasqualina su crema soffiata di patata

Mi è sfuggito anche un 100, ma ognuno di noi ha parametri diversi, difficili da sintonizzare, come quando devo decidere su quali frequenze riordinare i tasti della tastiera, a seconda se sto scrivendo qualche cosa per il Bar degli Armadilli, per la già ricca pagina face book di Kitchen Aid, o per la patinata rivista Reporter Gourmet.

Tagliolini al sugo di lepre, da bis e tris...


Ancora lepre, in leggera salsa allo zenzero
Qui, di fronte al fatto compiuto, ho deciso di togliere la manopola che regola le frequenze e di lasciare andare via tutto insieme: le lepri di Greppi, l’interpretazione dei piatti realizzati da Ivano Ricchebono, la sommaria descrizione della sequenza dei vini della giornata, e anche un paio di vecchi capitoli dedicati -ma guarda un po’- proprio ai due vini da pollice alzato, da 100. Come al solito qualche cosa manca all’appello, perché tutto quanto non ci sta su un tavolo, tanto meno la voluminosa Nikon.

Lombata di lepre farcita di foie gras, a bassa temperatura
E' altra, quella diversa


...Ma secondo me il vero fiore all’occhiello di Beaucastel è rappresentato dal più prestigioso dei tre bianchi prodotti, ricavato 100% da vecchie vigne del vitigno Roussanne. ( che non è questo, che è composto da un uvaggio fatto di grenache blanc, bourbulenc, clairette e la medesima Roussanne al 80%... e non è molto di meno... di quello ricordato nelle righe scritte anni fa) Il vino, nelle annate classiche si manifesta in gioventù con un color paglierino chiaro pulitissimo, fini sentori esotici e floreali, speziature bionde e dolci. Minerale e lunghissimo in bocca, chiuderà con sensazioni di freschezza sorprendenti pensando che si tratta di un bianco meridionale. Probabilmente il miglior bianco seccco del sud della Francia. 

Altri non me ne vengono in mente, così puliti, caratterizzati, fini ma complessi. Si, forse Mas Daumas Gassac o la “Y” d’Yquem ma in maniera diversa. Un vino inconfondibile il Roussanne Vieilles Vignes, anche alla cieca. Un vino che invecchia anche bene e si abbina a piatti complessi e raffinati.

Homard Thermidor s’il vous plait! La gamma di vini proposti, i cui dettagli sono rintracciabili nell’esauriente sito internet www.beaucastel.com, si articola sulle due cuvèe classiche di Chateauneuf du Pape in bianco e in rosso. Esiste anche una più economica coppia che si avvale della denominazione più generica di Cote du Rhone, anche qui in bianco ed in rosso, e infine le due perle, le due riserve, anche queste come sopra descritto, in bianco ed in rosso...



La peperonata la preferisco nel piatto! Altra citazione all'indietro pure questa, e magari con un buon agnello di Paulliac al forno piuttosto che con la lepre. Per carità, come ci ricordava spesso Franck the big one, stiamo schifando cose che se non sono sicuramente eccellenti sono comunque dei vini ben fatti e che invecchiano bene. Questa bottiglia ne ha 18 di anni, ed è appena maggiorenne, in magnum, ma questo sentore vegetale che sfocia in una grandiosa ratatouille da cabernet sauvignon continua a non convincermi, mancandomi per lo meno la strada asfaltata per raggiungere una spianata di goudron da intraversata. No, non è un Talbot Lotus.



L'ennesima dimostrazione che un grande vino, definito tale a priori, può vivere una vita più o meno difficile in bottiglia. Il tappo è perfetto, ma la deviazione aromatica del vino lo rende una grande occasione mancata. A quel punto, di rischiare anche la seconda, ora, non mi sembrava saggio.



Per il motivo opposto ho evitato di proporre lo stappo della seconda di quest'altra, in quanto veramente troppo giovane e incerta, solo pronta ad ostentare due bocce così di alcol a 15 gradi sotto stimati e sotto un twin set troppo attillato, oltre ad una concentrazione polposa imprigionata nel legno. L'etichetta è regale, e la Regina avrà il suo tempo per dire la sua in maniera regale, una volta sbocciata e non così sboccata come ora.



...Ma dove siamo entrati? In una clinica? Mai visto un Domaine, pardon, uno Chateau dove l’ordine e la pulizia lasciano quasi in imbarazzo l’ospite. Volevo chiedere le pattine. Pavimento perfetto, uffici senza un foglio fuori posto, impianti di vinificazione lucidi e tersi. Pensate che questi maniaci dell’igiene hanno inventato un sistema di disinfezione delle uve per quando queste entrano nel processo di vinificazione.

Addirittura un percorso ad alta temperatura in tubo in acciaio del succo pressato per ammazzare il 90 per cento di quel che sta sulla buccia dell'acino. Mi hanno detto che basta il 10 rimanente a far partire la fermentazione e donare carattere.  Fatico a crederci, però così affermano. Magari ho capito male, però glielo abbiamo chiesto tre volte.  L'opposto di Rayas. Non perchè non sia buono, anzi. E' la dimostrazione che partendo da punti diversi e percorrendo un percorso diverso si possa comunque raggiungere un indirizzo qualitativo prossimo. Innanzitutto il terroir: sassi e non argilla, uvaggio e non monovitigno. Cento ettari di terreni vitati con una quindicina di vitigni diversi tra bianchi e rossi. Una produzione dichiarata di oltre 300.000 flaconi . E si! Con queste estensioni e con queste produzioni l’ordine e la disciplina diventano prioritarie per non perdere di vista nessun passaggio nella filiera che possa compromettere il risultato finale.

Per me che amo i monovitigni è una grossa provocazione assaggiare un rosso di cui la famiglia Perrin va fiera proprio per il motivo contrario: tredici vitigni compongono infatti il loro classico Chateauneuf du Pape. Per cominciare il Mourvedre che dona al vino densità e sensazioni pepate e speziate e il cui carattere tardivo compensa la precocità de la Grenache, qui meno presente che in altri vini dell’appellaton. Poi la Counoise che apporterà altra profondità e dinamismo al puzzle che ogni anno impegna l’equipe di Beaucastel, abilissima a destreggiarsi in un infinito gioco di incastri.


Quando le condizioni dell’annata lo consentono, viene assemblata anche la prestigiosa cuvèe Hommage a Jacques Perrin, che si caratterizza per una maggiore densità e profondità di materia e relativa ovvia complessità. Non l’ho provato più di tre volte, con quel che costa… ma non sono stato molto fortunato. Nessuna grande emozione. Si, perché se lo bevi giovane non va bene perché non ha ancora iniziato ad evolversi. Però poi se lo bevi di 10-15 anni rischi che la conservazione e l’umore del tappo te lo consegnino in condizioni compromesse. Speriamo bene con la prossima...

Questa! Questa meraviglia! Finalmente! Ci voleva una magnum?




Leggere valutazioni da 90/91 centesimi in giro per il web riferite a questo vino è una ulteriore dimostrazione del valore effimero dei numeri, perché questo oggi vale molto di più.

Per essere più preciso nel concetto, volevo dire tra le righe che se mai qualcuno avesse il coraggio di dirmi in faccia che questo vino vale 18/20mi o 90 centesimi, mi limiterei a prendere la mira e sputargli gentilmente la sua persistenza del giorno prima rimastami nella saliva del giorno dopo in un occhio.

...Certo che i francesi sono bravissimi nell’arte del  vendersi bene. Pensiamo solo a termini evocativi quali Domaine o Chateau, piazzati prima del nome di una famiglia o di un ulteriore termine fantasioso. Voilà. Ecco che la fascinosa nomenclatura già ci invita e ci attrae all’acquisto di una bella bottiglia etichettata sobriamente e che già profuma di profonda storia solo a guardarla.

La prima volta che mi sono trovato in Medoc, incantato davanti alla bellezza ostentata di alcuni castelli degni di Disneyland, ho pensato che tutti i proprietari che usavano da secoli il termine Chateau dovessero possedere qualche cosa di analogo a Chateau Margaux o a Cos D’Estournel. Infatti il Bordolese è uno spettacolo architettonico unico e che va spesso ben oltre la qualità dei vini, ma la realtà delle altre zone francesi  è totalmente diversa.

In altre zone della Francia il termine Chateau viene invece usato con disinvoltura anche se le proprietà a volte possono sembrare più a dei pollai che a dei castelli. La sensazione che si ha arrivando nei pressi di Chateau Rayas è proprio questa. L’impressione è di aver sbagliato strada, subentra l’ansia pensando di aver copiato male indirizzo e anche il numero di telefono perché non ti risponde nessuno anche se cerchi un aiutino, ma finalmente un vecchio cartello arrugginito piazzato ai margini di una stradina sterrata invita a proseguire in direzione dell’umile edificio rurale che fa di nome Chateau Rayas. Ma veramente il vino più mitico e originale dell’appellation Chateauneuf du Pape si fa li dentro dal 1880? Dunque è quello l’improbabile garage dell’Aston Martin dei vini di Chateauneuf da ormai quattro generazioni e da 130 anni?

La risposta è si! E la faticosa presa di coscienza inizia già da subito, scendendo dall’auto e mettendo timidamente i piedi a terra dopo la caduta di qualche scroscio di pioggia che profuma l’aria. La scarpe si sporcheranno subito nel terreno sabbioso-argilloso, il terreno preferito da la Grenache, il fango che ama o sopporta anche la Grenache.

Lo stupore e l’imbarazzo prosegue entrando in casa, dove il disordine e la trasandatezza non possono non lasciare con gli occhi sbarrati e increduli. E anche l’atteggiamento schivo e scazzato di Emmanuel Reynaud non farà nulla per migliorare il contesto.


Un giro in cantina conferma che l’igiene scrupolosa non fa rima forzatamente con grandi vini, così come il contrario. Mai mi era capitato per esempio di vedere una serie di botti sicuramente più vecchie dell’età delle vigne di cui raccoglieranno il frutto...


La miglior caramella al lampone del Pianeta Terra  ...Invitati a prendere un bicchiere, da ripulire facoltativamente dalla polvere  con il proprio fazzoletto da tasca,  ci avviamo con lo sguardo assente ad assaggiare direttamente dalle botti tre tra le più grandi espressioni che può fornire la Grenache sul suo terreno preferito. Una delle tre, presa singolarmente, l’apice assoluto in materia.

Però qui , pur rispettando il monovitigno (caso praticamente unico a Chateauneuf du Pape) in una regione dove possono essere anche una dozzina i vitigni utilizzati, non si fa divisione per cru e quindi le tre esposizioni concorreranno in eguale misura a creare il mitico blend che prenderà il nome di Chateau Rayas. L’apporto diverso di sensazioni composite quali la freschezza balsamica, la mineralità, il frutto maturo, la speziatura e la moderata acidità comporranno un puzzle quasi sempre impeccabile.

Degustare Rayas giovane o non giovane sarà comunque un piacere diversissimo rispetto a quasi tutte le blasonate produzioni che affollano la zona. Il colore rarefatto, la finezza e la gourmandise dei profumi anticipa la delicata ma autoritaria presenza in bocca, che rimarrà a lungo sul palato e nella memoria, ma leggero come una farfalla.  I vini buoni subito difficilmente diventeranno cattivi con il passare degli anni. Il contrario è più improbabile.

Inoltre siamo lontanissimi dal concetto di Chateauneuf du Pape inteso come vino grande e grosso e capace di  stendere un cavallo, potente e alcolico da far bruciare gli occhi. Qui si finisce la bottiglia senza accorgersi di averlo fatto, con la massima piacevolezza e serenità e senza per forza doverlo abbinare ad una sontuosa lepre a la royale.

Oltre alla dozzina di ettari di Grenache, Reynaud possiede anche meno di un ettaro sia di Clairette che di Grenache blanche con le quali produce un esiguo numero di bottiglie di Chateauneuf blanc non sempre all’altezza della fama del rosso.
Le annate importanti da bere ora, in rosso,  reperibili al mercato nero tra i 150 e i 250 euro, dovrebbero essere la 1998 - 1999 – 2000  – 2004, ma curiosamente chez Rayas sono riusciti a fare un vino piacevole anche in mezzo all’alluvionato 2002, anche se  probabilmente non longevo, anche se in mezzo al fango argilloso.

Però i guru del Rodano sono rimasti più affezionati alle produzioni pre-1996, curate dal vecchio Jacques piuttosto che a quelle parzialmente “rinnovate” in vigna e in cantina  dal nipote Emmanuel. Certo che a guardarsi intorno e pensare che qui qualche cosa è stato rinnovato ci vuole una grande immaginazione. Mah!  Rimarrò con il dubbio su come doveva essere Chateau Rayas all’inizio degli anni ’90, anche se la cosa migliore da fare adesso sarebbe stappare una mitica 1990 e omaggiare con il pensiero il vecchio Jacques...



E' tempo di finire il temino, dunque: stanchi ma felici per la lunga e lieta giornata trascorsa, i più resistenti alla fatica, quelli che si sono più APPlicati alla disciplina, hanno avuto come premio questo uno-due non da K.O. ma al contrario, risollevante. Pronti a ripartire?



...Ogni volta che avete a portata di mano un Krug, ( ma fossero due meglio ancora ) date retta al Guardiano, stappatelo. Sai che novità direte, tutti lo farebbero, ma non è vero, molti no. Perché no? Perché le emozioni potrebbero essere troppe. Per molti è troppo, per molti potrebbe essere troppo. Troppi rischi da prendere, troppo intenso, troppo legno, troppo vecchio, troppo impegnativo, troppo caro, troppo immaginativo, troppo emozionante. Poi che fai di fronte al troppo? 

E questo 2000 non è troppo ma è già tanto, per chi come me non ha mai perso volontariamente un'annata di Krug dalla 1961, per quel che conti il tempo per un Krug, fattore secondario, per loro che ancora stanno a pensare alla chiusura dello scorso millennio quando mettono a disposizione un "nuovo" Champagne.


gdf

Ivano, mi perdonerà se me sono andato più verso i vini che verso i suoi deliziosi piatti, ma trovare un equilibrio stabile senza aver più davanti quei meravigliosi tagliolini non è stato facile, e così sono cascato nelle Bocche del Rodano, dove i lupi di mare sono branzini e dove le lepri sono fuori luogo con in mano due bicchieri di Krug. 


4 commenti:

  1. 12 minuti fitti fitti fitti e nulla da ascoltare per far passare il tempo ?

    A&P

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  2. Ci sarebbe questo, che ne dura 14 di minuti, il tempo giusto per guardare anche le foto :-)

    “Molto tempo fa arrivò un uomo su un sentiero
    camminando per trenta miglia, con uno zaino in spalla
    e mise a terra il suo bagaglio dove pensò che fosse meglio
    costruì una casa nel deserto
    Costruì una capanna ed una provvista per l’inverno
    e arò il terreno lungo la gelida riva del lago
    e gli altri viaggiatori giunsero cavalcando lungo il sentiero
    e non andarono oltre, e non tornarono indietro
    poi arrivarono le chiese, poi arrivarono le scuole
    poi arrivarono gli avvocati, e poi arrivarono le regole
    poi arrivarono i treni e i camion con i loro carichi
    e il vecchio sentiero polveroso divenne la via del telegrafo.

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  3. ""perché il tempo nel quale nessuno si interessava alla tua intimità è passato da un pezzo, poi c'è stato un bel periodo fitto in cui la tua intimità diventò piacevolmente molto pubblica; in seguito in esclusiva, ed infine ecco tornare tutto molto intimo. Definitivamente.""

    Purtroppo......
    L.

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