domenica 24 gennaio 2016

Prima Visione


Marco 50&50

Un indovino mi disse…e predisse di stare attento, perché nell’anno ics (determinare il tempo con esattezza non credo conti) avrei rischiato di morire, in quell’anno, mi esortò, non volare mai.

Terzani, giornalista e scrittore, forte di una collaborazione pluridecennale dall’Asia con Der Spiegel, decise di non opporsi alla profezia ma di assecondarla  e col “permesso” del settimanale tedesco provò a vivere in modo inconsueto per un giornalista, muovendosi quindi solo via terra o via mare attraverso Laos, Birmania, Thailandia, Cina, Singapore, Mongolia ecc.…(determinare il dove con esattezza non credo conti) per incontrare indovini, astrologi e stregoni…persone.

Da quell’esperienza è nato il libro in apertura di post, dopo averlo ricevuto in dono e averlo letto mi sono ulteriormente convinto di quanto sia importante stabilire delle priorità, variabili in base alle variabili di stati d’animo tempi e luoghi ma ugualmente imprescindibili, decidere cosa sia davvero essenziale, il tutto senza curarsi di uniformarsi alle mode, alle persone, alla tecnologia, al pensiero degli altri.

Lo scrittore toscano, appena ventenne ricevette un’offerta di lavoro dalla Banca Toscana e pur avendo la famiglia contro, rifiutò, più di trent’anni dopo, invece, colse al volo l’occasione della vita e col pretesto della profezia aggiunse tempo per se stesso semplicemente spostandolo, utilizzandolo diversamente, trovò quindi il tempo di fermarsi, di guardare intorno a se, di riflettere.

Giustificato dal lavoro di ricerca, trovò la scusa per poter consultare astrologi e indovini, così (ri)trovò la magia, la poesia, rilesse l’essenziale facendo a meno di tempi, spazi e luoghi convenzionali.

Lo sviluppo, aggiungendo qualcosa in termini di comfort e soprattutto di velocità, ha tolto l’armonia al “piatto”, un ingrediente in più e l’equilibrio va a farsi fottere, anche quello mentale, non cerchiamo più la felicità, impercettibile, se pur presente e latente, a velocità elevate.

Forse tra un po’ parleremo sempre di più di downshifting, sperando non diventi una moda ma una scelta, altrimenti  “la ricerca” diventerà infruttuosa, incomprensibile ai più, la pecora che segue il gregge senza sapere dove sta andando farebbe bene a guardarsi intorno esternando la sua contrarietà con un belato liberatorio e salutare.
Uniformarsi può sembrare più comodo in un mondo vissuto in pantofole dove non sembra esserci spazio per quei pochi, visti dalla massa di disillusi come pazzi visionari.

Un telefono, una videocamera, una camera d’albergo, una macchina fotografica, una macchina, sono supporto nel quotidiano, non il quotidiano, sicuramente non quello di ieri né quello uscito oggi (in formato cartaceo o digitale poco importa) ma nemmeno credo il quotidiano di domani, per quanto veloci vorremo andare, alcune informazioni, alcuni dettagli, possono essere colti solo ad occhio nudo, alcune sensazioni ed emozioni vanno vissute in prima persona, soprattutto quelle che riguardano il rapporto dell’uomo con la natura ma anche col quotidiano, lo schermo è informazione, sta a noi farcela raccontare, immortalarla o cercare di viverla in prima persona almeno ogni tanto.

Le nostre vite condizionate e non supportate dalla tecnologia diventano vite di massa e non più le nostre, la letteratura per non perdere tensione e poesia sta trovando un modo per poter fare a meno di dispositivi tecnologici, gli smartphone sono antiletterari, poco romantici e poco adatti ai romanzi, la sfida del futuro sembra quella di riuscire a scrivere una trama nella quale il protagonista sia separato dalla tecnologia per tutta la durata del libro, se da una parte le vecchie trame “digiune” d’informazioni e connessioni sembrano obsolete, dall’altra l’essere sempre connessi “spoetizza”.

The Millions, un sito letterario americano, segnala un cambiamento che fa pensare, sempre più romanzi sono ambientati in un “presente nostalgico” e senza tempo, vagamente collocato tra gli anni cinquanta e i novanta, comunque prima della rivoluzione tecnologica, risolti i problemi narrativi i racconti sono più belli, “Un indovino mi disse” lo dimostra, in fondo le storie non chiedono altro di essere raccontate, ascoltate e vissute.

C’era una volta…
…un giovane italiano, alla consolle in un ristorante parigino, tracce rosate ma non sfocate di tre anni prima uscivano dalle casse, mentre Grace Jones, in sottofondo e al centro dell’attenzione, seduta in un tavolo defilato ma con vista mozzafiato su una Parigi notturna ma perfettamente sveglia, mozzava il fiato a tutti e al ragazzo seduto di fronte a lei al quale molto più tardi avrebbe riservato attenzioni particolari e non trascurabili.

La pantera nera accennò promettenti movenze sinuose che fecero sollevare “anche” gli sguardi dei presenti, lei, lentamente, tornò al tavolo e con grazia felina sollevò un calice di bollicine in direzione della consolle nobilitando il gesto del DJ alle prese con un Technics SL120.

Un giovane appassionato gourmet, futuro scrittore e critico enogastronomico, allora ventenne e solo al tavolo, sperando in un ritorno d’immagine, in mancanza della rosa colse l’occasione e immortalò la scena e la cena, ostriche, Krug e crostacei a cascata, poi, al momento del dessert, si abbassarono le luci e la musica, 

l’appassionato gourmet e un po’ gourmand percependo una sorpresa nell’aria si avvicinò per mettere meglio a fuoco la situazione ma la sua ultima foto risultò sfocata ed inservibile, il prescelto dalla pantera si alzò e scelse il suo dolce, rigorosamente senza cucchiaio, cioccolato amaro, i petali, la rosa…

Potendo scegliere avrei voluto  essere quello senza cucchiaio, invece sono solo un mezzo toscano visionario.

M 50&50

13 commenti:

  1. ...non solo continua l'ispirazione ma mi accorgo che hai doti ultra terrene. Allora ti racconterò,un giorno, della performance della panterona nel lontano 1980 in quel di Parigi in quella che al tempo era la disco più branche' della capitale, Le Palais.

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  2. Più che doti ultraterrene, credo di vivere in un mondo a parte, un po’ distante dalla vita reale, un po’ meno lontano da qualcosa di spirituale, e questo non è sempre un bene, faccio già fatica con le piccole beghe di tutti i giorni, non ti dico di quelle più grandi che ho dovuto affrontare tra sabato e domenica che cambieranno inevitabilmente la mia vita from now on, un abbraccio.

    Per quanto riguarda la panterona aspetto il post.

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  3. Ragazzi, ai miei tempi il latino lo si studiava già in prima media.

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  4. Anche ai miei tempi si studiava il latino alle medie, ma era facoltativo, e quindi mi dedicai a creare altro, fare altro, cercare linguaggi diversi dal latino, per cominciare, la vicina di banco

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  5. Avevo un vicino, di banco, la dirimpettaia seconda B ma coppa C non voleva prendermi in considerazione, così decisi di prendere ripetizioni, andavo a casa sua, in Via Civitali, mi aiutava nelle versioni, ma ero sempre distratto da quel che intravedevo tra le righe, sbirciando nel solco tra i seni

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  6. Io invece avevo il latino obbligatorio, dato anche dal fatto che in prima media entrai in seminario. Per cui oltretutto, scuola pubblica solo in classi di maschi studiosi di latino, e quindi vicini di banco poco ricreativi. Ma in seguito mi sono ravveduto.

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    1. Ecco il motivo del calo delle vocazioni, invece di avvicinarsi alle stelle, si cercano le stelle con le padelle…dopo il tavolo dell’amicizia sembra mi aspetti un’altra storia in “prima visione”

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