L'insalata tiepida di novellame, borlotti, crema di cipolla di Montoro alla brace e olio di basilico.
Ristorante Arco Antico
17100 Savona
alla ricerca delle emozioni lungo le strade asfaltate e non: del vino, del cibo e della musica
Il grande Raymond Thulier ed in seguito il nipote Jean André Charial misero a punto questa semplice quanto efficace ricetta per poter gustare al meglio un carrè d’agnello, una sella d’agnello, rispettando e conservando ogni profumo tipico della Provenza classica. Il vecchio Raymond, l’uomo che visse due volte ; assicuratore di successo fino a metà della sua lunga vita e per la seconda metà chef proprietario di uno dei migliori ristoranti del mondo della sua epoca e tra i primi membri dell’associazione Relais et Chateaux, tuttora due stelle Michelin. Lungimiranza e idee chiare non gli mancarono di certo, il tutto unito ad una sensibilità rara verso ciò che lo circondava. E questo piatto lo dimostra al cento per cento, perché utilizza prodotti e profumi che sono quelli che vorresti sempre sentire approssimandoti alla cucina di una Grande Table provenzale.
La ricetta è quella “codificata” da Charial, che assaggiai la prima volta nel 1989 e mai più dimenticai. Proprio perché l’apparente semplicità faceva risaltare l’elemento principale del piatto nonostante l’utilizzo di ingredienti che potrebbero far pensare ad un abuso di elementi eccessivamente caratterizzanti. Ma non è così se utilizziamo un agnello ricco di sapore come quello dei pascoli di Sisteron invece di un delicato e pallido Pauillac da latte . L’agnello da latte, presso gli chef francesi è spesso inteso come carne bianca, delicatissimo e burroso, molto buono ma non adeguato a questa ricetta, dove, non trovando le piccole produzioni regionali, ci si potrà affidare a carrè d’agnello Pré Salé o New Zeland, che una volta disossati avranno una bella nocetta grande e pulita come un filettino di maiale, quasi completamente priva di infiltrazioni di grasso o di altri fastidiosi tessuti connettivi tipici di altri tagli di carne. Questa caratteristica, unita al tipico profumo di pascolo, rendono questa carne di grana fine tra le più apprezzate in assoluto. Importante la cottura, che deve risultare rosa uniforme, risultato facilmente ottenibile nelle cucine professionali dotate di forni rational o simili, strumenti che non sbagliano una cottura, invece in casa bisognerà prendere gradatamente le misure per non andare oltre il limite, piuttosto meglio rimanere corti, verso una cottura “bleue” piuttosto che “arci cuit” .
E allora andiamo in cucina, con qualche semplificazione casalinga, concedetemela. Se facciamo disossare l’agnello dal macellaio ricordiamo di farci dare anche tutti gli scarti, che utilizzeremo per fare il fondo di cottura, facendoli dorare in padella usando olio d’oliva. Poi aggiungiamo una brunoise di porri, cipolla e carota. In seguito deglassiamo con vino bianco e stacchiamo dal fondo della padella le parti che si sono caramellate sul fondo e sui lati dell’ampio tegame. Aggiungiamo acqua e poco pomodoro, lasciamo ridurre nuovamente e filtriamo : il fondo è pronto. Il "contorno" di questo piatto sarà costituito da pomodori confit e da una composta di cipolle dolci. Per fare i pomodori confit basta pelarli, privarli dei semi e metterli al forno su una placca bassa con i profumi tipici del sud come il timo , l’aglio e poco sale, oltre ad un generoso giro d’olio extravergine. Un oretta a 150-160 gradi dovrebbe bastare. Per la composta di cipolla la ricetta originale prevede la cottura in tegame di cipolle bianche arricchite da due filetti d’acciuga e due cucchiaini di miele. Il tutto a fuoco basso per meno di un ora. Preparata la salsa - ma in realtà si tratta di un fondo non legato - e gli accompagnamenti, possiamo andare all’elemento principale, il carrè d’agnello disossato, che andrà “steccato” con un filettino d’acciuga prima di essere dorato velocemente in padella con poco olio. Lasciamo raffreddare la carne e stendiamo un foglio di pasta sfoglia, appoggiamoci sopra prima i pomodori confit , poi la composta di cipolla ed infine il filettone d’agnello. Chiudiamo il “Canon d’agneau” sigillando la pasta sfoglia con tuorlo d’uovo pennellato su tutta la superficie della sfoglia, magari avendo avuto la voglia di decorarla con qualche disegno realizzato in punta di coltello o utilizzando i ritagli della pasta sfoglia.
Andiamo al forno: 10 minuti a 250 gradi , poi lasciamo riposare un’altra decina di minuti, questo è il trucco per avere una carne rosa uniforme e non marroncina esternamente e cruda al centro. Possiamo finalmente affettare, e se la qualità della carne e la precisione dei tempi di cottura saranno stati ottimali non perderemo neanche un goccio di sangue o di umori. Le immagini annegate nel testo sono due esempi di buon risultato casalingo di cottura. Resta solo da riscaldare velocemente il fondo di cottura aggiungendo all’ultimo minuto un mazzetto di timo che profumi intensamente il piatto riportando la mente ai profumi della Provenza classica. -gdf-
Vagando senza meta nella campagna lombarda condivisa dalle province di Como, Varese e il Canton Ticino capiterà spesso di entrare e uscire dai confini attraverso un numero indefinito di così detti valici di frontiera, da queste parti più frequenti dei tabaccai . Frontiere spesso lasciate ormai a se stesse, dove un fosso e una ringhiera sono il massimo della protezione, ricordo romantico dei bei tempi del contrabbando creativo, quando i più poetici artisti del transito di valori riempivano di monete da 500 lire in argento il tubo del telaio della Graziella pieghevole e arrancavano lungo le stradine prossime alle dogane con malcelata fatica. Sorriso di circostanza, gomme fiaccate dal peso del “carico” e rischio di non riuscire più a fermarsi in fondo alla più tenera delle discese con i freni vanamente tirati per evitare di investire i doganieri.
Leggo Vecchia Osteria, non conosco questo posto ma mi fermo ugualmente con l’intento di consumare un frugale pasto, magari all’aperto, magari sotto un bosco di faggi e castagni. Tutto a posto, il vecchio cascinale magnificamente restaurato è ospitale e caldo nei suoi interni, lo si vede già attraverso le finestrelle che danno sulla strada e sul parcheggio privato. Si intuisce anche la presenza di un fresco dehors alberato. Quello che non si può intuire è la presenza della targa rossa della Gault Millau svizzera che senza mezze misure mi garantisce che qui si mangerà da 16/20mi .
Sapete com’è, un conto è trovare la targa di una catena, di una associazione o il simbolo di una guida; o per meglio dire: il giglio della Relais, il simbolo delle Soste piuttosto del macaron Michelin. Un altro conto è ritrovarsi di fronte al numeretto fissato alla parete che non ti da scampo, il numeretto dice che qui si mangia da 16 , e quindi se non hai capito che qui si mangia da sedici ti senti un po’ scemo, o tu o quelli che gliel’hanno attaccato. E allora andiamo a vedere qualche piatto da sedici.