E anche perché piace, perché piace più o meno a tutte e a tutti il vino passe-partout per eccellenza. Ma questo dato di fatto è stato anche il motivo principale di ritardo all’approccio a veri vini, non perché lo Champagne sia un vino fasullo, ma quelli veramente eccellenti, quelli che li berresti volentieri anche se non avessero le bollicine non sono moltissimi. L’effetto petillant fa spesso la differenza, fresco e apparentemente dissetante stimola il buon umore e diffonde una festosa atmosfera nel momento in cui salta il tappo.
Ma da qualche parte bisognava pur cominciare per capire come stavano realmente le cose, e quando qualcuno mi domanda come si costruisce un esperienza in questo settore sono in imbarazzo . Da dove cominciare ? Normalmente le ragazze non amano il vino, però se iniziate con qualche bicchierino di passito, di sauternes, di moscato o di pedro ximenez poi possono gradatamente passare anche ad altro . Per i ragazzi, già rovinati da birre a 4 gradi e liquorini da bar il passaggio alle bollicine è quello più naturale, piacevole e facilmente comprensibile. Lo Champagne quindi, il vino a prova di imbecille.
E così fu la prima volta che mi ritrovai tutto solo in un ristorante parigino due stelle Michelin alle prese con un volume alto quattro dita dove le voci relative a tutte le zone vinicole francesi potevano anche raccogliere un migliaio di referenze e io forse non arrivavo a conoscere più dieci etichette a 23 anni. Perché proprio quel ristorante? Per ignoranza, ma anche per fortuna , perché se ti trovi da solo una sera a Parigi e decidi di concederti la tua prima grande tavola nella capitale apri la bibbia rossa alle 18, prima di entrare nella doccia, aspettandoti che siano tutti li ad aspettare te. Quindi si cominciò come farebbero tutti, telefonando ai tre stelle . I tre stelle parigini nel 1984 erano questi : Jamin Robuchon, L’Archestrate Senderens, Taillevent Vrinat, Vivarois Pacaud e
Poco abituato allo Champagne, perché in Italia era ancora inteso come vino da night club o da casinò, e quindi anche venduto al tavolo dei ristoranti “normali” ai medesimi prezzi previsti per una bevuta compresa di compagnia con gonna corta e tacco alto, e i marchi erano anche sempre i soliti : Veuve, Moet, Mumm, Pommery, Taittinger e poco altro. La sorpresa fu invece forte vedendo un intera pagina dedicata alle bollicine di Marna e dintorni , i cui prezzi per le cuvée meno costose erano anche i prezzi più bassi in assoluto. Inavvicinabili i grandi chateau bordolesi e i grand cru di Borgogna,
Era assolutamente necessario trovare dei buoni maestri di tavola e di cantina per non perdere troppo tempo o troppo denaro. Me lo ribadisce ancora oggi il mio caro avvocato : se non sei ricco, o se non hai amici ricchi, non capirai mai un cz di vino! Ma scoprii a suo tempo che c’era una terza via, lavorare nei ristoranti. La seconda difficoltà oggettiva è la sorprendente rarità di persone che sappiano cambiare marcia sui due piani relativi a vino e cucina. Perché mangiare mangiamo tutti da sempre, e quindi si tratta solo di affinare giorno per giorno il gusto e il palato, con il tempo imparano quasi tutti, eccetto alcuni palati foderati di eternit . Il mondo degli appassionati di vino vive in una dimensione parallela, ce ne accorgiamo tutti i giorni anche noi che bazzichiamo sul web da una decina di anni : i luoghi di scambio di pareri sui due argomenti sono frequentati da persone molto diverse e credo che non più del 5% si muova giornalmente e in parallelo sui due fronti. Dunque per qualcuno il Richebourg con una fetta di salame e per altri una pernice tartufata col Rosso Conero. Raramente il Richebourg incontra la pernice.
Senza web era ancora più complicato e il primo corso sommelier per me fu anche l’ultimo, perché a quel punto tutti i difetti dei vini li avevo ben chiari in mente, era arrivato il momento di bere roba buona dopo quello scioccante periodo. Che dire, i buoni maestri non mancarono, una mezza dozzina di fenomeni che la sapevano lunga sui terreni di Francia e misero felicemente fine alla dipendenza dallo Champagne, il vino ignorante . Il colpo finale è tutto nell’affermazione che ogni tanto vado ripetendo in preda a sprazzi di arteriosclerosi, il solito, quello riferito alla confidenza che Madame Leroy mi fece de la bouche a l’oreille seduti ad un tavolo dell’Ambasciata di Quistello : Mais pourquoi mettre des bulles dans le bon vin?