venerdì 22 luglio 2011

Le Tour de France | Accarezzare la Francia contropelo.

- gdf 2011 -

Non è colpa mia, è proprio fatta così la Francia, un esagono con un grande centro posto geograficamente troppo a nord e due altri grandi centri di non secondaria importanza appesi verticalmente. Tutte le grandi arterie statali , ed in seguito anche quelle autostradali sono sempre state pensate in primo luogo per partire e ritornare a Parigi. L’asse principale si è articolato pressoché linearmente in direzione Lyon Marseille. Il resto, almeno per quanto concerne la mappa autostradale , è stata pensata innanzitutto sugli assi verticali. Decidere di attraversarla in orizzontale poteva essere interessante per evitare il primo grande traffico del mese di Luglio, mese deputato alla consueta lunga vacanza estiva tra le tavole di Francia, prendendosi però carico di smaltire le scorie accumulate nei mille passaggi di paesi e villaggi, esattamente come i 198 ciclisti impegnati ne La Grande Boucle, attesi alla partenza del prologo in quella prima domenica di luglio, che quell’anno partiva da Pornichet per raggiungere La Baule, località che era anche una delle mie mete di giornata previste per quel Tour, che per me partiva dalle Alpi e per loro dall’ Oceano.

Cominciò bene quella domenica, Guidone Bontempi vinse il brevissimo prologo sul lungo oceano di una delle più belle spiagge d’Europa. Per me fu invece una dura tappa con arrivo a Valence, dopo aver affrontato il Frejus: le loup au caviar dei Pic, divorato in una ambientazione bucolica ben diversa da quella odierna fu la mia prima vittoria di tappa. Il giorno dopo l’Italia perdeva già subito la maglia gialla, il canadese Steve Bauer prese tappa e maglia attraversando un brandello di Loira Atlantica. Al contrario, tappa brevissima per me, praticamente un trasferimento la Valence – Vienne, una manciata di chilometri, sufficienti per andare in adorazione al tempio della cucina che fu di Fernand Point, anticipata dalla piccola stele piramidale che diede il nome all’ Auberge. Malinconia di ambiente, questo già completamente rinnovato, solo qualche traccia in giardino di quegli angoli dove Point amava farsi radere la barba mentre sorseggiava qualche coppa di Champagne. Solidità in cucina, dove Patrick Henriroux si permetteva virtuosismi al piano, fino a replicarne le forme e colori al momento del dessert. Giornata dura la terza, tappa piena di insidie, di saliscendi continui, di imboscate da parte dei flic, e senza neanche un chilometro di autostrada. La Vienne- Laguiole fu estenuante. Da Parigi ci andavano in elicottero da Bras. Quando fui all’arrivo compresi il motivo. Annuivo con il capo, ancora in preda ai sussulti del asfalto grezzo e dalle infinite curve che avevano inflitto un duro colpo anche agli pneumatici. Anche qui nulla era come è oggi, sia la collocazione dell’albergo che la qualità della cucina. E le strade degne di Binda. Il genio era di ritorno dalla sua giornaliera passeggiata sui colli dell’Aubrac con un mazzetto di erbe spontanee mentre noi ci si accreditava al ricevimento. La sera, sotto le volte arcuate di mattoni rossi andò in scena una cena irripetibile realizzata da Michel e la sua grande squadra. Sulle strade della Loira era invece una squadra olandese, la Panasonic, a suonarle a tutti nella crono a squadre che portò in giallo Teun Van Vliet. Se la Valence-Laguiole non poteva non lasciare un segno indelebile nel corpo e nella mente, anche la Laguiole- Magesq non fu da meno in avvicinamento ai Pirenei Atlantici. Sconfitto già all’arrivo dall’atteggiamento del personale del Relais de la Poste, questo ancor oggi bistellato; subii anche una cena molto sotto tono seguita da drammatico rientro in camera dopo il ritorno da una passeggiata interrotta da un temporale atlantico. Tutto chiuso, ci avevano dimenticato fuori. Dovetti improvvisarmi guastatore di porte per rientrare, quella che cedette consentiva un ingresso attraverso la cantina dove custodivano una collezione di Armagnac dell’800, adeguati per riprendersi dal freddo acquazzone. Non faceva sicuramente caldo neppure al nord, tra Nantes e Le Mans ebbe la meglio un altro olandese, Van Poppel . Lo sconfinamento previsto per il giorno seguente era l’unico veramente ambito in quel periodo. Il limite di interesse spagnolo era previsto al traguardo dell’Alto di Miracruz, pendio che anticipa l’entrata a San Sebastian, dove Juan Mari Arzak metteva in tavola la miglior cucina basca di tutti i tempi. Profumi spagnoli, mentre al Tour si parla addirittura portoghese; a Evreux, in Normandia, la spunta Acacio da Silva. La San Sebastian- Bordeaux scorre veloce lungo le Lande , pianura, calore, vento laterale. L’arrivo è in salita ma ne vale la pena raggiungere Le St. James de Bouliac. Oggi c’è Michel Portos a reggere le due stelle, in quel momento era Jean Marie Amat, l’enfant terrible è ancora da quelle parti, cambiano i fattori ma il risultato è sempre ottimo. Sulle strade del Tour invece si torna a parlare olandese, tappa a Nijdam e maglia a Lubberding.

Questi due li conosco, è la terza volta che ce li troviamo a tavola la sera in tre posti diversi, figuriamoci se potevano mancare la tappa ai piedi dei Pirenei che porta ad Eugenie les Bains. Eccoci da Guerard, mais alors, ma ancora voi. Si, zio e nipote lussemburghesi, tutti i giorni in trasferimento da un 2/3 stelle all’altro; auto nel parcheggio, bicicletta scaricata dallo station wagon benz e via per una cinquantina di chilometri prima di cena, molto prima degli Schleck. Ma molto meno magri dei futuri campioni lussemburghesi. Notizie dalla cronometro individuale in Normandia? Si, ha vinto un inglese al Nord pas de Calais, aria di casa per Sean Yates, ma la maglia è ancora da questa parte della manica, manco a dirlo, è ancora un olandese il protagonista, Jelle Nijdam. Tappa lunga il giorno dopo, Eugenie les Bains – Mosnac, ci vuole il fisico fresco e asciutto, la maturità e il senso della misura, bisogna saper gestire le energie per reggere il Tour de France. Mosnac non è lontano da Cognac, quindi meglio andarci piano. L’ottimo Dominique Bouchet conduce benissimo la sua squadra sulle strade che conducono al bistellato Moulin de Marcouze, ma anche lui come tutti non vede l’ora di arrivare, di tornare a Parigi, per passare e ripassare più volte in Place de la Concorde davanti al suo Crillon. Bollicine italiane nel pomeriggio, a Reims vince Valerio Tebaldi.

Si prosegue, giorno per giorno, vince un tedesco a Nancy, Rolf Golz; un Bretone a Cancale, Olivier Roellinger. Ancora un paio di italiani ad alzare le braccia, Ghirotto ed un giovanissimo Gianni Bugno . Ma dopo tanta Olanda e Italia, a Parigi, il 24 Luglio aspettavamo tutti uno spagnolo, Pedrito Delgado. La sera prima da Passard, la sera dopo da Senderens, perché alla fine il sogno di tutti quelli che partecipano al Tour de France è arrivare a Parigi, in qualche modo ma arrivare a Parigi; se poi è anche il tuo compleanno, allora andrà bene anche una modesta Brasserie sugli Champs Elysées per dimenticare l'età. -gdf-

1 commento:

  1. Paris Luglio 1998, al sabato sera un diluvio ci sorprende all'uscita dalla table d'anvers ma il san pietro al pesto dei fratelli conticini non è stato meglio. Il giorno dopo, sugli champ elysees, arriva Marco Pantani. Ancora oggi la mia dolce metà tiene in macchina un cadeau promozionale di quelli che davano in attesa dei ciclisti.

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