lunedì 2 maggio 2011

Una rarità, speriamo irripetibile

Ci sono vini che si possono fare solo in annate eccezionali, come certi vini botrytizzati, non a Sauternes e Barsac, dove l'annata eccezionale è quella in cui non si può fare, perché normalmente le condizioni ci sono; ma per esempio, tenendo buono per comodità il paragone Botrytis, proprio in Borgogna, dove l'evento è raro ma un paio di volte su venti anni può accadere che un paio di produttori del Maconnais riescano nell'intento con esiti notevolissimi tenuto anche conto che si tratta di Chardonnay in quel caso. Diverso è questo caso, opposto per certi versi, perchè il 2004 in rosso, in Cote d'Or è stato mediamente disastroso, ma solo Madame Leroy decise di declassare tutta la produzione del Domaine Leroy e del Domaine D'Auvenay ad appellation village, o addirittura ad appellation regionale. Annata orribile, anche il marito gli morì in quel periodo, ma torniamo a questa bottiglia numerata, comunque numerata anche se declassata, e che probabilmente diventerà una chicca per collezionisti.
Questa rara bottiglia speriamo però rimanga tale, perchè uno Chambolle Musigny D'Auvenay non c'era mai stato prima e non c'è più stato dopo, perché la parcella da cui deriva questo vino è un o,25 ha di Bonnes Mares, mica pizza e fichi, dove se l'annata è appena passabile, si fanno vini indimenticabili.
Questa bottiglia costava all'origine meno di 200 euro, e cioè un terzo delle migliori annate successive. Ne aprii una se non ricordo male nel 2007, o forse nel 2008, ma si trattava della sorella di Gevrey Chambertin, il Mazis Chambertin grand cru. L'esito fu avvilente, un vino che sapeva di radici di genziana e tè verde, vegetale acerbo e scomposto . Pungente di alcool e amaro in bocca, non aveva niente di buono, e quasi nulla di territoriale. Sono sempre stato convinto che un vino cattivo da giovane, un rospo, molto difficilmente si trasformerà in un Principe, e leggendo questa scheda che ci ha inviato Fabrizio Nobili, nonostante un velato buonismo, direi che le cose negli anni non sono migliorate neanche per questa rarità che spero resti unica. -gdf -

Chambolle Musigny 2004 Domaine D'Auvenay btg n. 244/901.
Il tappo profuma di buono: si riconoscono i caratteri tipici della zona: in primo luogo le fragoline di bosco, un buon cioccolato e dela menta delicata, infine il rabarbaro.
Versato nel bicchiere si presenta un rosso rubino carico ed un po' cupo con l'unghia che vira verso l'aranciato.
La sorpresa arriva quando si mette il naso nel bicchiere. Gli aromi del tappo vengono smentiti, una sorpresa inaspettata infatti è sentire un deciso aroma di peperoni verdi e rossi, mi sembrava di essere a Carmagnola! Ma cosa ci fa il peperone al posto delle fragoline e dei lamponi? Dov'è il cioccolato e la mentuccia? Semplice, hanno lasciato spazio al pepe nero, al rabarbaro ed alla genziana. Poco a poco si svela una timida ciliegia sotto spirito che è accompagnata dall'acidità dei ribes.
All' assaggio si rivela la presenza dell' alcol, convinte note linfatico erbacee, il peperone stavolta si presenta piccantino e non ci lasciamo sfuggire anche la presenza di radici di genziana e rabarbaro. Intenso e persistente.
L'annata estremamente umida per la borgogna rossa dove per la vendemmia si vide la presenza di gondolieri e mondine ha lasciato un segno indelebile nei vini datati 2004: il vegetale.
Ciò non toglie che si possano riconoscere le qualità di espressività, complessità e precisione di terroir classificati grand cru anche se come in questo unico caso sono stati declassati a village non solo per la qualità dell'annata.
Oggettivamente un vino con tale varietà di sfaccettature aromatiche, di precisione olfattiva, di persistenza gustativa è praticamente impossibile non valutarlo con punteggi elevati se fosse stata fatta una degustazione alla cieca.
Soggettivamente da amante indefesso dei vini provenienti da questo specifico villaggio borgognone non posso apprezzarlo tanto quanto uno dei commensali presenti al quale, a tempo debito ne stapperò un'altra ben volentieri se in cambio affiancherà nuovamente un Krug 1988.
Fabrizio Nobili

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