alla ricerca delle emozioni lungo le strade asfaltate e non: del vino, del cibo e della musica
mercoledì 17 dicembre 2014
Testalonga 2013
venerdì 2 novembre 2012
Testalonga, un Rossese di Dolceacqua da Anniversario
Quando ho visto la nuova etichetta del Rossese di Dolceacqua e del Bianco Testalonga
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La caccia è già partita: il vino è già disponibile sia in Svezia che negli States, ma per fortuna anche a Dolceacqua. E anche al Faro. |
sabato 2 luglio 2011
Dolceacqua, Testalonga e le vedove inconsolabili..


Il rossese ha trovato a Dolceacqua e dintorni il suo habitat naturale, l'aria che si infila e asciuga i filari in questa suggestiva vallata aiuta a combattere i naturali nemici in agguato, oidio e peronospera, pochi i trattamenti, il meno possibile e tanto lavoro, ecco il segreto! Vini che trasmettono sensazioni e si ripropongono come melodie antiche e ancestrali, con il fluire calmo che propone saggezza. Uve pigiate, botti di legno, l'odore del mosto, il ricordo lontano per queste bottiglie che hanno contato i lustri con la loro patina di polvere ancora addosso.
L''apertura del '78 in un solo ed irripetibile attimo apre uno spiraglio che permette come in un flashback di intravederne l'origine, la genesi di un ricordo sommesso ma intensamente emotivo.
L'uscita dalla cantina di Nino propone ancora suggestioni, le vedove si incontrano in questo stralcio di piazza, chissa' cos'hanno ancora da raccontarsi ma si sa i ricordi non smettono mai di vivere, al contrario dei loro mariti che le hanno lasciate troppo presto..
C'è ancora tempo per una visita alla Mano Rossa, ma questa è un'altra storia che vi ha gia' raccontato con dovizia di particolari l'uomo del faro qui: http://armadillobar.blogspot.com/2011/06/la-mano-rossa.html
E poi via a sorvolare idealmente la vallata, vedere i vigneti fin laggiu' al mare, a presto Sweetwater mi sei gia' entrata nel cuore..
giovedì 3 febbraio 2011
Il vino del giorno : Testalonga 1973 . Della longevità del Rossese.

- gdf 2011 -
E’ molto dibattuto questo argomento sul web ultimamente. Sinceramente la questione mi appassiona poco e non perché non valga la pena di parlarne, ma perché ormai non mi stupisco più del risultato di uno stappo di vecchio Rossese di Antonio Perrino, di Guglielmi o del fu Croesi.
Otto volte su dieci il risultato è più o meno il solito: stappo perfetto con uno schiocco secco e convincente, colore rubino scarico con un unghietta appena mattonata, naso evoluto di more selvatiche e tartufo nero, qualche traccia di humus sul fondo . Dieci minuti sono più che sufficienti perchè la reliquia si riprenda dal lungo sonno e si manifesti in tutta la sua grazia donandoci sensazioni di pienezza di sapore pressoché integro e lasciandoci in bocca una scia di frutti rossi più o meno confit guarniti da golosa gourmandise. Si, sembra si stia bevendo un vecchio Chambolle Musigny, ma è perché quelli sono i miei riferimenti e qui ritrovo sempre parecchi parallelismi con i pinot noir nordici di Borgogna. Ancora una volta siamo andati indietro parecchio, diversamente dalle performance anni 60 di Guglielmi, questa volta ho voluto ritornare sul contraddittorio 2003, che a due anni dall’imbottigliamento si preannunciava grandioso, invece aveva ragione Guglielmi, perché oggi il suo 2003 è arrivato mentre è il 2004 ad avere ancore tante cose da raccontare. Molto gentile il 2003, piacevole, ma la scarsa acidità l’ha piuttosto appiattito su una dolcezza che ne limita un po’ la corsa verso il futuro. Viceversa il gran colpo stavolta è arrivato dalla cantina Testalonga di Antonio Perrino, perché è stato addirittura un 1973, dopo il ‘78 della scorsa visita a far saltare il banco. Bottiglia notevole bevuta in meno di un ora, anche perché in questi casi non bisogna fidarsi troppo a lasciare andare l’aerazione per un periodo prolungato. Il vino potrebbe andarsene nel vento tra un fruscio di seta lasciandoti il bicchiere pieno di liquido ma in realtà svuotatosi di tutto il meglio. E basta con il vorticoso agitare il bicchiere, non serve, è già tutto a disposizione senza far ginnastica ai polsi. L’unica cosa che continua a stupirmi non è la piacevole esuberanza da giovane e la grande e nobile evoluzione progressiva lungo i decenni di permanenza in bottiglia. Quello che mi stupisce è il prezzo ridicolo che continua ad avere sul mercato. Un vino di questo livello, dove ormai sono parecchi i produttori che si sono liberati dello stereotipo del vinello puzzolente degli anni ’90, dovrebbe poter spuntare un prezzo superiore ai 10 euro e non collocarsi in quella fascia 7/9 euro che ne fa uno dei migliori rapporti qualità prezzo sui vini autoctoni italiani ma che non ricompensa adeguatamente i produttori.

