giovedì 31 gennaio 2013

Casa Vicina | Eataly Torino



del Guardiano del Faro



Anche in questo caso, ahimè, mi devo immediatamente rendere conto che conosco questi ristoratori da almeno 25 anni, ma in questo caso forse anche di più, e cioè da quando stavano nella deliziosa villetta ai piedi della collina morenica della Serra, dalle parti di Ivrea, e precisamente a Borgofranco, al confine tra Piemonte e Valle d’Aosta. Ma la loro storia, come evidenziato nel logo del ristorante, risale addirittura a 110 anni fa.

Pensate un po’, da loro in estate si poteva anche andare a trascorrere un pomeriggio su quella fresca terrazza con vista sulla vasta pianura del Canavese per gustare i gelati e i dolci fatti in casa. Questo oltre al regolare servizio di ristorazione nelle borghesi sale dedicate allo scopo.


Ricordo nitidamente i piatti di quel periodo che li portarono all’attenzione della stampa e della critica specializzata, con stelletta appuntata verso l'alba del millennio. Li ritrovo in questa calda e suadente collocazione ricavata all’interno di questo Eataly Torino con ingresso riservato o attraverso il centro commerciale. Si, quella faccia non mi è nuova, è sicuramente Stefano, che quando cominciava a prendere confidenza con il lavoro di sala aveva si e no 20 anni. Oggi, sicuramente l'esperienza non gli manca, a lui e a tutta la famiglia che si  è trasferita a Torino da ormai quasi dieci anni; di cui 3 in transito da altro indirizzo prima di arrivare finalmente qui.

Saggia decisione quella di infilarsi sotto questo grande ombrello, che in momenti pressoché tragici per buona parte della fascia più alta della ristorazione può consentire di prendere fiato, grazie alle sinergie createsi all’interno delle pratiche e funzionali strutture di Eataly, qui come nelle altre.

Coerente anche la linea di cucina mantenuta anche qui,  che è quella che li ha fatti conoscere e che ha consentito loro di essere ancora in trincea mentre molti hanno abbandonato le armi. Qualche tocco di contemporaneità e qualche elegante finitura. Attrezzature più moderne, ovviamente, ma i sapori e i profumi sono quelli, buoni, golosi, riconoscibili.

E infine, prima di andare a tavola, è giusto ricordare la grande tradizione di famiglia nell'arte della pasticceria ( uno dei fratelli ha da vent'anni una ottima pasticceria ad Ivrea), segmento goloso della tavola dove spicca la  '902, in ricordo dell'inizio di questa lunga saga famigliare.

Un ultimo dettaglio? La carta dei vini, che vanta oltre 2000 (duemila) etichette.



Sfogliate di farro, enkir e frumento

 E focaccia, diversi pani e grissini: tutto all'altezza della situazione

Bella e buona la riuscita interpretazione della Bagna cauda al cucchiaio

E il foglietto che spiega e racconta la colorata composizione che omaggia simpaticamente la tradizione, dove tutti gli elementi si percepiscono netti e puliti se presi singolarmente, oppure compongono un curioso sapore armonico se mescolati tra di loro.

A Torino perché non bere un vino cittadino come  la Freisa della Vigna della Regina... ?

E non possono mancare gli antipasti! Dall'alto a sinistra:
Giardiniera di verdure e tonno di coniglio grigio di Carmagnola
L'insalata russa su battuta di tonno sotto'olio, cracker speziato
Girello di Fassone "La Granda" su salsa tonnata e cruditè di carote
Lingua farcita di salsa verde e gelatina naturale di manzo
Le polpettine di Mamma Bruna con profumo di carpione e soncino

Merita un primo piano...

Piacevole pinot nero a seguire...

Un assaggio di lasagna chiusa alla piemontese ( dove il ragout è dentro )

Un bel piatto vegetariano? Ecco lo sformato di cavolfiore sotto fonduta di grana padano 20 mesi e sfoglia croccante del medesimo. Giardiniera di verdure al vapore.

I classici e ricchi agnolotti eporediesi, ai tre arrosti, con sugo d'arrosto e burro d'alpeggio.

Filetto mignon di maialino gratinato alle nocciole, il suo fondo tirato e purè di patate al burro e chips.

E con questi piccoli gelati maison parte una sequenza di dessert degni di un Relais Gourmand

...alla castagna e marron glacès... Montebianco Canavesano

Torrone al cucchiaio, o alla forchetta



Ne volete ancora?


Casa Vicina
GuidoperEataly


Anna, Claudio e Stefano Vicina
Via Nizza 224
Torino

Tel: 011 19506840

gdf Torino

martedì 29 gennaio 2013

Dove comincia la collina?



- gdf 2014 -

Un’intera pagina dedicata a lui su La Stampa di ieri, a lui: L’architetto del chilometro zero e vita lunghissima. Manco a dirlo, piemontese. Gli dissero – più o meno- qui nel novarese ci sono solo dei mattoni, scordati il marmo. Ok rispose – forse- : date un’occhiata a quel Santuario che c’è qui dietro le colline; con i mattoni che si cuociono in queste fornaci se ne possono fare di costruzioni azzardate. E quell’altra cosa che ho iniziato a Torino? Prima o poi qualcuno la finirà, se no come potranno etichettare un derby quando inventeranno il calcio?

C’è tutto, anzi, parecchio, salvo errori e omissioni, ma soprattutto incompiuti, anche perché se decidi di tirare in piedi qualche milione di mattoni, tante certezze che stiano tutti belli e in ordine non ne puoi avere. Neanche se campi 90 anni.

Non mi ero mai posto il problema o dubbi architettonici, anche perché in prima elementare ti potevano al massimo insegnare come tracciare un asta, verticale, orizzontale o obliqua. Mi pareva più interessante capire dove stavo che imparare la bella calligrafia, nella regione delle due cupole, una simbolo del capoluogo di provincia e l’altra simbolo del capoluogo di regione.

Mi dissero che quel signore di cui leggevo la targa commemorativa in marmo tutti i giorni andando a scuola, fosse stato proprio lui; lui l’artefice di quelle due opere somme che erano così alte da poter essere viste nelle belle giornate dalla sommità della collina del paese dove nacque.

Mi incuriosiva la collina, e anche se fossi mai riuscito ad arrivare a 90 anni. Diverse le domande di mezzo, tra l’inizio e la fine della collina. Dove comincia la collina? E cosa ci sarà dietro la collina? Andandoci vicino non te ne accorgi dove comincia la collina, ma qualche cosa ad un certo punto della pianura cambia, perché invece degli orti seminati a ortaggi comincia un altro tipo di cultura: quella dell’uva.

E cosa ci fanno tutti questi filari ordinati nel bel mezzo del mio cammino verso la cima della collina? A settembre? Mah, intanto mi fanno ombra, con tutte queste belle e grandi foglie che mi coprono e mi riparano dal sole di fine estate, e poi mi impediscono di sbagliare direzione, così dritti e regolari, verso la sommità della collina.

Ma che fatica quando hai iniziato a risalire la collina, anche se non hai capito bene dove cominciava. Viene sete, ma di acqua non ce n’è, c’è solo qualche albero da frutto, ma fuori dal vigneto, mentre dentro al vigneto ci sono dei bei grappoli scuri e maturi. Ma accidenti, ma non è buona quest’uva! Quest’uva è aspra e astringente, quest’uva che i contadini del paese amano tanto non è buona, quest’uva che loro chiamano Nebbiolo non è buona da mangiare come quella bianca che trovo in casa insieme alle banane e alle fragole.

Niente frutta buona, anzi, peggio ancora, perché fuori dal vigneto, verso l'alto, c’è solo qualche prato d’ortica ad infierire sulle ginocchia scoperte, tra i pantaloni corti e i gambaletti in filo di Scozia, dentro i sandali blu.

E’ dura arrivare in cima alla collina con delle gambe così corte. Però là dietro, ne sono certo, là dietro ci sarà il mare. Invece no, in cima alla collina c’è solo un’altra collina, e poi un’altra. Una più alta e una più bassa, e poi, in fondo, tante montagne, e basta.

Mi volto allora, almeno le Cupole, le Torri, quelle ci saranno! No, non ci sono neanche quelle a vista. Che delusione la mia collina, tanto vale tornar giù di corsa in negozio a vedere se c'è qualche disco nuovo arrivato dall'America o dall'Inghilterra, e poi ad infangarmi nel campo di calcio       aspettando l’ora di cena, a casa del nonno torinista, osservando le sue strane abitudini mentre malediva l'ennesimo scudetto Juventino, con un buffetto verso il nipotino degenere che aveva scelto la zebra come animale di pelouche per giocare il derby col Toro.

Quel nonno che faceva una cosa che non capivo dopo cena, perché anche dopo che gli avevano tolto la tovaglia da sotto i gomiti pretendeva comunque avere davanti un bottiglione di Nebbiolo aspro e astringente da versare in un bicchiere. Lui beveva quel liquido aspro e tannico, mentre io mangiavo l’uva bianca dolce e croccante. Ci ho messo più di 20 anni per capire il perché, perché aveva ragione lui, non ad innamorarsi del Toro, ma del Nebbiolo del paese di Antonelli.

gdf




lunedì 28 gennaio 2013

Il libro è pronto | L'operazione "baratto" è iniziata


 del Guardiano del Faro


Quando ti interessi di qualche argomento o di qualche situazione particolare ed originale ti sembra sempre che quell'argomento o quella situazione sia diventata immediatamente popolare e non più originale. Non so, se decidi di comprare un'auto celeste, per un mese vedrai per le strade solo auto celesti, piuttosto che indaco. Se cerchi un completo Principe di Galles ti sembrerà che mezza umanità si sia vestita di sei tonalità di Principe di Galles. E così mi è parso di notare negli ultimi due mesi, da quando immaginai di lanciare l'iniziativa del baratto: bottiglie di vino per libri gdf. Ho letto articoli interi sul tema del baratto o permuta, di esercizi commerciali che la cominciano ad utilizzare, ristoratori compresi; associazioni che iniziano a praticarla e di conseguenza i mezzi di comunicazione che ne parlano assiduamente non potendo fare a meno di notare e annotare il cambio di direzione del vento. Quindi tutto bene, mi sembrava un'idea originale ed invece è diventata una condizione quasi popolare. Meglio così, l'operazione baratto può partire, piano piano. Mese intenso questo di febbraio, tante cose in ballo, e c'è pure il Festival dalle parti del Faro, dove hanno messo in piedi anche un concorso di giovani cuochi. Toccherà anche andare ad assaggiare qualche piatto e qualche bicchiere di vino alla fine di quella settimana al Palafuori, si,Palafiori. 


Altrove hanno organizzato una serata di ri-presentazione del primo libro, quello sui vini francesi, e poi ci saranno diversi ristoranti da visitare per conto della Guida del Touring. Anche per questo libro è previsto un evento, di cui parlerò più avanti. Insomma, lo vedo male l'ultimo buco di questa cintura, non credo resisterà, ma ne ho vista una carina in saldo, o chissà, magari barattabile. Al bar ho convertito alcuni volumi sui vini fortificati con una tessera a scalare di Tanqueray & Tonic.


Ho provato a prenderlo in mano e riguardarlo così com'è, nella sua forma definitiva. Basta una serata per leggerlo, con il televisore spento, una poltrona, una lampada da tavolo, un calice non troppo ampio e una bottiglia di Jerez Palo Cortado, di cui me ne è rimasto si e no la metà. Chissà! Spero solo di non essere sceso troppo sul didattico, non mi piace fare il professore; non ne ho né il diritto né l'intenzione, ma in qualche modo ho dovuto cercare di farmi capire e non virare troppo verso visioni etiliche, stavolta.

Ho le mail di chi ha richiesto il libro, ora si tratterà di fare i pacchi e di spedirli in maniera opportuna, ma si tratterà anche di prendere e partire per consegnare altri volumi a mano, perché mi va di farlo, prioritariamente, per conoscere le persone. Tanti chilometri come fecero quegli inglesi che partirono, guardarono, assaggiarono, modificarono ed infine importarono questi vini.

Non pretendendo che chi legge questo blog debba per forza aver seguito tutte le puntate della vicenda rimando questi all'icona in alto a sinistra del blog, quella sopra al nostro amico Armadillo vino vivo. Li sotto c'è il post che presentava il progetto, con le condizioni del patto e la mia mail, se vi serve per ogni tipo di informazione. Risponderò a tutti, uno alla volta, spedirò a tutti e indicherò l'indirizzo dove spedire la contropartita in generi di conforto e consumo. Grazie ancora a tutti quelli che hanno sostenuto e sosterranno l'iniziativa. Più il là vorrei render conto pubblicando l'elenco di quanto mi è arrivato indietro in cambio di questo libro, a verificare se già da ora la teoria del "barbonismo etico" sia attuabile, se la sensibilità popolare sia già pronta al cambio di punto di vista. E chiudo con un'immagine da Burton Cross, nel Devon, dove questa storia cominciò, venticinque anni fa.

- gdf -


sabato 26 gennaio 2013

Un palo in mezzo ti risolve i problemi



 gdf 2014

Hai voglia a fare caffè. Meglio un palo in mezzo. Meglio il palo, anche di quelle orrende macchinette mangiasoldi che intristiscono in un sol colpo quelli che ci giocano, quelli che non ci giocano e quelli che le subiscono mentre bevono frettolosamente un caffè o, peggio, chi si ferma al banco per un delicato B&B.

B&B, o per meglio dire o volendolo codificare: il B&C gdf. Si fa così, semplificando le cose e rendendole ancor più minimali, come piace a me, eliminando quando possibile il superfluo. Si, è chiaro che quella piccola o proporzionale dose di Armagnac gli darebbe più forza e nerbo, ma anche senza la A di Armagnac il B&C gdf prende quel carattere indolente che un po’ mi appartiene.

Quindi si fa così: 40% di Benedectine e 60% di Cognac. Cognac da bar, mica un Marcel Ragnaud o un Ragnaud Sabourin, sarebbero sprecati. Un Cognac da bar col palo, un Remy Martin o un Courvoisier. Tumbler basso e molto ghiaccio, miscelato e non shakerato. Se ci volete aggiungere una finezza basterebbe un orange twist da tarocco maturo, che gli dona una nota ancora più elegante. Più elegante di ogni macchinetta slot e soprattutto degno della ragazza al palo.

La proprietaria, dicono i maligni, ha fatto carriera partendo dalle giovanili. Quella che lo gestisce invece non ti molla un sorriso ambiguo neanche alla terza consumazione da 20 euro. Inattaccabile “maestra” senza apprendistato, bella e pulita, a occhi bassi, maitresse troppo giovane e bella o gatta morta già troppo vecchia? Non saprei, non si viene al bar col palo per fare i moralisti. Perché se vuoi sostenere i quattro o i cinquemila euro di affitto ti devi inventare qualche cosa. Qualche cosa che renda felici tutti quelli che ci entrano, e non solo l’unico che in un giorno ha il culo di far piovere monetine dalle slot.

Tocca al pianista adesso? Bene, un altro B&C madame, eseguito perfettamente senza alzare gli occhi, perchè devi stare con tutti e non dare confidenza o vere speranze a nessuno. Qui tutti pagano per il medesimo ed effimero genere di conforto in cambio di sciocche banconote; qui il baratto con altri generi di conforto non è ammesso, l'affitto si paga in contanti, e se non vuoi rimanere al palo è meglio che te lo metti in mezzo al bar un palo.

- gdf 12 minuti - 

venerdì 25 gennaio 2013

La comida argentina

del Guardiano del Faro


Dormivo acciambellato come un gatto randagio sopra ad una panca, in una desolata e desolante sala di lunga attesa dell'aeroporto di Mar del Plata, quello ormai  malinconicamente dedicato ad Astor Piazzolla. Sei ore d'attesa per il volo, per Ezeiza: Capital Federal, Buenos Aires.

Il senso del tempo estinto, il luminoso ritmo schematico del ragioniere che deve far quadrare tutto in partita doppia ormai spentosi tra le ripetitive note di tango alla radio. Appuntamenti mai confermati, sempre rimandati, anche di quattro ore, anche di un giorno intero, da parte di mercanti di carni dai cognomi un po' tedeschi e un po' ebrei, aleman e judios, tutti insieme nella stessa nazione per motivi simili e opposti. Un occhio guardingo e semiaperto sul bagaglio con il cartellino adesivo chiuso a specchio sul manico della valigia: EZE,  mais pas de Cote d'Azur, non ancora così. Un miroir mi ricorda che faccia ho e del perché sono arrivato fin qui. Al cambio di vita cercata, voluta e poi ottenuta.

Ma la voglia di strappare il biglietto per Ezeiza e saltare su un bus che attraversasse una qualche Pampa e tante periferie è forte, per arrivare finalmente a La Capital Federal. 400 chilometri per rivedere l'Avenida General Paz: il bus parte tra due ore; il tempo previsto per il viaggio è di sei ore, ma diventeranno sicuramente otto, ormai so fare i conti.

Agli incroci a raso - li ho visti negli scorsi giorni - la Policia lascia volutamente le carcasse delle auto schiantatesi nei giorni e nei mesi passati, senza neanche togliere le macchie di sangue dal parabrezza. E' dissuasivo lasciarle li così, dicono.
Cacciatori di lepri in notturna partono di giorno a luci spente su pick up nord americani. Le accenderanno stanotte le luci, abbaglianti e definitive, prima di cominciare a sparare ad alzo zero sulle prede immobilizzate dai fari, sparate o investite. Succederà la stessa cosa 15 anni dopo ai danni di investitori abbagliati e poi investiti.

Star qui a rileggere La Prensa. L'Albiceleste si stava imbarcando per Città del Messico, dove la settimana successiva iniziava un Mundial. La Mano de Dios era con loro a guidarli verso la gloria, di mano e di piede, dribblando sei inglesi. Anche noi finalmente all'imbarco, Aerolineas Argentinas al decollo, dribblandone anche più di sei per evitare di stare a terra. Sei ore d'attesa per meno di una di volo. Di nuovo a terra, il solito taxi e quell'odore strano nell'aria, di una benzina ossessiva che sapeva di strano, che mi faceva venire sempre il mal di testa. 

Inutile farsi la doccia per togliersi di dosso l'odore del pranzo, di pollo alla griglia con chimichurri; inutile lavarsi la testa e i capelli, perché dopo dieci minuti l'umidità li rifaceva piangere di sudore.

Nell'umile casetta periferica delle zie, a due passi dallo stadio periferico del Velez Sarsfield, ma con il profumo rassicurante di pizza che sapeva di origano, di aglio e di lievito sincero. Pensavo di essere allergico all'aglio, invece solo ai lunghi viaggi. Più lunghi di un mese, sballottato da un estremo all'altro dell'America Latina. Ma la pizza non basta, anche se ne hanno fatte sei diverse, perché se non hai mangiato carne, in Argentina,  non hai mangiato. Lo dicono loro che hanno la carne nel sangue e non l'inverso, come dovrebbe essere.

E allora si parte per La Cabaña, dove todos los cortes sono a disposizione dell'asador: Bife, Lomo, Quadril... tutti insieme o uno per volta, come i cassetti della memoria che improvvisamente si aprono e sono grandi come armadi. Non c'è polvere dentro, tutto è nitido come fosse ieri, e non la tarda primavera del 1986. Bastava così poco, una buonissima entrecote argentina in solitario, senza telefoni che suonano; Piazzolla nelle orecchie e sul palato le loro salse, le erbette di campo al burro, aglio e peperoncino, le loro polpette piccanti e due bicchieri di chardonnay, o di cabernet, poco conta, perché come al solito sanno e sapevano troppo di legno e di vecchio, come i cassetti dell'armadio dei ricordi. Una lacrima sul marciapiede.






gdf 


giovedì 24 gennaio 2013

App-erò!


 gdf 1977 h q

Entrano decisi ed eleganti. Sui 40, lei un po’ meno. Hanno simboli tribali alle dita, tondi e dorati, ma gli sguardi che si scambiano vanno oltre la famigliarità, sanno di marachella. Due giorni di monellate, glielo leggo nelle pupille.

Mi si appoggiano a fianco, al bancone. Si dicono cose che dopo dieci anni di matrimonio non ti verrebbero mai più in mente, neanche da ubriaco. Anche le loro mani faticano a rimanere in tasca, nelle proprie.

Lui estrae l’iphon e cerca due amici delle sue parti e li invita lì per l’aperò. L’accento lo posso indovinare in area 030-035, a orecchio. Fuori c’è il primo Bmw di taglia media a cui si aggiungerà il secondo, degli amici, targati BG ma per unavolta non Bulgari. Ecco, gli uomini in Rolex a peso e le ragazze in Cartier al polso e artiglieria pesante Pomellato al collo.

Posano tutti e quattro gli i-phon sul banco, apparecchiandolo. Arrivano, scopro, da quell’Hotel, proprio quello, quello fin de siecle, dove l’unica mano di vernice recente risale al ’48. Il proprietario viaggia con una Fiat 130 targata BS, Bisanzio.

Mi chiedo, ma non ce l’avete un pezzo di vecchia guida in macchina? Si lamentano a voce alta della rispettiva camera dell’albergo. Ma neanche una App sull’i-phone?
Mi scappa di incisivo di chiederglielo mentre ordinano il primo Aperol. L’uomo dei cocktail mi lancia un’occhiata, mi zittisco e mi metto defilato, mentre la domanda trabocchetto la subisce lui: dove ci consiglia di andare a cena stasera e domani sera?

 A questo punto, da grande mestierante, mi da via libera, in delega, levandosi il problema e nel contempo facendo bella figura. - Carne o pesce? - Stasera pesce e domani carne! - Apperò, idee chiare. E come mai siete andati a finire nell’albergo più obsoleto della città? -  Ci piace improvvisare quando stiamo insieme, nessun programma. -  Però il bar l’avete indovinato… -Beh, c’era gente e siamo entrati. - E con i ristoranti come la mettiamo? Volete segnarvi i nomi sull’i-phon e geolocalizzarli? - Non saprei come farlo o cosa farci… - Siete senza app? Come me.  Quindi che facciamo? Ve lo vergo su una pergamena l’indirizzo e poi chiedete in giro? – No, però se ci accompagna le offriamo il secondo aperò.




mercoledì 23 gennaio 2013

Deux poulardes dans le même poulailler



- gdf 2014-

Del karma del pollo, è noto, non gliene può fregare de meno a nessuno. Ma il Gallo era stanco del suo e decise di cambiare aria lasciando così spazio alle poulardes.

Normalmente sarebbero due galli a litigare se si trovassero nella stesso pollaio a condividere le medesime galline. Ma nella terra dei Galli anche les poulardes potrebbero aver problemi di condivisione di uno spazio angusto, stretto e lungo come una cantina. E non per questione di galli nella terra dei Galli, e neppure per il becchime o altro foraggio, distribuito in abbondanza e con buona continuità grazie alla lungimiranza del Gallo. Il problema non era neppure relativo all’ambiente, pulito ed ospitale: vecchie pietre, vetro, metallo e tanto legno.

Una delle due poulardes era però in dubbio se dare fiducia all’altra o contare sul suo pulcino fin da subito, fin dal momento dell’abbandono del Gallo. Dopo una lite furibonda provocata da futili motivi (la boiserie del pollaio) la Mere Poularde cacciò fuori l’altra poularde a urla e  strilli, preferendo tenersi stretto il suo pulcino. 

Quella là - si disse ormai incaponita - era appena arrivata e voleva già cambiare l’arredamento del pollaio. Non andava forse bene quella boiserie? Ce ne voleva un’altra più spessa e pesante? L’altra poularde se ne andò con un mesto bye bye baby, the coq is dead.

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"Eh, mon Dieu! ma poule, te voilà bien triste, qu’as-tu?"

"Mon cher ami, demande-moi plutôt ce que je n’ai plus. Une maudite servante m’a prise sur ses genoux, m’a plongé une longue aiguille dans le cul, a saisi ma matrice, l’a roulée autour de l’aiguille, l’a arrachée et l’a donnée à manger à son chat. Me voilà incapable de recevoir les faveurs du chantre du jour, et de pondre."

"Hélas! ma bonne, j’ai perdu plus que vous; ils m’ont fait une opération doublement cruelle: ni vous ni moi n’aurons plus de consolation dans ce monde; ils vous ont fait poularde, et moi chapon. La seule idée qui adoucit mon état déplorable, c’est que j’entendis ces jours passés, près de mon poulailler, raisonner deux abbés italiens à qui on avait fait le même outrage afin qu’ils pussent chanter devant le pape avec une voix plus claire. Ils disaient que les hommes avaient commencé par circoncire leurs semblables, et qu’ils finissaient par les châtrer: ils maudissaient la destinée et le genre humain."

"Quoi! c’est donc pour que nous ayons une voix plus claire qu’on nous a privés de la plus belle partie de nous-mêmes?"

"Hélas! ma pauvre poularde, C’est pour nous engraisser, et pour nous rendre la chair plus délicate."

"Eh bien! quand nous serons plus gras, le seront-ils davantage?"

.. etc... etc... merci a Voltaire e a Walter Valdi, se no non avrei mai capito.




martedì 22 gennaio 2013

Appeal



 gdf 2014


Facciamo raffreddare il ghiaccio, tanto ormai la temperatura migliore è andata.

Conto sempre fino a tre, ma questa volta la mia pazienza è andata oltre, fino alla quarta provocazione.

In verità una novità non lo è in assoluto: era già successo ed è successo di nuovo.

Le parlo dei petali delle rose del mio giardino, lei delle spine del suo rovo

Io dei progetti attorno alle mia piante di carciofi, lei dell’amaro in bocca che gli ha lasciato l’ultimo assaggiato.

Le ho detto del mio piacere mattutino, quello che provo affrontando una dolce e profumata spremuta di agrumi; lei dell’ultimo frutto acerbo che ha colto, troppo giovane,   astringente.

Del mio ordine delle cose, prima le più piccole e che mi stanno più vicino; lei di quelli più grandi ma distanti, all’arrivo dai suoi viaggi in solitario verso la Giamaica.

Le ho detto del mio affidabile amico, l’hobby alcolico che mi accompagna da una vita, lei  delle sue ex amiche, tradite o traditrici

Poi del mio lavoro inesistente da tempo, lei dei suoi tanti e presenti, tanti quanto insoddisfacenti.

L'ho confortata dicendogli che così è ancora di moda, di ritorno, ma non è convinta, vorrebbe una dimostrazione, forse.


Rasputin veniva dal o col Quatar? Niente, gelida, non la capisce.

Stavo esaurendo la pazienza, raramente ho dovuto impormi di trattenermi dal mettere le mani addosso ad una persona. A stento sono riuscito a trattenermi  dal mettere le mani su quella quarta sovraesposta.


gdf 12 minuti

domenica 20 gennaio 2013

Le Bistrot de Dominique | Davide Zunino


 del Guardiano del Faro


Comincerei con un'affermazione impegnativa, e cioè dicendo che negli ultimi venti anni solo in un altro locale della città dei fiori ho mangiato a questi livelli di eccellenza. L'altro locale è ovviamente Paolo e Barbara, nel periodo migliore di Paolo Masieri, impegnato nel massimo sforzo per alzare il tono della sua cucina di mare e di terra.

Paolo Masieri, con il quale Davide Zunino ha condiviso la cucina e la sala diversi anni fa, li come nell'altro stellato di riferimento del circondario, e cioè La Conchiglia di Arma di Taggia della famiglia Ruffoni. Oltre a ciò anche un significativo passaggio in Catalunya, nel senso che di quella esperienza che ne stava contaminando le scelte di stile e di gusto, fortunatamente è rimasto solo qualche elegante fronzolo mentre le futili e inutili complicazioni sui temi -comunque stucchevoli- del sucré salé molecolare di quelle parti le sta lasciando progressivamente allontanare dal suo criterio di cucina. Nel curriculum di Davide anche l'ex "medagliato" di Taggia: L'Olio Colto, dove nonostante quelle contaminazioni di tecniche, additivi e suadenti dolcezze, non aveva compromesso il suo cauto procedere verso la centralità del gusto, identificandosi gradatamente con il territorio dell'olio. Il cuoco dell'olio, prima di tutto, e poi anche il resto, partendo dal fondo, perché Zunino è un ottimo pasticcere, e da quel talento che esige precisione ha poi esplorato gli altri passaggi fondamentali per la costruzione di un'intera carta o di un intero menù. 


Terrazza e situazione visuale molto simile al Louis xv...
Adesso è qui, giusto di fronte al Casinò di Sanremo. Queste sono immagini scattate dalla terrazza del ristorante, che ne possiede un'altra ancora più vasta, che da anche sul mare e sulla Chiesa Russa. Collocazione bellissima e impegnativa, perché gli spazi sono enormi, e sarà quindi necessario destinarli (secondo me) a diversi scopi e non solo ad elegante bistrot gastronomico. Il locale è nuovissimo, appena aperto senza clamori dal proprietario, imprenditore italo francese di ritorno da Nizza.

I toni chiari di crema ed avorio addolciscono le luci lungo l'infinito bancone bar che invita ad accomodarsi già dall'ora dell'aperitivo. Poi c'è la possibilità di usufruire della conveniente formula bistrot "carte-menù", come si usa in Francia, dove si possono scegliere un paio di piatti da un'assortimento di dodici, pagando 15 euro, acqua e caffè compreso. Ditemi dove andate con 15 euro in tasca? E ancora  la carta del ristorante gastronomico, dove naturalmente i prezzi rappresentano la logica conseguenza al costo delle materie prima di pregio: pesci e crostacei prima di tutto. Infine, è possibile dare carta bianca a Davide, come ho fatto io, perché se ti chiami Davide e fai il cuoco ( come Scabin o Oldani...), io istintivamente ti do carta bianca, e non mi sono sbagliato a farlo, anche se di base non amo i crudi di pesce, ma se eseguiti in questo modo potrei anche riconvertirmi, perché in questo caso non si tratta di esserini morti e distesi pietosamente su un gelido piatto "coroner style", ma c'è una logica che li rende partecipi di un percorso che ha un senso gastronomico, quasi come un piatto cucinato.


La cantina è ancora in corso d'opera, per ora ci sono poche cose ma scelte discretamente bene. Lo so! Sono il primo a dirlo, anche contro il mio interesse, che non è più epoca di investimenti folli in questa direzione. Sul tema, per esperienza personale, i clienti veramente interessati e competenti che frequentano i migliori ristoranti italiani saranno si e no il 5%. Per il resto, non dico che se gli dai in mano l'elenco del telefono è la stessa cosa, ma il paragone è, ahimè, spesso applicabile. Quindi non credo sia più necessario fare grossi investimenti in quella direzione per lavorare in agilità di bilancio, perché al cliente non interessa sapere che hai le piramidi di bottiglie in cantina, basta che trovi quello che gli può andare bene per passare  qualche ora rilassante al tavolo. Comunque sia, Le Bistrot de Dominique è facilmente raggiungibile dai lampi del faro, volendoli cogliere, anche a chilometro zero. Da qui in poi procedo in didascalico, tanto si è capito che questo piccolo menù "free acid jazz" mi ha particolarmente divertito e soprattutto convinto per i suoi profumi, gusti e leggerezza, così come per la capacità dello chef di francobollare un intero piatto dandogli un senso compiuto anche in soli tre centimetri quadri se ritiene opportuno farlo.

...olio d'autore, ma nei piani c'è l'intenzione di disporre di alcune tra le migliori etichette della zona.

Quando non so cosa bere mi rivolgo spesso verso un bianco dell'Alto Adige, e anche stavolta è andata bene, è stato un buon consiglio.

La sala è molto profonda, e i coperti disponibili sono davvero molti.

i grissini alle olive sono appena stati sfornati, adesso andiamo con " i crudi"

Ostriche con granita di Martini, profumo di pompelmo e aria di Campari

Insalata di carciofi crudi e tartare di nasello

 Pesce castagna (taglio sashimi)  con crema di riso e gelato Wasabi

Gambero di Sanremo, midollo al vapore, "zeste" di mandarino e fiori di rosmarino

Finissimo carpaccio di polpo, insalatine e sale nero

Scampo, avocado, cocco fresco e bucce di lime confit

Brodo ristretto di crostacei al limone e zenzero, scampi con cruditè di rapanello, topinambour, insalatine e germogli

Sogliola cotta "alla lisca", crema di cavolfiore caramellata, lardo croccante, tuorlo a 63°, tartufo nero pregiato e mandorle tostate. Aria di terra.

Spuma di yogurt, limone e citronella

Tortino al cioccolato
Scorzette d'arancio candite con gelato al pistacchio
"Inglese" cremoso di cioccolato Valrhona 70% e té verde...
Banana Canaria con mou al lime e vaniglia Bourbon
Fragola al frutto della passione, sorbetto al limone.
Decorazione di zucchero tirato


Le Bistrot de Dominique
Davide Zunino
Corso Inglesi 9/11
18038 Sanremo

Chiuso Lunedì

Tel: 0184 544949







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