giovedì 13 settembre 2012

La pietra filosofale di Valle Reale


- del Guardiano del Faro -


E alla fine del giro, dopo aver bevuto cinque annate consecutive di Trebbiano Vigna di Capestrano ho dovuto concludere che le stesse erano tutte talmente diverse da poterle riconoscere alla cieca. Provate a farlo con un Cervaro. Ma sono i rossi di Valle Reale quelli maggiormente considerati da degustatori, critici e giornalisti, e le guide confermano. 


E questo fatto secondo me non sta bene a Leonardo e a Enrico, perché si che fa piacere aver già un ottimo riscontro sui rossi; si che va bene aver centrato un rosato che va giù meglio dell’acqua, che costa pochino e che rappresenta la stampella su cui si poggia il Domaine; ma rimane nell’anima bianchista di questi giovani uomini il sogno di realizzare un grande bianco, ancor più ricco di stoffa e soprattutto di personalità. 


Per le vigne e per le cantine si aggira dunque da qualche tempo il giovane globe trotter che del mondo ha visto già abbastanza da aver capito come prendere la vita, e come prendere le viti. Sulle viti, il giovane stregone investiga alla ricerca della sua  pietra filosofale, che in questo caso si chiamano lieviti indigeni. E allora, sullo sfondo delle vigne, oltre ai monti abruzzesi si comincia ad individuare anche il profilo del campanile di Meursault. 


Si, arrivo qui e mi trovo subito a mio agio, perché un pezzo di Meursault è arrivato fin quaggiù. La scuola è quella di Pierre Morey, che si vuol dire Pierre Morey, ma vuol anche dire Domaine Leflaive. Sul tavolo si stappano a scopi didattici diversi vini di Borgogna: Morey, Leflaive, Coche Dury, Mortet, Ramonet...  non solo per gioire ma anche per capire, perché il mattino dopo si fa ancora colazione con brioches e Ramonet, onde evitare di non aver ben inteso qualche dettaglio.


Qui si vive di pane e vigna e non si vede l’ora di alzarsi il mattino per vivere tutta la giornata dedicandola alla campagna, quindi bisogna nutrirsi bene per poterlo fare in maniera equilibrata, ci vuole energia fisica e mentale. E capitare a caso al Domaine in settimana di vendemmia vuol dire anche assistere alla tensione e alla trepidazione che questi giovani uomini non nascondono, attendendo che nasca qualcosa in cantina, e che vi nasca spontaneamente. Si chiama fermentazione, ma per loro ha l’importanza della nascita di un figlio.


Un figlio che avrà tutti i caratteri genetici di chi li ha generati, perché anche all’interno di una sola vigna di viti ci sono molte vite. Si chiamano lieviti indigeni, che da ciascuna parte del territorio provocano un profumo diverso, perché intorno a loro ci sono piante e coltivazioni diverse che ne condizionano le caratteristiche. E allora perché non provare a fare anche qualche pied de cuve? Esatto, anche una dozzina se necessario, perché la pietra filosofale di Meursault potrebbe proprio nascondersi in qualche angolo della Vigna di Capestrano, anzi, sicuramente è qui,  se no perché mai questi ragazzi sarebbero qui? 

- gdf -







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