di Angelo Antonio Angiulli
Neanche il sottoscritto è sfuggito alla visione di Masterchef, poi la curiosità appagata dopo qualche puntata, è stata soppiantata dall'indifferenza indotta dal “nuovo” malcostume di alcuni giudici sommamente severi, fino al disprezzo immotivato su alcuni “parvenu” aspiranti executive chef (ah ah ah).
Tuttavia un pomeriggio dopo il gratificante sonnellino post prandiale mi sono sintonizzato su “Masterchef professional Australia”, nel quale il mitico Marco Pierre White è giudice, mentore, padre spirituale/consigliere culinario, stimolatore dei perdenti mai disprezzati, semmai incoraggiati a migliorare.
Non ama la teatralità, che sarebbe stata tutto sommato giustificata dalla sua origine italiana per madre, ma quando agisce in cucina, lui sì come executive chef, mette in mostra una professionalità ed un carisma che i suoi alter ego nostrani si sognano di avere. Ha il massimo rispetto per chi sbaglia, non scaglia piatti nel lavello o padelle dove capita, ma subdolamente o con estrema chiarezza cerca di correggere gli eventuali potenziali errori persino durante le prove di eliminazione.
Tuttavia anche nel contesto di quella contesa culinaria troviamo in tutto il loro massimo splendore gli archetipi che stanno minando i concetti di cucina finora conosciuti, ove superate anche le varie spume la sferificazione e l'uso dell'azoto liquido, lo studio sull'innovazione della tradizione viene soppiantato tout court dalla fantasia sfrenata, che genera piatti in cui l'accozzaglia di elementi, in alcuni casi si arriva a 40/50, dovrebbe generare armonia dei sapori.
Non più quindi la vecchia concezione che esaltava con qualche ingrediente aggiunto il sapore dell'elemento principe, coniugato anche con qualche tocco di fantasia, mai prevaricante sull'impianto di base. Anche l'estremizzazione delle tecniche non viene comunicata ad hoc, ed un esempio ci viene dall'uovo cotto per 63 minuti a bassa temperatura, se non è rapportato alla grammatura dello stesso, di 60 o 70 e più grammi.
Un po' come la cottura ai ferri della bistecca conseguente alle teorie della nouvelle cousine, rigidamente contenuta in tempi esatti, senza tenere conto dello spessore e del tessuto connettivo dell'alimento, magro, grasso, o marezzato, che indurrebbe a fidarsi meno del cronometro.
Il pedissequo cromatismo dei piatti sembra la panacea che dovrebbe esaltare la bontà della preparazione, in quanto sommamente appagante la vista, ossequio al detto che l'occhio vuole la sua parte. Il che non sarebbe disdicevole se il gusto finale fosse altrettanto soddisfacente, come in quei vini dall'intensità olfattiva eccellente, seguita da un'equivalente intensità gustativa.
Ma quella che sembra una persecuzione è l'insistenza sulla nota acida, data dagli agrumi o dagli aceti, ed in contrapposizione la nota zuccherina, sovente ambedue evocate nei piatti salati. Da cuoco naif quale ero e sono, sul pesce crudo da me molto amato e proposto, la nota acida era data da un cubettato di pomodoro crudo fresco, non molto maturo.
Anche i clienti cavia delle prove culinarie allineati alle nuove teorie (forse seguono corsi di aggiornamento), disquisiscono più o meno con competenza dei vari componenti, ma guai a lasciare una lisca di pesce, dicasi una, un delitto associato alla lesa maestà. In conclusione, anche se ci sarebbe molto altro da dire, vita dura per i tradizionalisti se refrattari alle novità partorite da una fantasia malata di concepire un unicum, testimone del proprio genio culinario.
Sigh! Come ho detto in altre occasioni, con l'avvento di nuove mode culinarie, tutti vanno all'università del nuovo corso, peccato il salto delle medie e del liceo, culinario ovviamente. Ma per finire veramente, sempre caro mi è un aforisma di Brillat Savarin: “La perfezione è la sintesi della semplicità”. Qualcuno dovrebbe ricordarsene e fare ammenda.
AAA
Arrivo giusto ora dall'omologo francese, programma sempre diffuso da sky ma che si occupa di sola pasticceria, sport ancora più estremo.
RispondiEliminaPierre Hermé, i pasticceri in concorso, e gli altri giudici prendono atteggiamenti degni della tradizione dolciaria francese, senza drammi, pianti, sguardi trasversali ecc...
Questo riesco a guardarlo. Commenti, riflessioni, valutazioni ed infine; prese di posizioni condivisibili.
Professionalità e serietà, che però potrebbero essere ingredienti indigesti per il pubblico medio italiano, quello che frequenta più i luoghi di moda piuttosto che quelli dove si mangia e si beve la qualità e non la finzione.
Dopo il sessantanovesimo elemento senza capo né coda, si tornerà su posizioni meno estreme, un paio di elementi di genere ben definito, al limite un terzo incomodo che possa aggiungere un po’ di pepe…
RispondiEliminaIl commento disinvolto nulla deve togliere al tuo pezzo di fronte al quale m’inchino, dando prima, comunque, un’occhiata in giro.
AVE
Arrossisco al tuo inchino. A domenica?
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