martedì 26 luglio 2011

First Lesson: The book is on the table

- del Guardiano del Faro -

Otto anni a picchiare la testa sugli angoli dei libri ma l’inglese proprio non mi è mai entrato in testa. Tre anni di francese e neppure uno di spagnolo hanno avuto presto la meglio sulla scolasticità anglofona . Per riuscire a digerire quella lingua così universale ma così approssimativa e ambigua nei termini e nei significati ci volle un motivo alcolico, e non certo quei vini barbari d’oltre manica. Accadde al termine di una serata passata nel Devon in un piccolo albergo country house atmosphere nei pressi di Exeter, dove fui coinvolto in un after dinner tipico di quelle parti, dove la cena inizia presto ma si snoda in maniera assai più semplice che in Francia o nella maggioranza dei paesi d’Europa più civilizzati, o per meglio dire, più edonisti e goderecci sul tema gastronomico. Quanto al bere non scherzano ma non li ho mai visti abbuffarsi di cibo, privi anche dei termini per definire chiaramente se per “roast” o “fried” intendano dire che quel pezzo di carne o di pesce sia stato effettivamente arrostito, fritto, piuttosto che passato in padella, in forno o in qualche altro modo. Normalmente quella gente si accontenta di poco: piattino d’entrata, piatto principale e dessert. E buonanotte. Ma per non andare a letto con l’ennesimo stoppaccioso pudding sullo stomaco ci si poteva intrattenere nel piccolo spazio dedicato al salotto e alla chiacchiera, come amano fare gli agiati inglesi nei week end passati in campagna, dedicando due ore al rito dell’aperitivo e due a quello del digestivo. Ore passate discutendo sull’alito di vento che aveva impedito a quella maledetta pallina di entrare in buca, quella maledetta che si era bloccata sull’ultimo filo d’erba invece di cadere dal green nella buca 18 facendogli perdere la scommessa e il conseguente giro di Islay al club . Più in la con la serata si potevano ascoltare anche drammi più intensi , e così , mentre le signore sorbivano qualcosa di caldo io mi sorbivo a palpebra socchiusa il mister che teneva in mano il tumbler e il pallino della chiacchierata da un ora per raccontare di quella volta che ormai aveva il torneo nelle sue mani ma alla 18, mentre stava chiudendo l’ultimo giro, partì inopportunamente il getto dell’irrigazione automatica e la partita fu dapprima sospesa e in seguito sommariamente annullata per scongiurare l’affogamento dei giocatori non ancora messisi in salvo. Secondo me si mise semplicemente a piovere, ma capii anche che sarebbe stato ingenuo tentare di intrattenere qualcuno oltremanica parlandogli di temporali improvvisi. Mi prese una crisi di sbadigli incontrollabili degni di Mister Bean. Uno scozzese vincerà mai Wimbledon? Occhio che potrebbe succedere.

Dormire a letto o sulla poltrona a quel punto sarebbe stato più o meno uguale, salvo attaccarsi a qualche bicchiere di roba buona ma non troppo alcolica per tirare avanti la serata. Whisky no, perché non puoi stare due o tre ore a versarti del whisky; non cado nel vostro tranello ; stavo li in quell’alberghetto per una latente influenza, questo si, quel malessere avrebbe potuto essere un motivo in più per abusare di alcool e delirare liberamente in inglese, lontano da ogni occhio critico, ma proprio non ce la facevo a bere whisky a nastro come facevano quei seguaci di Churchill, immersi nel personaggio fino alla controfirma del sigaro. Ma un Porto si, un Madeira si, uno Sherry si, un Marsala si. E in quella settimana di permanenza in quel piccolo thatched cottage house mi immedesimai talmente nella country house atmosphere e in quella fantastica selezione di vini fortificati da riuscire a reggere finalmente una intera serata di discussioni con una dozzina di conservatori inglesi . Certo, il mio non era un bell’accento inglese, era un modo di parlare derivato dall’effetto dei vini dall’accento inglese. Quei maledetti pronipoti di colonialisti imperialisti si sbellicavano dalle risate ascoltando il mio maccheronico londinese.

Il giorno dopo, il proprietario della piccola locanda , subito dopo colazione iniziò a collezionare la sua compilation giornaliera di birre alla spina alternate da tramezzini farciti con fantastico burro artigianale e salmone scozzese buono da svenire. Mi applicai istintivamente a quella disciplina e devo dire che grazie a quella cura intensiva di burro, birra e salmone il mio raffreddore sembrava già migliorare.

Fuori era tutta campagna, c’erano solo quelle carinissime pecorelle bianche con la testolina nera e tanto vento, in televisione invece neanche Shaun the Ship, neppure Wallace & Gromit alla ricerca del loro pianeta di cheddar. E allora decisi di rimanere con lui, fargli compagnia tutto il giorno per consentirgli di raccontarmi della sua collezione di vini mediterranei o oceanici, ma comunque dall’accento inglese, brav’uomo, non lo dimenticherò mai, la gotta lo stava già mordendo ovunque, da anni ormai so che ci ha lasciato a causa del suo cosciente abuso, del mio consapevole abuso.

Il tè delle cinque incontrava poco successo a dire il vero, salvo che da parte di qualche vecchia regina madre che si ostinava ad occupare il polveroso spazio salotto in quell’orario perché così aveva fatto per tutta la vita e quindi guai a cambiare abitudine. Briciole di biscotti al burro e profumo di tè earl grey potevano ormai lasciare spazio al rito dell’aperitivo. La moglie dell’oste veniva in nostro soccorso verso l’ora di cena, anzi, già prima ; aveva infatti la buona e gentile consuetudine di passare dal salotto verso le 18, ora nella quale si era ormai presa l’abitudine di lasciare al loro destino le palle nostre e quelle dello snooker e farsi vedere in tre o quattro tra gli ospiti del cottage e piazzarsi davanti al camino per un primo giro di Jerez Fino & butter cookies e decidere cosa mangiare e cosa bere in seguito. Indimenticabile la stilton mousse con cetrioli marinati all’aneto in aceto di sidro. La signora chiedeva anche quali vini avremmo voluto avere in tavola per la cena. Ma lo faceva solo per darsi un tono, non è che ne avesse un pozzo da cui attingere. Ormai rotto allo slang locale e rilassato dal cimitero di birre già seppellite durante il pomeriggio nello stomaco ordinai due mezze bottiglie: two half bottle for this night on my table please! Esclamai dissennatamente . La signora sorrise e non mi fece neanche finire il concetto, io volevo specificare quali fossero queste due mezze bottiglie ma lei anticipò la mossa e si presentò ridendo con in mano un cartone di vino da 12 . Twelve bottles ! Lei questa sera vuole bere dodici bottiglie? A me non faceva ridere, rideva da sola ma poi contagiò anche il resto della compagnia. Niente da fare, il mio accento inglese e il loro humor fecero sempre fatica ad incontrarsi.

- gdf -









5 commenti:

  1. sorprendente, da Le Gardien a The Guardian

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  2. ecco ci mancava pure: "vacanze all'isola dei gabbiani" :)
    Naturalmente versione Gdf.

    F.

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  3. e perchè no una rivisitazione di pippi calzelunghe :-)
    ..quindi the book is on the table, bene, però è difficile immaginare come sarà il resto..

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  4. Una versione hard di pippicalzelunghe in effetti non sarebbe una cattiva idea :-)

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    1. E infatti dopo più di due anni è successo...
      M 50&50

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