giovedì 15 febbraio 2018

“The Cook al Cavo”: va in scena il potenziale espresso di Ivano Ricchebono e Compagnia




-un pesce fuor d'acqua -

10-02-2017- in un pranzo l’antefatto.

Vico Falamonica, tra i vicoli a perdersi a budello a risalir dal porto o a scendere di qualche stradina da Piazza De Ferraris, in un punto strategico (quando lo trovi), appena uno sguardo sopra un gioiello di artigianalità genovese, l’antica confetteria Romanengo.

Ecco lì svoltando a destra subito a vista in alto appare una vetrata,  un maxischermo che attira quotidianamente lo sguardo fuggevole solito dei passanti. Lì, in vetrina, si è trasferito il nuovo (è il caso di dirlo) “The Cook” il ristorante di Ivano Ricchebono, l’unico stellato dei dintorni genovesi, uno dei magnifici 10 della Liguria tutta.

Di Ivano Ricchebono e dei suoi trascorsi tra Nervi e Arenzano, con passaggi alla Prova del Cuoco, si può sapere interrogando Google. Per un racconto un velo commovente della sua cucina di tempo fa e di una bambina elegante ed educata seduta al tavolo, cliccare qui:
http://armadillobar.blogspot.it/2012/04/cook.html.

Del nuovo canovaccio, nuova novità, andiamo a svelare qualche dettaglio qui di seguito, non so e non (mi) interessa se in anteprima, di sicuro tra i primi.


Palazzo Branca Doria è lo spazio scenico storico, già sede del ristorante “Il Cavo” (http://www.cavoristorante.it), dove la nuova compagnia gastronomica ha deciso di esibirsi in pianta stabile, in seguito a un lungo corteggiamento tra le parti. Ufficialmente dal 1 febbraio, ma la trama era già stata scritta allo scadere del 2017.

Il palcoscenico è la scenografica sala Strozzi, con soffito a capolavoro di affreschi seicenteschi di Bernardo Strozzi e arredamento minimalizzato, con ‘lampioni’ a luce soffusa che attira l’attenzione sui tavoli candidi di tovaglie e calle (e la toglie al pavimento che non la vuole).

Nel retroscena a vista, la cucina attrezzata a modo, con strumentazioni Electrolux e di necessità di pasticceria, gli attori che si celano dietro al sipario aperto di un varco di collegamento interpretano il copione saporito da loro scritto. Marco Primiceri (già sous chef di Ricchebono) e Lucia De Prai (pâtissier) sono i principali, entrambi con passato di tutto rispetto alla corte dell’Antica Corona Reale di Cervere e di Quique Dacosta.


Loro il compito di preparare e impiattare l’opera di comune creazione, coadiuvati dalla commis Alessia Cabona. La sala è lo spazio di Mirko Menti, la cui audizione è stata un gran colpo di fortuna, inguaribile perfezionista al servizio di clienti e vino e di Daniele Parodi, chef de rang. Sul palco, al fianco di ogni singola portata, entra in scena Ivano Ricchebono, mattatore per indole, di gran carisma e presenza scenica.

Guai a vedere questa presenza a tratti costante come mania di protagonismo, è una bellissima attitudine. E guai a pensare che Ivano in quest’opera sia solo un teatrante: è il regista, segue passo passo al pass (e in preparazione) i suoi scenografi, ma l’esperienza teatrale della sua tavola è futile senza la recitazione dei piatti. E chi meglio di lui nel gesto e nell’esposizione potrebbe mai portare alle luci della ribalta il prodotto artistico della sua compagnia, di cameo in cameo?


Il genere che va in scena è una commedia borghese nostalgica, abbastanza genovese, ambientata al gusto odierno e adattata alla ricerca contemporanea e ossessiva della pulizia e della concentrazione dei sapori-ricordo a favore di una specifica sensazione empatica.

Studio dei cimeli sensoriali di ciascun personaggio e personalizzazione della cucina regionale sono le basi della creatività prudente, con ricerca maniacale della materia prima e massima curanza nella sua trattazione con l’obiettivo di salvaguardare i caratteri della cucina regionale.

Il risultato è un’esperienza prevalentemente di mare che assume nuove connotazioni gustative, di scoglio e di entroterra, paragonata al repertorio delle edizioni passate “The Cook”. Comprende effetti speciali e bozzetti in via di definizione già degni di assaggio e menzione (qui si punta alto alto).


Del The Cook al Cavo, al bancone dell’Armadillo racconto di un pranzo, un antefatto di cui è il caso dire “buona la prima”. L’opera completa, nel centro di Genova La Superba, ricca di mare, di monti e di secoli di storia a cui guardare vale l’uscita a cena, con la voglia di andare a teatro.

Premessa: Ivano e Compagnia hanno deciso di mettersi in gioco a carte scoperte in cucina ribaltando la tavola che ti immaginavi. No ai compromessi nel gusto, che è diretto e ottenuto con le tecniche impeccabili che pare a loro e no al menu alla carta. Al cliente la scelta di tre esperienze in grado di accontentare sia chi vuole un pasto frugale e leggero e chi è in cerca di un pranzo regale speciale.  I tre menu completi sono: Memorie (8 assaggi a 50 euro), Degustazione al Buio, la tradizione in chiave moderna secondo creatività della cucina (8 portate a 70 euro) e Movimento (12 piatti a 90 euro).





Atto primo:

Compare gonfio e solitario, un Frisceu di baccalà che riempie, con la sua sola imponenza e dorata corazza, un piatto esageratamente grande per lui. Ivano avvisa gli avventori che quella frittellina ligure per antonomasia non va mangiata alla ligure a morsi e lunghe masticate (necessarie nella ciungosa- gommosa maggioranza). Si mette in bocca tutto d’un colpo; all’interno una brandade liquida di baccalà, calda, esplode e avvolge la bocca. Un impatto godevole come un purè cremoso, con la punta giusta di sapido che te ne fa desiderare un altro e il profumo di fritto che la pastella sciogliendosi porta con sé. Svanisce lasciando il ricordo marcato invisibile, nulla è da masticare.




“Bocce, friscêu e vermentin, e da vitt-a battitene u belin”, recita un detto zeneise… della balletta di tutto gusto però lo Champagnino in photogallery è stato un altrettanto ottimo compare.

Ti ricordi la bruschetta acciughe e origano? Io francamente no, ma Ivano e Compagnia l’hanno impressa a fuoco nel cuore e non se la scordano più. Ora che a prepararla non sono più i nonni, la immaginano così. Mousse (molto mousse e molta) di acciuga, dissalata e salatissima perché è quell’acciuga del ricordo che sa di sale e acciuga, sotto scudo di airbag di pane sottilissimo come carta musica ma meno croccante, a lievito madre. Ripensando alla romantica introduzione di Ivano, godendosi tutto il momento e le immagini con lui, sorge solo una domanda… ma l’origano??? (non pervenuto, credo sia svanito nel ricordo)



Nel suo famoso crudo di pesce Ivano azzardava abbinamenti, ora quella stessa cura della materia è Mare su scoglietti di mare con  acqua blu di cavolo rosso e zenzero. Un piccolo acquario aperto al tavolo, preparato secondo mercato. Con calamaretti, barracuda, muscoli, gamberi, scampi e persino rossetti con un filo d’olio ligure al nostro passaggio, senza altro.

Chi vuole il crudo è così, neutro e intonso che lo vuole. Qualche inserto innovativo però, assicura Ivano, non manca in caso di ricerca di avvolgimenti, pulizie e vivacità in salse.



“Acciuga su tela” 2018. Uno sciame di acciughe a marinatura classica al limone e vino bianco, pulite a perdivista e pazienza, adeguatamente pressato e disposto a quadrato al millimetro. Da lato a lato l’area è un quadro cromatissimo di chiazze a diversa tintura e testura, dalla mediterranea crema di peperoni rossi e pomodori arrostiti, all’estivaagrumata, balsamica e aizzapapille, salsa al lemongrass (in arte citronella) che si alternata ancora alla più natalizia crema di anice stellato e nero di seppia (come pece). A tratti crocca un crumble di pinoli, che dice:semmu a zenae soffia e si posa l’aria di prezzemolo (il sempreverde verde è tornato sempre in mezzo!!!). In giro e non a filo, pour parfume, il delicato olio extra vergine di oliva (taggiasca) é polverizzato.



A dimostrazione che la piéce è tutta sotto la loro gestione e tu, ospite al tavolo, sei uno spettatore in toto e quindi mettiti comodo e prendi quel che viene, il pane lo portano solo e quanto dicono loro. Allora ora entra in scena, nel piccolo intervallo che precede i sapori più forti, una pagnotta fumante, spavalda, tagliata in quattro spicchi, morbidi di lievito madre, No focacce, grissini e affini. Una, decisa, precisa, al meglio.



Cambio scena, atto secondo.

Su piatto piano caldo a dispersione voluta di calore si poggia il nido di Taglierini, cozze e ricci di mare mantecati a freddo con ristretto di crostacei, zenzero, lemongrass, lime e un poco di tuorlo d’uovo. È tiepida come deve la Carbonara sul mare, intensa come la risacca che avvolge lo scoglio e che non puoi arginare. Il flusso e riflusso del fondale del mare batte sul palato. Coraggiosa, netta, senza se e senza ma: è una carbonara delicata, che si lascia infagottare dal sapore deciso degli scogli.


Entroterra primo atto – Dimmi tu, sei scoglio o continente? È un dialogo ambiguo quello tra il
raviolo di gallina nel suo brodo e il ristretto di coriandolo e riccio di mare. Diventa poi un monologo in cui a parlare è il riccio di mare,un po’ per la sfoglia trasparente un po’ per il ripieno tondo senza spigoli. La gallina è tra gli scogli, ma no panic, si trova a suo agio.


Terzo atto. Vi avevo avvisati, il porto è a qualche vicolo e profetizza un mare prevalente in tavola, ma l’entroterra è a qualche curva a salire e la sua materia prima non è indifferente.
Tocca alla madame Faraona, che non scende al mare e si gode la sua campagna fare la sua parte. Inumidita dal suo stesso jus denso, con crema di funghi porcini, foie gràs, pecorino ebaccello di fava crudo. Esattamente come state pensando non manca niente. La gallina di tutto rispetto è tenera con il tradizionale sapore che tanto la fa apprezzare, quell’ibrido tra selvaggina e pollo, e alla sua corte ci sono proprio tutti: gli amari vegetali, i morbidi e borghesi grassi, i guizzi di sale, il profumino appagante di vacca e il verde acido. Standing ovation.




Se si pensa che con la faraona i piaceri dell’amplesso sono già stati raggiunti, è Entroterra secondo atto il dish of the day of the cooks Marco e Ivano. È il pollaio nel suo insieme e contorno: la cresta soffiata copre il ripieno di gallina e il suo collo, a lato il lampone è cedevole e fermentato e in finale al tavolo, quando torna in sala Ivano, arriva il consommè affumicato della stessa gallina. Improvvisamente è estate, è ferragosto e quello che si immagina mangiando è un bel barbecue all’aria aperta. Momento catartico, di rincorse di sapori profondi e odori, spinti e accompagnati. Ivano dice che non è completo il piatto, manca l’uovo embrionale lì in mezzo, ma è un desiderio poco realizzabile. Visto che i macellai non ci pensano a procurarglielo, Ivano e i suoi compagni si stanno adoperando in ispezioni attentedi deretani di galline al mercato alla ricerca dell’ “uovo d’ oro”. Ancora pochi i risultati, ma non demordono. Che cosa sarebbe la vita senza speranza? (e se non è dedizione questa…)


Atto finale e di cui varrebbe la pena costruire un atto unico. La Pasticceria, maiuscola, precisa di finezza francese e divertimento spagnolo, è nella mente e nelle mani di Lucia De Prai, giovanissima e caparbia. Vuole e ottiene, con garbo e signorilità. Ivano è il mattatore e il regista, Marco l’attore principale, ma lei è la vera marionettatrice che tiene entrambi la brigata tutta per i fili.


In antidolce una cucchiaiata di panna montata. Hahah anche no. È una presa in giro per la povera Lucia, aforisma di colti ignoranti che chiaramente manco avevano avuto l’accortezza di assaggiare prima di blaterare. Invece è Litchis in essenza con minuziosità e passaggi diabolici acuti, con sottostanti lamponi osmotizzati in vinagrette, Saint Germain fresco come un sorbetto e cremoso come un gelato al suo retrogusto di fiori di sambuco. La coltre sopra è neve di litchis e sambuco, ovvero meringa cruda senza uovo. Si ripeto senza uovo (ma con la sua proteina, l’albumina) e cruda o meglio congelata. Risultato: come neve, a temperatura ambiente, che si scioglie al calore del tuo sguardo innamorato.


Primo dolce, Pere (martin-sec sciroppate), gelato alla birra ambrata e corteccia di cacao impercepibile al tatto, da non farne più a meno mangiandola. Dolce tout court, enchanté.


Il Primo amore: pane e cioccolato. In quanto tale (e perché prossimi a San Valentino?) la sua venuta al tavolo è una romantica serenata, con finale a rischio di lacrimuccia. Ci fosse un soppalco in sala, Ivano potrebbe quasi pensare di ripetere la scena del balcone. (Scherzo, l’intro a modi Shakespeare è al cardiopalmo). Pane e Cioccolato è un Rufflé (chiedete a Lucia cos’è) di cioccolato che fa le veci della fetta di pane (anche negli alveoli e nella croccantezza), gelato al pane di farro a lievitazione naturale, lievito di birra liofilizzato, scaglie di sale e olio extra vergine d’oliva ligure a filo. Gli ultimi due dettagli fanno la differenza, il complesso piace ma è necessario intercettare i granelli di sale per il vero stupore. Tutto il resto è un dolce ricordo di cioccolato, che non invecchia mai.


“Latte” è spaziale e non ci sono mezze misure per descriverlo. Il più completo tra tutti i dessert golosi e dolciosi, ti porta a spasso nello spazio tra le stelle. Crumble di latte, spuma secca di latte caramellato, gelato incredibile al latte bruciato che si abbraccia stretto lo zabaione al limoncello, meraviglioso. Touche de classe: la pergamena di latte.


Passione meringa svizzera bruciata, che si può leggere con il tono che si vuole perché la cremosità stucchevole della meringa svizzera crea passione e dipendenza. Passione qui sta per il protagonista, il frutto della passione: contenitore, contenuto e copertura. Che passione!


La cucina come la vita è più divertente se si gioca. Ivano, Marco e Lucia si sono messi a giocare col caso con studio, lealtà, accortezza ed esperienze e hanno deciso che o la va o la spacca. A mio modestissimo parere di commensale la va. E andrà.


 - Gli altri, ottimi, vini del giorno - n.d.r.






2 commenti:

  1. ...VORREI ESSERE MARC ANTONIO...
    VORREI CONOSCERE CHI HA SCRITTO QUESTO PEZZO, HA SICURAMENTE ALTRO DA DIRE.

    F.

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  2. Nei due menu manca una "t" :). Le acciughe salate sott' olio si mangiavano, di solito a merenda, dall' Osvaldo a Boccadasse: fiammanghille di acciughe ricoperte di aglio tagliato a lamelle sottilissime e, ça va sans dire, cornabuggia. A fianco, piattini di fiocchi di burro da spalmare sul pane prima di adagiarvi i filetti.

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