domenica 25 ottobre 2015

Maitre de che?

- TRIPLA AAA -

Ispirato da ( QUESTO PEZZO DI ) Marco50&50, mi sovviene di quando dopo due stagioni alla Giara di Varigotti come chef de rang il proprietario, sapendo delle mie aspirazioni, per la stagione successiva mi prospettò la funzione di maitre d'hotel. La sua proposta mi raggiunse che ero già in Belgio felicemente impiegato in un ottimo ristorante del comune di Uccle (Bruxelles) sempre come chef de rang.

Non fu tanto per i buoni guadagni dei quali godevo (si lavorava a percentuale sugli incassi), quanto per la consapevolezza di non essere ancora all'altezza del compito, a dispetto del mio desiderio di fare carriera. E non era neanche per mancanza di nozioni essendo già alla terza esperienza all'estero, ma basilare per un maitre è la conoscenza di almeno tre lingue straniere, a parte la propria madrelingua. Del servizio ormai conoscevo quasi tutto senza false modestie.

In Germania avevo anche appreso il servizio al tavolo dei grandi e piccoli crostacei, sezionati ed approntati caldi sul gueridon davanti al cliente in estatica contemplazione. Il “flambé” faceva già parte del mio bagaglio professionale, come pure il servizio delle “grosses pièces” e la corretta esecuzione dell' “irish coffee” con la panna liquida e non quella sparata da un sifone industriale. Purtroppo a me faceva difetto la conoscenza della lingua inglese, neanche scolastica, il che mi faceva dubitare della completezza professionale per la funzione di maitre. Quello che aveva convinto il proprietario della Giara erano proprio le mie doti di savoir faire e di empatia, della mia capacità di accoglienza, oltre che di gestione del personale di sala.
Ero anche abbastanza giovane per tale compito, benché ampiamente ripagato dalla sua stima, che riteneva sufficiente per il suo albergo la mia corretta affabulazione in francese e tedesco. Dopo alcuni anni con l'apertura del mio ristorante in Candelo mi resi conto che in Italia il concetto di direttore di sala si era via via abbastanza annacquato, e di solito si traduceva semplicemente in un'annosa anzianità di servizio. Dopo essere passato ai fornelli spinto dalla passione culinaria, mi sono reso conto di un concetto basilare per la gestione di un ristorante. Se il servizio di sala non è all'altezza, il cliente ha diritto di contestazione. È peraltro una situazione rimediabile, ma se in cucina c'è un “cane”, non c'è maitre che tenga per rimediare alla sua scarsa qualità. Tuttavia di quale tipologia di maitre parliamo al giorno d'oggi in Italia?

AAA


2 commenti:

  1. La tua chiusura è presupposto, se in cucina c'è un cane...dopo la condivisibile "sine qua non" una considerazione, se si instaura empatia in sala, si perdoneranno più facilmente eventuali piccoli inciampi in cucina, freddezza, antipatia, atteggiamenti scostanti e presupponenti allontanano.
    Ieri leggevo un'intervista di Dorfles, che dall'alto dei suoi 105 anni, dissertando di cucina dava un giudizio positivo circa l'aspetto estetico, rilevante ai tempi di Principi, Papi, così come nei quadri di Rubens e ricordava l'Argentina e l'agnello intero cucinato allo spiedo, ecco credo che di scenografico con accezione positiva ci sia questo, qualcuno che prepari qualcosa per noi davanti ai nostri occhi, qualcuno che sappia "porzionare", "flambare", che sappia capirci, l'empatia a cui accennavi.
    Così che, per dirla con parole non mie che faccio mie "un mondo in crisi di identità sarà salvato da un manipolo di golosi di vivere"
    AveAllAngiulli

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    1. Certo, l'ideale sarebbe un'equanime professionalità di cucina e di sala al servizio di "un manipolo di golosi di vivere". Ma dietro un flambé o una pieçe da porzionare ci dovrebbe essere una cucina all'altezza, altrimenti la scenografia va a farsi benedire, e cucina e sala molto semplicemente riescono nell'obiettivo di farsi dimenticare. Salve a Marco50e50.

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