domenica 18 ottobre 2015

La Figura del Maitre

marco50&50

Un solo presupposto, per evitare fraintendimenti, non dovessi riuscire a spiegarmi adeguatamente:
se mangio malissimo non c'è maitre che tenga.

Avevo un'opinione nonostante molti click spingessero nella direzione opposta.
Pur essendo sempre disponibile a cambiare parere, stavolta ho continuato a pensarla allo stesso modo.

Anche se quel che esce dalla cucina non mi convince del tutto e alcuni piatti si presentano all'appello in modo approssimato, se in sala vengo accolto bene, ascoltato, consigliato, in quel locale ci torno, dando di conseguenza alla cucina, possibilità di riscatto.

Se il maitre, o comunque il responsabile che mi collega allo chef, non prende neppure in considerazione l'idea di accoglienza, si propone con un atteggiamento svogliato, si dimostra impreparato, usa il contagocce per un sorriso forzato e per servirmi un calice di vino, non accetta eventuali rimostranze e si lascia scivolare addosso macchie di unto e lamentele, sarà improbabilissimo rivedersi, anche se, magari, la cucina  meriterebbe maggiori attenzioni, perché lo chef, in effetti ha molte potenzialità espresse, come le sue cotture, ed inespresse che aspettano solo di poter aprir bocco, o meglio, di farcela aprire con soddisfazione.

Purtroppo se la sala è lasciata alla deriva, non si percepisce calore ma freddezza, i piatti vengono portati al tavolo quasi controvoglia da personale decisamente antipatico e poco disponibile, per quanto bene abbia potuto cenare sarà molto improbabile che rivarchi la soglia, la mia soglia di attenzione a questo riguardo è molto alta, posso comprendere un piatto salato quanto il conto, sorvolare su una temperatura tiepida, non sull’accoglienza tiepida e sulla mancanza di garbo.

Capita,  raramente ma capita, che in sala sappiano fare il loro mestiere, rifiutandosi di essere, e quindi di sentirsi, semplice "trasportatori" di piatti destinati ad un percorso di andata e ritorno, obbligato e senza soste, si sente trasparire la voglia e la disponibilità di contatto, che non deve essere assolutamente ossessivo, l'armonia prende il sopravvento, cambia l'umore e conseguentemente ed inevitabilmente le valutazioni che, nolenti, sono soggette allo stato d'animo.

È rassicurante sapere che in quel determinato locale ritroveremo una  figura di riferimento che ancora una volta,  si prenderà cura di noi, con poche attenzioni, calibrate, al momento giusto, percepiremo passione e disponibilità, non è necessario nulla di più ma nemmeno nulla di meno. 

Personalmente non gradisco neppure chi si presenta con la “lezioncina” imparata a memoria e non mi entusiasmano persone troppo servizievoli al limite dello stucchevole, bastano modi naturali, comportamento educato e non invadente.

Se sollecitato, il nostro piccolo grande maitre, dovrebbe capire che se tendo la mano sarà alquanto facile per lui prendermi il braccio e far si che io spenda volentieri di più di quanto preventivato magari scegliendo un buon vino, un distillato, o che mi lasci tentare assaggiando un dolce fuori carta che potrebbe costarmi come mezzo pasto, così, ad occhio, e allora mi porti anche un calice di occhio di pernice, in fondo si vive una sola volta, la variabile è il come.

Dovrei, in teoria, tornando a casa, mentre guido a fari spenti (nella notte se si tratta di cena e non di pranzo li accendo), dovrei, dicevo, aver voglia di ritornare in quel locale dove l’armonia viaggia di pari passo con il passo cadenzato dello chef.
Se alziamo l’asticella, se il locale in questione, ad esempio, brilla di monostella, l’uomo di sala dovrebbe essere qualcosa a metà strada tra uno psicologo e un consigliere spirituale, quindi che mi sappia capire che abbia spirito e che mi sappia proporre spirito di qualità nel calice.

Se lauti e frequenti pasti non ci hanno appesantito più di tanto, potremmo alzarla ancora un po’ l’asticella, al di là ci sarà comunque un materasso, tutto torna quindi, anche nel dopocena il materasso è essenziale ed è auspicabile finirci sopra.
L’asticella adesso è posizionata davvero in alto, la figura di riferimento supervisiona o si occupa personalmente di un aspetto non più desueto, come il termine stesso ma, al contrario d’attualità, perché come spiegava Marchesi c’è una sorta di riscoperta del servizio al tavolo, che talvolta è preferibile ad un impiattamento coreografico che però potrebbe penalizzare il risultato finale.

Sto pensando a piatti conviviali che in monoporzione non rendono, fritture di pesce, crudi “a cascata”, carni o pesci di dimensioni notevoli che possono essere “porzionati” al tavolo dopo essere stati ammirati nello loro “interezza”, ma anche a piatti più popolari, come un pollo alla cacciatora, che con un impiattamento tradizionale perdono molto del loro fascino.

Un servizio al tavolo credo  possa meglio valorizzare un piatto semplice come un risotto alla parmigiana, che servito in una casseruola di rame e distribuito con sapienza da un bravo maitre, potrà riempire gli occhi del cliente, generare accenni di deglutizione, altrimenti detti acquolina in bocca, stimolare le cellule grigie e solo successivamente riempire anche la pancia.

Ma vogliamo mettere il piacere dell’attesa di una crepe, di una preparazione alla fiamma,  preparata con cura, per noi da un bravo  maitre che in caso di fiamme troppo alte, sono convinto, senza timore di fare una brutta figura, sarebbe disposto a gettarsi in acqua pur di poterci servire al meglio, ecco perché andrebbe rivalutata, la figura del Maitre.


M 50&50



2 commenti:

  1. ..bisognerebbe introdurre un "maitre" di giudizio anche per queste figure professionali, la cui importanza, non è secondaria

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    1. I clienti si perdono & prendono in sala, la comunicazione non è tutto ma pensare sia niente è un errore.

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