giovedì 29 gennaio 2015

Piccoli cuochi crescono

Marco 50&50

Caro Leo,
sono lo zio Marco dal monitor, ho visto la tua foto e il tuo desiderio futuro, ancora per un po’ sono io ad essere il più alto dei due, ne approfitto per guardare lontano in quella che sarà la tua direzione e quello che mi sembra di vedere non mi incoraggia, ma c’è un’età per i dubbi e le preoccupazioni, che fortunatamente non è ancora la tua, tu, per dirla alla Kerouac, non hai nessun posto dove andare, se non dappertutto.

So che hai intrapreso una strada che ti metterà presto alla prova, ma non quella televisiva del cuoco, anche se il cappello che porti con orgoglio è quello. Non so se tu abbia preso dal babbo la stessa velocità di pensiero e la sua stessa determinazione, te lo auguro ma poco importa, quel che conta è che tu abbia scelto di fare qualcosa che ti dia soddisfazione, lavorare non deve essere un peso, perché il peso e lo stress paralizzano corpo e mente.

A questo proposito vorrei raccontarti una storia, di quelle che ti raccontavo in giardino al mare dopo cena, basta tornare indietro di poco, perché è davvero poco che ti ho visto nascere…

C’era una volta uno psicologo che insegnava ai suoi studenti come gestire lo stress e dopo aver preso un bicchiere d’acqua lo sollevò e chiese loro quanto fosse pesante, le risposte comprese tra duecento e cinquecento emmeelle erano tutte sbagliate.

Quello che conta non è il peso ma il tempo che passi col bicchiere in mano, un minuto nessun problema, un’ora braccio dolorante, un giorno braccio paralizzato. Credo quindi si debba cercare di sollevare quotidianamente un bicchiere che ci piace, (bollicine nel mio caso è meglio ma non è questo che conta) perché a lungo andare la capacità di sopportazione diminuisce e il bicchiere diventa pesantissimo.

Caro Leo,
non ho nulla da offrirti se non un po’ d’esperienza e qualche indicazione, troverai tutto il resto man mano sulla tua strada e ancora oggi, nonostante tutto, non so se augurartela in salita, in pianura o in discesa, sarà la tua, comunque, tue le gambe per percorrerla,  io ci sarò ad incitarti ma dovrai trovare da solo il passo più adatto a te.

Non so se sarai in grado e avrai voglia di inventare un piatto tutto tuo come ha fatto recentemente Faccani con i Cappetelli, passatelli&cappelletti tutto in uno, una regione i suoi simboli, o se preferirai rimanere nel già sperimentato, magari dovrai nutrire i tuoi figli con ingredienti nuovi, impensabili oggi, forse rimarrà tutto come sempre.

Non so se farai parte di una grande brigata di cucina o di una piccola realtà, se sarai un numero uno o il secondo di qualcuno, (siamo comunque tutti secondi di qualcuno) quello che mi piacerebbe,  è sapere di poterti trovare sereno, al lavoro, col manico della padella in mano, e che questa non ti pesi, immaginarti a tuo agio tra cuochi, fuochi e fiamme e che tu sappia fare senza delegare, perché se imparerai a fare, lo saprai fare sempre&ovunque.

Caro futuro cuoco, una delle cose più importanti è che tu sia sempre al tuo posto, sacrificio&dedizione nel quotidiano, come il pane, il cliente deve poter contare sulla tua presenza, deve sapere che ci sei, trovandoti sempre saprà che sei sempre stato lì per lui ad aspettarlo col fuoco acceso, il fuoco dentro e la padella in mano.

Penso ad un blog che non viene aggiornato e il post già visto lunedì te lo ritrovi nei giorni seguenti, un blog dove sabato&domenica ritengono inutile pubblicare qualcosa perché la gente esce, ci vedo poca considerazione e poco amore per i lettori, è come servire pane raffermo o rimanere senza pane, nel quotidiano c’è sacrificio ma anche amore, c’è un legame, più profondo.

Oggi mi capita di andare in un ristorante, stellato o fuori fuoco non conta, non trovare lo chef di riferimento e avere una certezza, per quanto bene possa stare, non sono venuto per questo e mi rimarrà una sensazione negativa, invece, se vado dal Gianni, so che il risotto me lo farà lui e allora ci torno ancora più volentieri.

Vedi caro Leo, è come se andassi a farmi tagliare i capelli in uno di quei saloni di bellezza e di grido, dove, per rifarti la testa ti chiedono un occhio, poi dopo i convenevoli il responsabile sparisce e i capelli te li viene a tagliare un’apprendista&stagista che non si chiama Monica e nemmeno Lewinsky…se questa non la capisci chiedi tranquillamente spiegazioni al babbo.

Un abbraccio dallo zio (si fa per dire) Marco, ma in fondo, è come se lo fossi.

E poi tornare a casa e dire al cuoco: "To' queste cose e acconcia per dimane, e pela, taglia, assetta e metti a' fuoco; ed abbie fino vino e bianco pane, ch'e' s'apparecchia di far festa e giuoco: fa che le tue cucine non sian vane!" FOLGORE DA SAN GEMIGNANO

M 50&50

4 commenti:

  1. Parole sante, blog compreso (nel mio caso non per mancanza di considerazione e amore, ma di bollicine)

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    1. Naturalmente non mi riferivo ad un piccolo hotel di charme a gestione curata&familiare

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  2. Bel pezzo,mi piacerebbe sentirmelo dire, poterlo percepire e infine raccontare.

    TMC

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