martedì 10 aprile 2018

Rezzano Cucina e Vino - Sestri Levante


- del Guardiano del Faro -



Un senso di ansia provocato dalla disarmonia. Un momento degno di una crisi di panico. Eppure stavo nelle condizioni migliori per godermi una serata da ricordare, e così sarà, comunque. Però, però, per una volta non partirò dalle persone per tentare di spiegare le cose, perché per una volta saranno le cose a spiegare le persone.

Pensate a che a Sestri Levante (18.000 abitanti e poco altro spazio da riempire) Michelin segnala in guida almeno 8/9 ristoranti. Per dire, qui sotto al faro, nella capitale della Riviera dei Fuori a vocazione turistica e ad invocazione gastronomica sono 60.000 che diventano il triplo aprendo le seconde case. Qui sotto i miei occhi la rossa ne trova due, e con fatica.

Sembrerebbe il paradiso di Levante Sestri, invece. Non qui da dai Rezzano, che è un buon locale a tendenza atipicità prelevata dal classico, ma è imbarazzante girare per la confusa urbanizzazione di una delle cittadine più belle di tutto il Tirreno  -dove i geometri si sono mangiati anche gli architetti oltre che la cultura e l'architettura più bella di altri secoli- e scoprire che le carte dei ristoranti citati dalla rossa sono una specie di copia incolla, forse neppure dotati di mouse. Pochi anche i gatti fuori week end, perché un po' tutta la Liguria di qui va a picchi.

O tutto o niente. Difficile organizzarsi. Me lo diceva al microfono in una breve intervista di poche settimane fa Enrico Bartolini. No, Liguria no, mi fanno paura i luoghi dove è il turismo mordi e fuggi a comandare e non una solidità fatta di clientela locale, uno zoccolo duro su cui contare.

Giro per i bar, chiedo, faccio le domande. Com'è il ristorante che frequenterò stasera? Ma, accidenti, ma sono loro, dove andavo con le fidanzatine, dove  le gattine simpatiche lasciavano il segno sulle mie gambe saltando sul mio completo di Zegna o di Loro Piana Super 100, cercando di condividere gli scampetti della Fiammenghilla. Fatico a crederci, ma così mi dicono, così come alle cose che sono improvvisamente cambiate.

"Niente scampetti, ti daranno dei piatti complicati, buoni per i milanesi."  Non sono d'accordo con quelli dei bar del centro, spostando il baricentro si può ragionare su termini diversi, però molto complessi, non facili da intendere per quello che è questo momento storico della comunicazione, gastronomica in questo caso, dove la fake news si distribuisce con le dita sporche del barista.

Un tempura normale se fai il cuoco, un ceviche rinfrescante, seppie pallide di loro e di salsa, cappon magro senza più unghie smaltate di rosso a rialzare l'umore ma intenso di suo e di salsa verde ben presente. Femminili ravioloni in giallo nero che non lasciano il segno. Una convincente versione dell'onnipresente polpo, che qui non si chiama mario, questo si, ma un risotto così poco mantecato no, specie se lo sai da dove arrivo. Tagliolini piccantemente e vivacemente sfacciati ma addolciti proprio da quegli scampetti che stavolta ho condiviso con due non proprio gattine.

I gamberi giustificativi di materia e di sifonata modernista. Bricchetto di contenuto in aggiunta, perché adesso va così, e va bene, perché i liquidi è meglio aggiungerli al tavolo in carenza generale di camerieri in grado di evitare di farli finire sul pavimento.

Dessert che va condiviso e ha condiviso il suo tempo con altri elementi che non gli appartengono, ma che non gli compromettono il bell'aspetto. Sai come si dice? Il cliente normale si ricorda principalmente il dolce.












gdf

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