domenica 15 aprile 2018

Il vino è veritas: Clos de La Coulée de Serrant 1986 – Nicolas Joly




Come ci si avvicina a un mito della viticoltura mondiale, cercando di superare quel senso di devozione che pure è doveroso e inevitabile?

Mentre osservo il bicchiere e ripercorro mentalmente le nozioni acquisite sui vini della Loira, l’AOC Savennières e la biodinamica, mi convinco che l’approccio migliore sia una bella tabula rasa, cercando di dimenticare le sensazioni suscitate da bottiglie di annate più recenti del medesimo vino.

Sì perché qui il concetto di vino “vero” e “vivo” (oggi forse un po’ abusato per strizzare l’occhio al marketing) non si applica solamente ad annate diverse, o a bottiglie diverse della stessa annata, ma si declina anche tra un bicchiere e l’altro della stessa bottiglia.

L’impatto di questo giovanotto 32enne è piuttosto devastante: il colore è ambra liquida, dalla luminosità accecante, mentre all’olfatto ti maledici subito per non averlo aperto qualche ora prima da quanto è chiuso e sei consapevole che dovrai attendere prima che si dispieghi in tutte le sfaccettature. L’attesa del piacere è essa stessa piacere?



Per me che sono un’impaziente di natura, la risposta non potrebbe che essere negativa, ma mi costringo ad attendere, in rispettoso silenzio, come si attende il passaggio della carrozza reale.
Ed ecco che, piano piano, le Roi Chenin Blanc si mostra, svelando note di intensa frutta candita, incenso, miele, tè, e un sorprendente sbuffo di erbe aromatiche che rendono il bouquet incredibilmente fresco.

Definirlo complesso sarebbe lesa maestà, ma l’apice dell’ampiezza si raggiunge all’assaggio.
Potente, materico, esplode letteralmente in bocca con tutta la sua spinta alcolica, pieno ai limiti del grasso, ma quando pensi di essere stato sconfitto dall’apporto glicerico dato dalla parte di uve botritizzate, arriva una sferzante acidità (32 anni…) a tenderti la mano e a riequilibrare l’insieme.

E’ come un pugile che prima ti rifila un gancio alcolico e poi ti fa una carezza acidula e il “dolore” si elide, lasciandoti lungamente e dolcemente stordito.

Una vera festa dei sensi, impreziosita dai miei compagni di bevuta, profondi conoscitori di vino e di ottimi vini, che mi hanno raccontato molto di Nicolas Joly, soprattutto ciò che non sapevo e che ha immediatamente acceso la spia della mia curiosità.

Sapevo che Nicolas Joly da Savennières è uno dei precursori della biodinamica in vigna, stretto osservante dei dettami del Professor Rudolf Steiner




 (“Impossibile definire l’uomo poiché egli è punto di equilibrio delle sue forze”: questa me la ricordavo dal liceo, perché mi era piaciuta molto).

Non sapevo che prima di Nicolas era la madre l’anima del Domaine e che quasi sicuramente noi abbiamo bevuto un vino “di” Madame Joly.

A proposito di Signore, narra la leggenda che proprio agli anni ’85-’86 un’altra Madame, anzi La Madame de Bourgogne, Lalou Bize-Leroy, sia rimasta folgorata dalla filosofia dei Joly, proprio visitando la Coulée de Serrant.

Si tratta di un vigneto mitico e antichissimo, che si porta egregiamente sul groppone quasi un secolo di vendemmie.



Sette ettari di terreno composto prevalentemente da scisto rosso, che garantisce un drenaggio ottimale, esposizione favorevole (Sud/Sud-Est) e un clima non dissimile da quello della Borgogna.   Queste condizioni creano un microcosmo adattissimo allo Chenin, vendemmiato a più riprese, rigorosamente a mano, con rese molto più basse di quelle consentite (20-25 ettolitri per ettaro sui 40 autorizzati).

Tutto ciò regala un vino estremamente concentrato, in cui attualmente la porzione di uve attaccate dalla muffa nobile è più bassa rispetto al passato: a dire il vero nella bottiglia del 1986 noi l’abbiamo avvertita poco, o meglio ci è parsa splendidamente integrata nel mosaico di profumi che questo vino è in grado di regalare.

Durante l’assaggio, ho tentato mentalmente qualche abbinamento, ma mi sono arresa, perché, come recita qualche sito inglese, thisis an Iconwine, che va bevuto da solo, possibilmente non da soli, perché condividere bottiglie simili ne moltiplica l’effetto inebriante e rende complici di un’esperienza “esoterica”.

Perché, come diceva Rabelais, “Nel vino è celata la verità. La Diva Bottiglia vi ci manda: siate voi stessi interpreti della vostra scoperta”.

Chiara




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