giovedì 17 settembre 2015

L'albero dei fichi


gdf dall'Isola dei disoccupati



Non è un fico, è un albero di fichi, e per di più carico di fichi, fichi che non sta raccogliendo nessuno, forse perché sono troppo in alto quelli che ancora non sono caduti a terra spontaneamente, forse perché questo tratto di strada ha una pendenza tale che ... che quelli che non cascano sul prato rotolano giù fino al mare, rimanendo in gran parte liberi dalle onde perché di mezzo c'è la Statale a schiacciarli, quella che impegna tutti quanti, tutti quelli che non sono mai saliti a piedi ai piedi dell'albero dei fichi.




Così come non credo che esistano grandi vini ma, con l'andar del tempo, solo grandi bottiglie, alla stessa maniera sono convinto (imho) che non esistano malattie, ma solo persone malate, di un qualche cosa che li disturba fino al punto di non rendersi conto quanto sia bello, utile e salutare, salire questa impervia salita per raggiungere l'albero dei fichi.

Oggi ho tempo, il pesce di nome Wanda mia ha distrutto un'altra breve carriera, posso cominciare a pensare ad altro. Intanto divertirmi sotto l'albero dei fichi, perché non è vero che se non ci arrivi a prendere quelli lassù, quelli più in alto, ci devi rinunciare: non ci devi rinunciare, ci devi solo arrivare cambiando modo di pensare a come arrivarci. Mica vengo qui con una scala, piuttosto guardo per terra.

Toh, ne è cascato uno giusto adesso, non sul prato, proprio sulla strada pendente, mi toccherà correre per prenderlo, e poi mangiarlo, e così nutrirmi. Uno, poi un altro, prendendo confidenza con questa natura. E adesso andando a cercare un qualche strumento che mi aiuti nell'alimentarmi anche oggi, anche se non ho più un lavoro, anche se potrei non avere altro nutrimento che i fichi dell'albero di fichi.

C'è del bambù spezzato per terra, lo scrivo così perché se no il correttore di word si arrabbia, e non ho voglia di prendere insulti anche oggi. Questi rami... ma non si chiamano rami ...mi serviranno per abbacchiare i rami dell'albero dei fichi, se lui me lo permette. Dice che va bene, tanto tutto questo ben di Dio, se non me lo mangio io finirà con il marcire per terra, o rotolare per strada, giù là in fondo dove il frutta&verdura vende quelli acerbi a euro 5.90 .

Il bastoncino, ecco che ho trovato un termine condivisibile, mi aiuta, ma solo se sono in grado di saltare abbastanza in alto per dargli la possibilità di aiutarmi, e quando ho finito di saltare ho pure digerito quei dieci fichi che mi sono mangiato, dopo averli rincorsi giù per la ripida discesa. Un pensiero all'intestino, il secondo cervello. Quindi lo posso dominare con il lato destro di quello del piano di sopra, o se no, svuotarlo qui dietro, tanto non c'è nessuno a occupare il bagno: ne' Jung ne' Freud.

Stanco, mi riduco ormai a lanciare come un bambino il bastoncino verso l'alto, che colpisce qualche ramo con un buffetto tenero, abbastanza da restituirmi qualche altro frutto, dolcissimo, fragrante, come se fosse appena stato staccato dalla pianta, giunto al punto di maturazione nutrito dalla pianta. Lo lancio ancora. Incredibilmente rimane li, sospeso tra due rami che lo abbracciano. Ho capito il messaggio, grazie albero.

Mi manca un passaggio, e cioè girare intorno all'albero dei fichi, per potermi saziare per un intero giorno senza più correre lungo il ripido stradino ad ogni caduta. Ecco, ci vado. Ecco, è una solenne merda quella che vedo. L'albero dei fichi, sotto il suo dark side è stato trasformato in una discarica. Ecco a cosa serve il grande albero dei fichi alle persone con le quale non riuscirò mai a capirmi, gli serve per coprire le proprie brutture, la loro ignoranza, invece di nutrirsi dei suoi frutti.



Di strade così nella città dei fiori e delle canzonette ce ne sono a decine. Per terra è così, in alto invece ci sono limoni, arance, prugne, susine, uva, uva, uva, more ... e fichi, che pochi raccolgono, non cogliendone il senso

gdf retorico













gdf

mercoledì 16 settembre 2015

Chicchi per le rime


Marco 50&50

Alcuni reggono bene il vino.
Io reggo bene il riso, cereale coltivato da diecimila anni, indispensabile alle popolazione più povere che dipendono dal riso per sopravvivere.
Dopo l’avvento a cavallo degli anni ottanta di nuovi fertilizzanti chimici che permisero di raddoppiare la resa , un agronomo francese osservando i metodi di coltura dei contadini del Madagascar, studiò un metodo, in seguito denominato Sri, System of Rice Intensification, che permise di utilizzare il quaranta per cento di acqua in meno rispetto ai metodi tradizionali, considerando che solo un quinto dell’acqua necessaria arriva naturalmente dalla pioggia si è trattato di una vera e propria rivoluzione, che sta dando, ancora oggi i suoi chicchi, frutti mi sembrava inappropriato.

Lo stesso Comitato Scientifico Expo 2015, colloca questo sistema di coltivazione tra i più grandi sviluppi agricoli dell’ultimo mezzo secolo, nutrire le persone mantenendo in vita la terra, mentre la domanda sale, però, sale di conseguenza anche quella dell’acqua dolce necessaria alla coltivazione, intanto caldo e siccità riducono le aree coltivabili, i cambiamenti climatici osservabili anche nel piccolo, su larga scala potrebbero produrre danni incalcolabili, così la sfida sembra spostarsi su un altro campo, le coltivazioni delle zone aride, dove l’Irri, International Rice Research Institute, sta studiando varietà genetiche che sopportino caldo e siccità.

Ma l’attacco al cereale che sfama mezzo mondo, arriva anche dall’acqua, con l’innalzamento delle acque oceaniche in prossimità del delta dei grandi corsi d’acqua asiatici, dove si concentra la maggior parte della produzione mondiale.

Il conseguente aumento della salinità in questa zona strategica per la coltivazione, è una minaccia ma anche una sfida per quei ricercatori che dovranno trovare nuove idee per poterci garantire una continuità di chicchi.

Ci vorranno studi, prove sul campo, comparazioni, fondi, per raggiungere lo scopo, ma potrebbe bastare, come già è avvenuto, l’intuizione che illumina, in fondo per ottenere risultati strabilianti, è bastato osservare con attenzione, evitando di fare “rice surfing”, dei semplici contadini malasci.

Ngob, il cappello usato da sempre dai coltivatori di riso, emblema di saggezza locale, oggi simbolo del padiglione thailandese appena visitato ad Expo, potrebbe essere lì a dimostrarci che la soluzione, magari, è a portata della mano e del sapere di un semplice contadino.

Adesso però, il chicco multiforme e multiuso mi chiama per un assaggio “letteral-culinario”, allora facciamocelo un giro veloce sul risottovolante.
Dal Tenzone, la battaglia di sonetti tra Dante e l’amico Forese Donati, dove seguendo lo stesso schema metrico si faceva largo uso di doppi sensi utilizzando espressioni crude, volgari ed allusive, deriva l’espressione “rispondere per le rime”.
Qualche tempo dopo, nel 1905 per l’esattezza, ad Augusto Guido Bianchi, scrittore e giornalista del Corriere della Sera, che gli mandò una lettera in versi che esaltava il risotto alla milanese, Giovanni Pascoli, che amava i risotti, in particolare quello che gli cucinava sua sorella Maria, rispose alla battuta con garbo e per le rime :

Il risotto romagnolesco
Amico, ho letto il tuo risotto in …ai! 
E’ buono assai, soltanto un po’ futuro, 
con quei tuoi “tu farai, vorrai, saprai”! 
Questo, del mio paese, è più sicuro 
perché presente. Ella ha tritato un poco 
di cipolline in un tegame puro. 
V’ha messo il burro del color di croco 
e zafferano (è di Milano!): a lungo 
quindi ha lasciato il suo cibrèo sul fuoco. 
Tu mi dirai:”Burro e cipolle?”. Aggiungo 
che v’era ancora qualche fegatino
di pollo, qualche buzzo, qualche fungo. 
Che buon odor veniva dal camino! 
Io già sentiva un poco di ristoro, 
dopo il mio greco, dopo il mio latino! 
Poi v’ha spremuto qualche pomodoro; 
ha lasciato covare chiotto chiotto 
in fin c’ha preso un chiaro color d’oro. 
Soltanto allora ella v’ha dentro cotto 
Il riso crudo, come dici tu. 
Già suona mezzogiorno…ecco il risotto 
romagnolesco che mi fa Mariù. 


Anche il Risotto giallo Milano 2010 dell’Antica Osteria Magenes di Barate di Gaggiano meriterebbe un sonetto, non mi sento ancora pronto a raccogliere la sfida per cui mi astengo, non vorrei che qualche Raspellone di turno mi risponda per le rime, a proposito, il prossimo week end, nell’ambito della Festa dell’Uva più antica d’Italia, si terrà a Caluso il primo Festival del Risotto all’Erbaluce, per una sfida all’ultimo chicco sono sempre pronto, magari con un Risotto all’Erbaluce, paletta biellese, come l’editore e castelmagno mantecato con burro d’alpeggio, anni di allenamento mi consentono di affrontare porzioni che richiedono un potenziale che pochi umani possono permettersi, quindi per un singolar tenzone sono qui.

M 50&50

martedì 15 settembre 2015

Due nel mirino



Marco 50&50 e Angelo Antonio Angiulli

Sarebbe riduttivo.
Basterebbe dire che, Venerdì, sul Diario del Web è apparso un articolo per nulla gradito dal ristoratore recensito.
Ma sarebbe riduttivo.

Chi si firma, aspetto da non sottovalutare rispetto al parziale anonimato delle critiche reali o fasulle che servono a ben poco ma vanno per la maggiore, chi si firma dicevo, pacatamente mostra incredulità più che disappunto, non offende e non usa termini offensivi, ribadisce il concetto che il suo giudizio è soggettivo e non assoluto, soprattutto mostra la sua inadeguatezza rispetto a locali di tendenza, o comunque frequentati con soddisfazione da un gran numero di avventori che, a parere di chi recensisce, in questo specifico caso, non valgono una seconda visita, forse, dopo aver letto più volte il suo post, l'unica frase che mi stupisce, o meglio, mi fa pensare.

Quel che mi preme sottolineare, anche alla luce delle risposte alle critiche date su Trip, o sul FB del Diario del Web in "zona tigella" dalla ristoratrice di nome Wanda che non è un pesce, perché la bocca la apre, anche troppo,  non è il diritto di difesa e di replica, ci mancherebbe, ma la certezza di essere nel giusto, il rifiuto, non di condividere una critica, se ne ha sempre facoltà, ma di essere criticati e questa è presunzione che non porta a nulla.

Se i salumi e le salse nel mirino del critico sono graditi dalla maggior parte della clientela è certamente un aspetto a favore della Wanda permalosa, che dovrebbe avere però anche il coraggio di confrontarsi in modo diverso con l'autore dell'articolo, cogliendo un'opportunità doppia, dimostrare garbo all'apparente sgarbo e, soprattutto, onestà intellettuale, una rarità ormai.

Non credo che i salumi proposti siano da buttare ma, certamente, nemmeno di nicchia o di alta gamma, probabilmente, e dico probabilmente, questi locali che vivono sulle mode, sfruttano l'onda favorevole, il momento gioioso e conviviale che si viene a creare condividendo salumi, gnocco fritto e tigelle e invece di alzare il tiro proponendo il meglio, mantengono prezzi abbordabili abbassando la qualità della proposta.

Questo l'ho appurato recentemente in ambito affettati e in ambito pizza, dove non serve molto per accontentare una clientela giovane, inesperta, o comunque alla ricerca, soprattutto, di spesa modesta per una soddisfazione media, come la birra quasi tutta schiuma ma per nulla cara, clientela che non pretende e si accontenta, allora basterà diversificare l'offerta, mischiare un po' le carte le farine, le farciture e le fette di salumi  sui taglieri per confondere le acque, camminandoci sopra e il miracolo del mediocre di tendenza sarà riuscito, magari è successo così a Biella e se uno glielo fa notare sfoderano l'arma del successo dato dal numero dei coperti, quel che meraviglia e mette fuori contesto accomunandoli, sia il critico che contesta sentendosi inadeguato, che un mezzo toscano amareggiato, nonostante lo scampato assaggio.

M50&50

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Non svegliare il cane che dorme. Antico proverbio che ben attiene a diverse situazioni, soprattutto quando la reazione è inattesa o sproporzionata. Parlare di cultura gastronomica nel Biellese è come stuzzicare il cane dormiente, non si sa mai quali e come saranno le reazioni, al massimo si possono solo ipotizzare. Diversi anni addietro l'analisi critica ad un albergo/ristorante ai confini del basso Biellese fu molto caustica. Al vanto che il pane veniva fatto in casa, il suggerimento impietoso fu che, dato il risultato, era meglio comprarlo da un buon panettiere. Più o meno nello stesso periodo altrettanto velenoso fu il commento di un “certo” Edoardo Raspelli, che non esitò a definire “depresso ed incompetente” il panorama gastronomico biellese. È cambiata la situazione? Una risposta adeguata è tutta insita nelle frequenti diatribe, perennemente in bilico fra la tradizione o quel che ne resta, sciorinata qua e là in qualche manifestazione, le contaminazioni mutuate dalle cicliche mode culinarie, o gli strafalcioni di improvvidi operatori. Ma buona parte di chi aderisce ad un dibattito sulla gastronomia, si crede competente, soprattutto se inserito nei “social”, ove trova condivisione massima alle proprie idee. Ormai tutto si svolge sui social/network, e la libertà di battere sui tasti a volte produce anche risposte stizzose, perfide, ed in alcuni casi gratuitamente offensive. La recensione viene intesa come insulto, con immediato diritto di rivalsa. Nei casi più eclatanti è manifesta la mancanza di umiltà nel considerare per un solo istante, che forse in fondo una qualche ragione di critica possa essere fondata. Mal me ne incolse qualche giorno fa a suggerire sommessamente ad una nota insegna di Biella, di considerare costruttive alcune osservazioni del Diario del Web di Biella. Una levata di scudi a difesa, orgogliosa reazione della responsabile. Tutto perfetto. (????).

TRIPLA AAA





















Mi dicono che i contenuti su Facebook sono stati rimossi.Vedremo, intanto, cotto e mangiato. gdf. io vado avanti
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opinioni di Gusto

Lo stato della ristorazione nel Biellese

Pacate considerazioni sul tema, partendo dalla raggelante affermazione fatta a suo tempo da un noto benestante biellese: "iuma gnuna 'ntensiun da sgarè di sod par mangè"

BIELLA - Il ricco commerciante di auto che così chiaramente si espresse pubblicamente - diversi anni fa- ci dovrebbe far riflettere ancor più oggi che allora, alla luce di quanto è accaduto negli anni.  Quello che oggi osserviamo è lo specchio allungato di allora, specchio deformato dai cambiamenti sociali, ma dove il dato oggettivo, il termometro febbricitante, lo ritroviamo messo giù nero su bianco sulle principali guide di ristoranti che coprono con le loro informazioni l'intero territorio nazionale. Michelin, Gambero Rosso, Touring Club e L'Espresso, fanno tutte fatica ad andare oltre i due indirizzi sulla sempre più striminzita quota di paginetta dedicata alla città di Biella (50.000 abitanti), e per quanto riguarda il circondario, fatta eccezione per le due perle di Pollone, preferiscono quasi tacere, o al massimo, sussurrare.

LE CITTA' VICINE - Volendosi consolare, curiosando in casa d'altri, possiamo verificare che una città come Novara, che di residenti ne conta il doppio, sta pure messa peggio, mentre Ivrea e Vercelli, unendo l'immediato circondario, possono vantare almeno cinque indirizzi ciascuna dove varrebbe la pena di andarci con una certa frequenza, anche tenuto conto della breve distanza che le separa da Biella, e fatto non secondario, per approfittare di una saggia politica sui prezzi, equamente proporzionati alla qualità dell'offerta.

C'ERA UNA VOLTA - Ci vorrebbero capelli ben più che argentei per ricordare un locale, un ristorante che fece epoca in città. Si chiamava Ferrino, locale esclusivo ed elegante che vantava tre forchette sulla Guida Michelin, mai più viste in città, così come le stelle, mai arrivate. Quel locale si trasformò un po' per volta come gli usi, i gusti e le abitudini; mutazione che lo portò prima a vestire un Kilt scozzese, dove si bevevano ottime birre e si mangiava una cucina molto semplificata, ma adeguata al contesto. In seguito diventò una tavola calda self service: il Tic Tac. Successivamente arrivarono le ruspe a mettere fine ad una storia che un senso ce l'ha, volendola interpretare.

GLI ANNI MIGLIORI - Come un po' per tutti quelli che hanno avuto la fortuna di viverli, sono stati gli '80 e i '90 il top. Prima e dopo solo sofferenze, e così, volendo non esprimere un'opinione ma raffrontando il concetto con un dato oggettivo, si scopre che dentro la Guida Michelin del 1990, quindi un quarto di secolo fa e giusto in mezzo tra gli '80 e la fine dei '90, la rossa, nella sua edizione italiana - all'epoca la seconda più venduta al mondo - individuava a Biella ben sei indirizzi affidabili, raccomandabili ognuno nella loro propria categoria, a livello internazionale. Ricordiamo che oggi il Bibendum indica un solo indirizzo in guida : La Mia Crota. In quegli anni i locali degni del riconoscimento si chiamavano Prinz Grill, il Bagatto, il Grilli, il San Paolo, la Taverna del Piazzo e la Trattoria della Rocca, a cui andrebbero aggiunti, anche solo per onorarne il ricordo, luoghi d'eccezione come Le Premier Cru, L'Orso Poeta e L'American Bar di Rontani. Insomma, ce n'era abbastanza per non annoiarsi mai come ora. A quegli indirizzi corrispondono ancora oggi locali dediti alla somministrazione di alimenti e bevande, ma evidentemente collocabili al di fuori o al di sotto degli standard minimi richiesti dagli ispettori Michelin. Questo non vuol dire che i locali non lavorano, anzi, il contrario, lavorano molto andando incontro alla domanda e alle mode.

TECNOLOGIA E SCORCIATOIE - Deregulation sulle licenze che non fanno più grandi differenze tra bar e ristoranti, così come le crisi economiche che hanno fiaccato l'economia dall''inizio del millennio hanno sicuramente influito sul calo di interesse verso i buoni ristoranti, però, con tutti gli strumenti perfezionati nel frattempo, e che si hanno a disposizione oggi in un moderno ristorante (alcuni obbligatori), non ci dovrebbero essere ostacoli nel fare qualità un po' ovunque. Macchine sottovuoto e abbattitori hanno facilitato non poco il lavoro in cucina, preservando in maniera eccellente materie prime o preparazioni finite, viceversa, qui come altrove, la maggioranza degli operatori del settore preferiscono rifornirsi di semilavorati messi a disposizione dall'industria alimentare o fidarsi di un qualche miracoloso franchising, settori che infatti patiscono meno di altri la crisi che affligge da ormai tre lustri la categoria legata a doppio filo, in realtà un cappio.  

TRADIZIONALE MA EVOLUTO - Si, perché se lo chef o il ristoratore, anche se bravo a cucinare pietanze in cucina o clienti in sala, se non ha capito come muoversi mediaticamente in una maniera produttiva invece che distruttiva sparirà dentro una buia cucina dove neanche il wi-fi lo potrà salvare.

LE CAUSE - Secondo un paio tra i più noti chef della città (mantengo una certa riservatezza dopo essere stato apostrofato pesantemente da una sedicente addetta a questi lavori), dicevo, secondo il primo illustro, si tratterebbe sostanzialmente di un problema culturale più che di carenza di disponibilità economiche (quanti interventi di ristrutturazione di interi edifici vediamo?), se no, invece di un certo tipo di frequentazioni, la clientela domanderebbe e stimolerebbe altro, fosse pure la semplice trattoria, dove a prezzi modici si potrebbe mangiare una cucina onesta e pulita, una cucina vera, una cucina "cucinata", che parta da materie prime fresche, sulle quali costruire un intero menù, buono e sano. Motivazione culturale che secondo un altro addetto ai lavori -più profondo- potrebbe essere ricercata nelle origini della classe media di questa zona, dove l'intera famiglia si è dedicata -a partire dagli anni '50- principalmente al lavoro, inteso come una motivazione di vita, spesso esercitato in proprio, e dove, appunto, l'intero nucleo famigliare veniva coinvolto a tempo pieno. Poche le massaie che potevano permettersi di rimanere in casa, uscire al mattino per far spese al mercato e tornare a casa per preparare un decoroso pranzo. E da li, da quelle piccole grandi cose casalinghe si partirebbe, in quel tempo come adesso, per costruire il "gusto" di una nuova generazione di giovani, invece cresciuti attraverso le frequentazioni di locali dove forzatamente socializzare di fronte a non importa che cosa. Le statistiche sull'alcolismo giovanile potrebbero essere frutto di ignoranza alimentare? Chi deve educare? Chi invece approfitta per profitto sul tema?

UN PALATO DA FORMARE - Nessuno nasce con un palato di eternit o di amianto. Il gusto è una condizione che nasce da zero e che poi si costruisce nel tempo. Il palato è educabile, con pazienza, facendo esperienze diverse che ne formeranno i contenuti e i contorni, sempre in evoluzione, e infine stabilizzandosi -con difficoltà-  su quello che diventerà il "gusto personale", che tuttavia rimarrà sempre condizionato dai fattori esterni : tradizioni locali, propensione ai viaggi, alla ricerca, allo studio, alla curiosità, alla condizione economica, al lavoro e agli impegni sociali. Tutte quelle diverse componenti che contribuiscono a costruire un proprio bagaglio culturale, il più possibile ampio.

Firmato : Roberto Mostini



lunedì 14 settembre 2015

Il mio amico Filippo

di Fabrizio Nobili

Filippooo!

C'era una volta, una dozzina di anni fa, un luogo nella città natale di Colombo una parte degli angeli (non quelli di Victoria's secrets) dove con un Pinot noir si scoprì qualcuno che di pinot noir ci capiva benissimo. Seppur giovanissimo lavorava presso uno che del pinot noir è un grandissimo.

Profumava di montagna, precisamente di delicate, fresche e leggiadre fragoline di bosco. Gli faceva compagnia una mentuccia delicata, balsamica e rinfrescante. Ma tutto questo ci era ancora sconosciuto: chi poteva sapere che dietro a certi nuovi nomi produttrici di vino borgognone si potessero celare storie storiche, intrecci di classe e talenti naturali ma ben coltivati?

Ti ritrovi poi a parlarne in certi altri luoghi, che neanche il Forum di assago potrebbe contenerli tutti. A gente che per lo più non conosci ma che sfrutta la Tua passione vinicola per sviluppare meglio la Loro passione per gli Euro. Ma questo non vale solo per Filippo ma anche per Pasquale, Francesco, Francesca, Franco, Edmondo e tanti altri che hanno contribuito a migliorare la passione per gli Euro di venditori svenduti.

Poi la passione vinicola non passa ma passa la voglia di alimentare la passione altri per gli Euro ed il gioca finisce. Da allora nessuno ha alimentato più la passione per gli Euro altrui.
Passa il tempo e finalmente si riesce a conoscere personalmente questo benedetto Filippo.

Un personaggio che sicuramente sa il fatto suo in materia ma soprattutto sa il fatto suo in fatto di diplomazia. Da buon ex giocatore di rugby (serie B) e di amante della montagna, non ha peli sulla lingua e dice sinceramente quello che pensa. Si creano delle inimicizie? Chi se ne frega! Se deve dire che Nicola con le sue idee estremiste biodinamiche ci fa soldi senza motivo te lo dice e ti dice pure che sono idee da biologica e non da biodinamica. Tra serate sul Lago del ramo di Como che volge a mezzogiorno. 

Tour turistico nel capoluogo lombardo con visita nella famosa Parkerisé enoteca in centro seguita da una storica bevuta in chinatown e visite nella sua cantina della cote d'or è da parecchi anni che si conosce questo personaggio unico. Un personaggio che in quanto a look soprattutto nella pettinatura somiglia al concorrente sempre presente al Tor des Geants dove ci piacerebbe vederlo vincere per la sua simpatia Christophe le Saux.

Pommard les Chanlins 2005 ha un colore rosso rubino trasparente e cangiante, i riflessi virano prima al mattone per arrivare poi ad un'unghia trasparente. L'occhio direbbe un vino scarico, scialbo e dal significato al pari dei selfie di Renzi.

I profumi sono di una complessità intrigante, ricoprono una vasta tela di aromi più o meno consueti nella descrizione borgogna. Vabbè si parte con la base strutturale di ciliegia (griotte?) e di rabarbaro, sulle quali si poggiano erbe officinali come il timo e prugne secche a dare l'indizio scuro della cote de Beaune, il tutto si evolve – con il passare del tempo – verso profumi di arancia sanguinella.

La bocca si rivela equilibrata, nessuna nota amara o troppo dolce, un'acidità morbida a dare spalla alla bevuta senza che siano imbottite stile anni '80 ed una persistenza degna di nota.

Ma chi è quel personaggio che all'inizio era Pinot noir?

F.N.

sabato 12 settembre 2015

CON LA CODA TRA LE GAMBE



Marco 50&50

Pullman gratuito, un paio di biglietti sotto costo, l'associazione propone, la moglie dispone, in fondo quando mi ricapita...l'anonimo martedì di inizio settembre,
promette una temperatura ideale e sembra promettermi un'affluenza accettabile, abbocco all'invito, errore universale come l'esposizione.

Andamento lento sulla tangenziale milanese, è la norma senza la pasta, non mi stupisco ma la giornata, lo sento, sta prendendo una piega non entusiasmante, il pullman ci lascia a pochi minuti dall'ingresso, faccio partire il conta passi e parto, deciso a dare un senso alla giornata, ma i buoni propositi si infrangono di fronte a centinaia di persone ferme con le quattro frecce in prossimità dei varchi antiterrorismo, la coda non scorre, anzi sembra retrocedere, sarà un effetto ottico o, più probabilmente, l'effetto dei "furboni" che si insinuano come serpi guadagnando postazioni e qualche minuto in più da dedicare alla visita.

Arriva il mio turno e quando mi sento dire che devo togliermi tutto realizzo che o non sono nel posto giusto o non sono dell'umore giusto, più probabilmente sia la prima che la seconda che ho detto.
Una volta dentro, però, l'entusiasmo e l'eccitazione della prima volta mi spingono a percorre in lungo e in largo, tanto per farmi un'idea e per sgranchirmi un po' dopo la sosta in coda, cardo e decumano senza soluzione di continuità e senza un briciolo di testa, perché, procedendo di questo passo i chilometri percorsi a fine giornata saranno tredici in sei ore circa, a metà strada tra un'andatura da passeggio e una da c@zzeggio.

L'andatura dei visitatori in visita ai padiglioni è forse l'aspetto più curioso, le persone si guardano lentamente intorno mentre sono in coda per entrare e affrontano la visita vera e propria a passo spedito e a testa bassa, spinti ad entrare in un altro padiglione per poter apporre un timbro fasullo su un altrettanto fasullo passaporto.

C'è qualcosa che non va, forse sono io.
Per i padiglioni principali, per attrattive e dimensioni, lo smaltimento della coda è stimato in centottanta minuti,  per quelli minori, tre secondi, ma da vedere in effetti c'è ben poco, mi oriento ad Oriente e un po' altrove.

Comprensibile ressa da fast food nelle zone che dovrebbero essere quelle di maggior attrattiva.
Coda di rospo non pervenuta, coda alla vaccinara esaurita, 
pervenuta una sensazione d'incertezza ed esaurita, o quasi, la pazienza, nessuna coda ma accesso momentaneamente sospeso alla zona degustazione vini.

Faccio la coda anche per un paio di piatti thailandesi cucinati al microonde mentre mi guardo intorno alla ricerca di piccoli assaggi volanti di street food cucinati a vista per un'offerta più vera e meno commerciale della cucina dei vari paesi, ma di espresso c'è solo il caffè, quello turco è esaurito, per quello triestino c'è coda.
All'aumentare dei chilometri percorsi corrisponde un aumento della stanchezza, del disagio, della gente intorno,  adesso il flusso sul decumano è continuo, dall'alto, sulla terrazza del padiglione degli Stati Uniti, l'armadillo texano, ma mezzo toscano guarda giù e vede e sente vocianti onde anomale, diverse da quelle che predilige.

Onde settembrine ad Arma di Taggia, tutta un'altra musica


Cibo per strada, altro che street food

M 50&50

venerdì 11 settembre 2015

Aoc Champagne Blanc de Blancs Les Vignes de Montgueux Extra Brut s.a. Jacques Lassaigne


Côte des Bar, con Montgueux che ne costituisce l’enclave gessosa. Solo qui, alle porte di Troyes, il sottosuolo di questa collina presenta, grosso modo, le medesime peculiarità, della ben più famosa Costa dei Bianchi. Ergo, lo Chardonnay è il vitigno che più si presta.

Più di un esperto considera, non mi interessa se a torto, o a ragione, Montgueux, come l’unica zona degna di considerazione dell’Aube – per qualcuno è la “Montrachet” della Champagne - e in grado di garantire prodotti di qualità assoluta.
La critica che conta, scrive molto, e soprattutto benissimo, dei vini di questo produttore, al punto da essere diventati très branché.

Se c’è gesso, ci deve essere tanta mineralità. Tuttavia, il mio falcone ne conteneva davvero poca. Già il prologo olfattivo è stato molto ermetico, impacciato e poco leggibile, con solamente qualche cenno di limone, scarne note floreali e un’indecisa mandorla.

Speravo in uno scatto al palato, viceversa, ho dovuto accontentarmi di un tocco agrumato – scorza di arancia – e una sommessa sensazione vegetale.
Chiude il cerchio, una effervescenza di smisurata taglienza.
Mineralità? Chi era costei? Neanche a distanza di un’ora.
A questo sorso non resta che la verticalità, pochino per una boccia che sfiora i 4 deca.


Già saprai dove sto andando. Sì, proprio in Côte des Blancs, giusto due rampe di scale, nella mia cave.

lunedì 7 settembre 2015

La nuova stagione al Patio di Pollone in didascalico


gdf

"Nuova verve, nuova carta, nuovi entusiasmi, specialmente grazie al giovane Simone Vineis, che sta cautamente spingendo verso direzioni più contemporanee questa cucina, che, lo ricordiamo, resta l'unica premiata in provincia di Biella dalla Guida Michelin con una stella, e da ormai quasi tre lustri. Non bastasse, anche l'ultimo entusiasta articolo uscito su L'Espresso a firma congiunta da Paolo ed Enzo Vizzari (direttore della Guida de L'Espresso) conferma che da queste parti la vena creativa -ma priva di bizzarrie- non si è assolutamente  spenta. Un ulteriore spinta in ventesimi potrebbe già essere stato previsto nell'ufficio di Vigliano, e la cosa non sarebbe per nulla scandalosa, anzi, auspicabile."




Gli snack! Belli e buoni, forse un po' troppi, ma io non faccio testo



Michela mi ha ormai psicanalizzato. Il gin tonic d'autore va all'aperitivo

voilà

Assoluto di gambero, come da Manuel all'Ittiturismo sanremesse, senza saperlo, ma con un elemento diverso, sostitutivo, o complementare, che decidano loro io sono felice lo stesso

Questo, "assoluto di cipolla" non lo potevano chiamare ... se no Romito? Però quel falso cannellone farcito, beh, evita un bel po' di strade appenniniche a favore di quelle prealpine

Tagliatelle larghe verdi nella loro salsa, con bottarga e calamaro marinato. Perfetto

Fave in due consistenze, patata e zafferano, ricotta e chips di buccia di patata

Il galletto alla cacciatora incontra i garganelli fatti in casa

La faraona, la carota, la liquirizia e la pelle del bipede croccante

L'agnello a doppia costa e a bassa temperatura con pomata di pomodoro e porcini saltati

Come una pesca all'amaretto

Cioccolato, mandorle e tartufo nero.
gdf

sabato 5 settembre 2015

farsi una canna


Marco 50&50

...potrebbe garantire grandi soddisfazioni, soprattutto se fosse possibile trovare a portata di amo una trota Fario o una della Val Chiusella.
L'importante è che sia fresca, quindi se per la canna c'è libero arbitrio, anche l'acquisto dal trotavendolo di fiducia andrà benissimo.

Al forno, al cartoccio, in versione mousse o con un po' di pangrattato, salmonata o meno si presta a svariate combinazioni, di qualche tempo fa la versione istruita della trota con laurea conseguita in Albania, oppure qualche timido tentativo nei primi piatti,  ma soprattutto, bollita e servita con maionese
Qualche giorno fa ho assaggiato e degustato con soddisfazione mista a goduria, la versione della foto in apertura, l'equilibrio e l'apparente semplicità mi hanno spinto a provare a replicarla a casa quanto prima anche in considerazione del vantaggioso Q/P.

Per non sbagliare, però, prima di cadere in un tentativo maldestro, pur essendo mancino, ho scritto al cuoco che l'aveva preparata per me, chiedendogli qualche delucidazione.

Quando si scrivono due righe a qualcuno, possiamo aspettarci grosso modo tre tipi di reazione, nessuna risposta, risposta stringata e svogliata perché dovuta o, come nel mio caso, una risposta garbata ed esauriente che, Dario, cuoco dell'Osteria Magenes, nonchè fratello del neo papà Diego, mi ha cortesemente e prontamente inviato.

La trota viene marinata per tre ore in sale e zucchero, le percentuali sono, rispettivamente, sessanta e quaranta, con l'aggiunta di cardamomo e bucce d'arancia, per essere successivamente servita con anguria fresca a cubetti, uova di capelan (pesce nordico che si riproduce in acque dolci ma vive in acque salate), le cui uova sono simili a quelle del lompo e con del caviale di limone o finger lime, una pianta australiana che produce questi frutti al cui interno si trovano delle piccole sfere dal gusto a metà strada tra limone e pompelmo, che esalta il sapore del pesce.




Uso volentieri l'ultimo "interessante" a disposizione nel trimestre estivo, per definire questo piatto anche in considerazione del fatto che una porzione di trota marinata, preceduta da un paio di gustosi arancini di riso allo zafferano con crema di cetrioli al caffè, fragrante cestino del pane e dei grissini, acqua minerale, calice di vino, piccola entratina, piccola pasticceria e caffè è proposta a pranzo alla simbolica cifra di euro quindici, come i chilometri da Gaggiano al Duomo di Milano, un mezzo miracolo, visto il contesto, il servizio premuroso ed attento, la scelta tra una decina di piatti che ruotano, (oggi un amico mi ha segnalato un'orata affumicata al fieno, patate viola e pesto ad esempio) piatti che denotano sempre un impegno ed uno studio a monte, considerando che siamo in mezzo alle risaie, il valore è doppio.




M 50&50

venerdì 4 settembre 2015

Aoc Champagne Rose Noire Brut s.a. Henriot


E’ una cuvée “fuori commercio”, riservata agli affezionati clienti della maison Henriot.

Ti arriva a casa l’offerta, per l’acquisto di 6 (o multipli) flaconi. Prendere o lasciare.

A dispetto del nome, che farebbe pensare, forse, alla bacca nera, questo è un pur Chardonnay, le cui uve provengono, in gran parte, dai villaggi Grand Cru della Costa dei Bianchi.

Effervescenza oro brillante, molto fine, per un naso, dolce e abbastanza maturo, che più blanc de blancs non si può. Tanta frutta, bianca e gialla – pesca e pera, mela, melone e agrumi – con la mineralità che tiene banco, e forse anche sotto scacco, altri attori olfattivi, per la verità deboli o nascosti.

L’assaggio si dimostra vellutato e meno “maturo”, di maggiore freschezza e buona verve acida. Sempre la frutta che se la gioca con il gesso, per un sorso sì grasso, ma un filo piacione, con qualche grammo di troppo nel dosaggio, che scheggia l’equilibrio.

Chiusura rapida, di media persistenza, su tocchi, dolci, di mandorla e agrumi confit.


Flacone pettinato e ubbidiente al goût maison – non potrebbe essere diversamente – che privilegia dolci espressività.

mercoledì 2 settembre 2015

L'OLIVIA DI BADALUCCO


Marco 50&50

La Provincia di Siena mi comunica le date utili per il corso di aggiornamento obbligatorio per gli assaggiatori d'olio.

Nello specifico, da un piccolo paese nelle Crete Senesi, mi scrivono:
"Per potervi ancora fregiare della qualifica di mezzo toscano, siete tenuto a frequentare, dopo quello superato a pieni voti a Brisighella, il secondo corso  sull'extravergine di oliva a Taggia, solo allora, potrete iscrivervi al Master delle vergini e dell'extravergine che si terrà in Novembre nel Granducato"

La partenza improvvisa non mi consente di preavvertire l'editore che, appena viene a sapere della mia presenza nel Ponente Ligure, con sincronismo perfetto, mi comunica che in pari date dovrà migrare al nord per mettere la parola fine su una vecchia disputa circa il Pinot Nero vinificato bianco e, con l'occasione, mi chiede un piccolo favore.

Sapendo che una volta a Taggia non mi farò mancare qualche tuffo nelle acque di Arma, vorrà sicuramente un pezzo di costume, immagino, invece mi prega di bagnargli il basilico e di utilizzarlo tranquillamente a mio piacimento per condire i pomodori e le mie giornate liguri.

Una volta data piena disponibilità, vengo a sapere che le piantine da accudire sono ventinovemila, fortunatamente sono tutte vista faro, parto al tramonto con l'innaffiatoio, scacciando il pensiero stupendo di prepararmi tremila vasetti di pesto per affrontare l'inverno nordico.

Nonostante la vista da vicino vicino della scultura delle olive di Mostiniana memoria, supero il corso a Taggia e mi spiaggio.

Ad Arma gli ultimi vacanzieri pre autunnali vanno presi al laccio affinché si ripresentino negli anni a venire, si banchetta con fagioli & capre, senza Sgarbi, si segnalano improbabili sagre di tagliatelle emiliane mentre ragazze sovrappeso allietano i turisti settembrini offrendo loro fichi e una performance a cielo aperto e viso mezzo scoperto, la danza del ventre le rende tutte più affascinanti di quanto in realtà non siano.

Su un altro piano, anche se lo strumento è diverso, la samba delle ballerine brasiliane con piume e lustrini che al porto diversificano l'offerta, peraltro molto gradita ai ballerini targati Torino e Milano e all'altro cinquanta per cento di turisti francesi che scelgono Arma disdegnando & oltrepassando Mentone.
Le mogli, che hanno chiesto ai mariti svogliati di portarle a ballare sentendo la musica proveniente dal porto, adesso ridono a dentiere strette, come gli abiti, un po' troppo attillati ma non abbastanza per poter competere con le sambiste & scambiste mezze nude.

Piccoli e decorosi alberghi bistellati  propongono, con cadenza settimanale, una più che discreta frittura di pesce a base, soprattutto, di piccoli, saporiti e freschi calamari, frittura che si rivela per quantità, qualità, grado di untuosità, digeribilità e temperatura di servizio, molto meglio di altre ordinate alla carta, paglia, di nordici ristoranti che, sovente, sul fritto cadono nell'olio, non abbastanza bollente.

La camera con vista parziale mi induce a scegliere un lettino ed un ombrellone vista mare, anche lei che viene da Londra ma è ligure, gradisce il sentore iodato che arriva a tratti dalla battigia dove divide l'ombra con la sorella e i nipoti, ci separano pochi metri e qualche anno a suo vantaggio, chissà che io non sappia ribaltare lei e il risultato.

Fa l'insegnante e tiene nella City un corso in Italiano sull'extravergine a giovani studentesse che hanno perso per strada il concetto da tempo, lei sta con un rampante senza cavallino che gira in Porsche, adesso lui è in Galles per un corso d'aggiornamento, quando le dico che ne ho appena terminato uno sull'olio, le brillano gli occhi sulla pelle dorata.

Mi dice che un uomo può prendere il cuore di una ragazza e portarla via da Badalucco, ma che nessuno può portare via da Badalucco il cuore di quella ragazza che, pur non essendo sicuramente vergine di segno zodiacale e non solo, si chiama Olivia ed è figlia di produttori di extravergine.

Mentre mi mostra il suo pasto di mezzogiorno a base di pomodori, olio, basilico di Badalucco e pane di Triora mi strega, sarà l'accento ligure sul copricostume che fa molto swinging London, sarà la fame, sarà la pettinatura che fa tendenza ma tendo a sorriderle più del dovuto, ricambiato oso l'approccio diretto molto poco dissimulato, camuffo l'avance con una battuta e il gioco sembra fatto.

Poi vedo mia moglie uscire dall'acqua come una sirena, ululante, a tutta velocità, gli occhi lampeggianti, così non trovo di meglio che correre a cambiarmi il costume in cabina e, nella parziale sicurezza della cabina elettorale, non sapendo a che santo votarmi, mando al mio editore un sos e un pezzo di costume

La simpatica signora di Badalucco dall'inglese e dalla chioma fluente, esiste davvero, il suo modo di porgersi davvero sopra media mi ha indotto ad usare qualche licenza poetica che, se e quando leggerà, vorrà perdonarmi, oggi pomeriggio torno in spiaggia a fare quattro chiacchiere, dovesse tornare improvvisamente qualcuno dal Galles, potremo sempre dire che la passione, per l'olio, ci accomuna.

FOTO O MENO A SCELTA DELL'EDITORE

M 50&50