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mercoledì 1 febbraio 2012

I pescatori dell’Isola di Sein


- gdf 2012 -

Vegliati dalla luce intermittente del faro di Ar-Men, spero che i pescatori dell’isola di Sein non abbiano mai perso l’abitudine di rallegrare le loro uscite al largo improvvisando una gustosa pausa pranzo o una festosa serata con il loro famoso ragout de homard de l’Ile de Sein. Le loro patate, le loro cipolle, il loro aglio: il sottile ma solido legame con la loro terra. E poi l’Oceano, che se non sarà stato troppo avaro o furioso, avrà consentito loro di pescare anche qualche grosso grongo, e più  sarà grosso il grongo e più sarà ricco il ragout de homard.



Per farlo bastano poche cose:
mezzo chilo di patate Stella, sei spicchi d’aglio rosa, sei cipollotti, una cipolla, un etto di carote, due pomodori maturi, qualche foglia di sedano, un porro, un astice bretone di un chilo, tre cucchiai di olio d’oliva e soli venti grammi di burro. Pensavate di più ? Per il brodo ci vogliono invece mezzo chilo di molluschi – immaginiamo il brodetto bianco di Lorenzo al Forte- e un bel trancio spesso di grongo. Un decilitro di vino bianco secco e un po’ d’acqua.


Bisognerà cominciare a preparare adeguatamente gli ortaggi, lavarli e spellarli quando serve, e poi tagliarli finemente in forma regolare. L’aglio invece va tenuto con la camicia, mentre il pomodoro va poi tagliato a spicchi e privato dei semi. Poi bisognerà far bollire insieme i molluschi e il grongo in acqua e vino bianco. Dieci minuti a coperchio chiuso. Lasciar riposare e poi filtrare. Mettere da parte. Qui arriva la parte cruenta della ricetta, ma che ci volete fare, il bretone è bretone. E noi no. Quindi anestetizzerei il povero homard con il freddo prima di farlo fuori brutalmente, perché la coda andrà scaloppata a crudo. Carapace e pinze andranno separate dal corallo e aggiunte in seguito, mentre nella ricetta tradizionale lo si fa a pezzi senza tanti complimenti e lo si butta in padella come vedete qui sopra. Ma questa non è la ricetta tradizionale, quindi proseguiamo di fioretto.


A questo punto, dopo aver salato e pepato i medaglioni di astice bisognerà passarli velocemente in olio molto caldo, pinze e carapace a seguire, che poi andrà tolto. Casseruola ben calda, che faccia colorare immediatamente le rondelle di homard nell'olio. Questo è il momento di aggiungere le verdure spezzettate,  e anche le  patate. Quindi, dopo pochi minuti occorrerà trasferire in parti eque gli ingredienti in alcune cocotte da sistemare in forno a 180°, ma non prima di aver coperto homard e verdure con il brodo di molluschi e grongo. La cottura si completerà lentamente in forno, una buona mezzora sarà necessaria per far assorbire e integrare tutti i sapori. A metà cottura une touche de chef! Aggiungere il corallo precedentemente lavorato con  il burro, bretone, ça va sans dire. Aggiustare di sale e completare la cottura dentro la cocotte, dove sarà un piacere gustare questo ragout di astice dei pescatori dell’isola di Sein,  rivivendolo attraverso questa ricetta civilizzata a suo tempo da Alain Chapel per un giorno di festa.  P.S. : Pour information, le Homard, n’est pas le mari de la langouste, et encore moins le père de la langoustine et surtout pas le grand- père de la crevette .

L'abbinamento territoriale, si potrà dire territoriale parlando di Oceano? Dicevo, l'abbinamento in ogni caso è questo, non il vino di tutti i giorni, ma neanche andare a mangiare il ragout de homard des pécheurs de l'Ile de Sein dentro casa di uno di loro mentre fuori gira la  luce del faro di Ar-Men è roba di tutti i giorni. E allora no?


 - gdf - 


sabato 7 gennaio 2012

Brus e Vermentino




- gdf 2012 -

Usando  un eufemismo potrei affermare di avere più di qualche remora nel concedergli di mettermi le mani addosso, fosse pure nel senso buono del termine, proprio perché mi ritengo una persona delicata mi viene più di qualche dubbio al solo osservarla mentre taglia un limone, scheggia un pezzo di parmigiano, colma un tumbler di ghiaccio prima di versarci il tris alcolico che compone il negroni e soprattutto rabbrividisco vedendo come maneggia quel salame e brutalmente lo affetta prima di servirmelo su un rustico tagliere di legno a fianco di un calice – questo finalmente raffinato – di un Vermentino  da “tre bicchieri”.

Al fine di attenuare il carico espressivo di quello che vorrei esprimere direi che i freni inibitori sono tutti ben tirati come scendessi da una discesa molto pericolosa, anche dopo un paio di drink rilassanti; ma nonostante tutto questo mi ci sono affezionato – con circospezione – a questo bar di periferia, dove l’età media è ben più elevata di quella definita dal recente aggiornamento sul biglietto d’ingresso al club del pensionamento coatto. Dove l’odore di “brus” che si diffonde nell’aria sarebbe già da solo in grado di farti rimbalzare nuovamente sul marciapiede che hai appena lasciato.

Dove il mix di dialetti sillabati da chi lo popola è molto lontano dal ligustico provenzale; dove se invece di un bicchiere di vino preferisci una birra ti devi voltare e andarti a prendere personalmente la bottiglietta di Tennent’s o la lattina di Guinness nel frigorifero attaccato alla parete. A quel punto la ex bella in mini shirt di jeans, stivali neri –anche in estate – e maglietta attillata a sproposito ti chiederà sbrigativamente “ vuoi anche il bicchiere? “ .

Si, voglio anche il bicchiere, e mi metto anche bello comodo su questo trespolo che in un bel pomeriggio d’autunno con il morale prossimo all’avvilimento mi consentì di voltare  pagina voltando la testa verso la parte opposta e  risolvere un piccolo grande mistero. Chi ha scattato la foto originale del “mio” faro di Ar-Men? Senza questa risposta molte cose sarebbero cambiate, se non mi fossi voltato da quello sgabello osservando i tre anziani che giocavano a carte con il sigaro spento e il bicchiere di Bonarda frizzante appoggiato all’angolo del tavolo verde avrei perso ben più di una settimana a risolvere il quesito.

Dove internet per una volta non mi voleva dare risposte certe ci hanno pensato sei poster parzialmente sommersi dai dispenser di Chupa Chups,  Mon Cherie e chewing gum Perfetti a far emergere la verità.  In mezzo a quel caos apparente tutto fu chiaro, come il cielo di quel giorno dell’estate 2003 quando Jean Guichard era in volo sopra alle coste bretoni nei pressi dell’isola di Sein e colse l’attimo per scattare, scattare, scattare. Scattare decine di foto bellissime compresa questa. Jean Guichard non sapeva che stava lavorando anche per me.  Merci Monsieur Guichard. - gdf 2012 -

giovedì 7 aprile 2011

Quasi quasi parto e vado a visitare il “mio” faro ...

- del Guardiano del Faro -

E qualcuno commenterà... ma chissenefrega!


Posso capire, per molti può andar bene anche una spiaggia romagnola ma per me è diverso, per me ormai è un pezzo di vita questo faro bretone. Ormai sono cinque anni che me lo porto appresso per il web. Questo faro che emerge dai flutti di un oceano minaccioso e volubile quale è l’Atlantico, questo faro che regge le furie dell'oceano scatenato lasciandosi scivolare addosso i riflussi, lasciandoli scivolare via, ma non senza sofferenza. L'oceano che finisce la sua corsa e si infrange contro le rocce bretoni, ormai questo palcoscenico fa parte di me. Bretone, questo è stato però l’unico riferimento geografico che cercai per individuare un faro avatar da affiancare al nick name sul web .

Ma sinceramente non mi preoccupai più di tanto di quale faro si trattasse esattamente, non che non lo sapessi, perché c’è pure scritto sulla struttura del faro stesso : lui è il Faro di Ar-Men. Ma dove si trova Ar-Men ? Ma poi Ar-Men è un luogo ? Prima di pensare di andarci, perché mi sembrerebbe anche giusto e coerente partire per un pellegrinaggio a distanza di anni dall’inizio del suo uso pacifico oltre che atlantico, non mi sono mai curato di verificare con precisione dove si trovasse il faro di Ar-Men . Sta in Bretagna, mi bastava, ma la Bretagna di Cancale non è quella di Brest . Le distanze, il clima e i collegamenti non sono uguali per godersi una piacevole scampagnata a Cancale o per un più approfondito e filosofico passaggio a nord ovest verso Brest, Douarnenez , Audierne . Quindi , approfondendo, mi sono reso conto di avere scelto un faro non proprio dietro l’angolo dell’ultima scogliera in periferia di una piccola o media località di pescatori, bensì mi sono reso conto di essermi istintivamente rivolto ad un faro che sta abbastanza infilato dans le trou du cul du monde .

Ho fatto un breve calcolo sui tempi e ragionato sui modi, in sintesi pensando alla soluzione più intelligente per avvicinarmi al mio totem oceanico, un vecchietto che quest’anno compie 130 anni, motivo in più per andare a dargli una pacca di conforto ma senza arrivare più provato di lui, lui che da oltre un secolo si prende tutti quegli schiaffi dai due elementi che ne contrastano l'esistenza. Lui si che può confortare me. Volendo valutare prioritariamente l’eventuale uso dell’automobile ho potuto subito rendermi conto che in questo caso non sarebbe ne il mezzo più rapido, ne il più economico, ne il più riposante, e neppure ammesso nella località dove si trova il faro. Quindi meglio pensare subito ad altro, cominciando a rivalutare mezzi diversi che in questo caso non sarebbero un ripiego ma la soluzione più rapida . L'automobile e il guardiano del faro sono due icone lontanissime come principio e non serve neppure che stia qui a logorare la tastiera per spiegarne il perchè. Quindi comincerei a pensare al treno, niente aereo, ci sarà già tanta acqua a far galleggiare lo stomaco.


Pensate un po’ che se decidessi di partire in treno da Sanremo e prendere come destinazione di riferimento una qualsiasi località della Lucania, regione che mi sta molto simpatica, con i potenti mezzi di Trenitalia ci impiegherei più tempo che raggiungere l'estrema Bretagna, arrivando in TGV a Parigi - Gare de Lyon, poi facendomi una mezzora di Metro per cambiare stazione e raggiungere quella di Montparnasse, prendere un altro TGV, l’Atlantico, e raggiungerne finalmente il capolinea a Quimper dopo circa 1600 chilometri e senza essermi fatto mancare anche una sole meuniere con adeguata bottiglia di Chablis a la Brasserie parigina Le Train Bleu .

Però ormai saranno le nove e mezza di sera , a quest'ora sarei arrivato alla stazione di Quimper, mentre il faro di Ar-Men non è a Quimper . La ferrovia pare finisca dalle parti di Quimper , e quindi sarebbe opportuno andarsene a dormire pensando di alzarsi abbastanza presto per prendere un autobus che il mattino seguente arrivi entro le 9.30 a Audierne. Audierne finalmente sulla costa Atlantica. Bisogna arrivare al porto entro le 9.30 per imbarcarsi, e il traghetto per l’Isola di Sein parte a quell’ora in questa stagione dell’anno, a quell’ora e basta, uno al giorno, e se il tempo lo consente, se no la Compagnie Marittime Penn ar Bed si scuserà del disagio ma si resterà comunque tutti a terra. Se il tempo lo consentisse si partirebbe dunque alle 9.30 e si arriverebbe finalmente sull’Ile de Sein alle 10.30 .

Il faro si trova più o meno all’estremità ovest dell’isoletta, su uno scoglio a qualche miglio dai margini dell'isola, ma non si dovrebbe far fatica a trovarlo, l ‘isola conta 238 abitanti e il faro è visibile da 45 chilometri, ce la si dovrebbe fare in mattinata a raccapezzarsi e orientarsi dopo tutto questo trambusto . Ma a fare bene i conti, a parole sembra l’Odissea ma in realtà sarei uscito di casa la mattina prima più o meno alla medesima ora. Ora di partenza TGV XXmiglia ore 08.40 , ora d’arrivo all’Ile de Sein la mattina dopo alle 10.30 . Non tutti i giorni, ma una volta nella vita si può anche fare.

Ar-Men : pietra, roccia .

Considéré comme un lieu de travail extrêmement éprouvant par la communauté des gardiens de phare, il a été surnommé par ces derniers « L'Enfer des Enfers » .



Il n'était pas rare que, dans des conditions difficiles de mer et de vent, on ne puisse pas relever les équipes tous les 15 jours comme de normal. Les coups de boutoir portés par la grande houle pendant les tempêtes faisaient trembler tout l'édifice et pouvaient faire tomber tout ce qui était accroché aux murs, rendant ces périodes particulièrement insupportables pour les gardiens
.

Accidenti, guardate come dovevano trasbordare Le Gardien!! Appeso a un filo ?!? La storia del faro andrebbe avanti e indietro nel tempo con riflessi inquietanti, inoltre scopro che la struttura non è visitabile internamente ed è stata quasi completamente automatizzata nel luminoso servizio reso ai naviganti ; e quindi che ci potrei fare tre giorni sull’Ile de Sein oltre che guardare il faro? Dico tre giorni perché sull’Ile de Sein esiste un simpatico alberghetto di dieci camere affittabili giustamente per un minimo di tre notti che non ci crederete ma si chiama Ar-Men e che è anche segnalato sulla Guida Michelin!



E quindi perché no ? Tanto più che l’alberghetto pare si approvvigioni giornalmente di granchi, scampi, astici, ostriche e altri orrendi esseri marini freschissimi ca va sans dire, e cucinati in diretta. La specialità della maison pare sia molto rinomata e richiami turisti in gran numero durante le belle giornate estive: le ragout de homard . E se poi piovesse e tirasse vento dal Mar Celtico perché non improvvisare un corso di cucina dalle influenze irlandesi ? Dunque nell’insieme mi sto convincendo da solo che si potrebbe fare, e se proprio non si potesse mettere fuori la testa per una settimana per causa di mareggiate e tempeste mi basterebbe che la cameretta fosse girata verso ovest, avesse un piccolo tavolo di legno, molta birra e sufficiente whisky islay a portata di mano, una finestrella rivolta verso il faro, così da riprendere il ritmo alternato della luce trafitta dalla tempesta e ricominciare energicamente a scrivere un’altra storia.




- gdf -