martedì 23 gennaio 2018

Cannavino alla prova del bue



-un pesce fuor d’acqua-


Cosa succede quando Davide Cannavino nel suo centro genovese (di nuova gravità permanente, si rimanda a una prossima volta il racconto del suo gravitare a Palazzo Meridiana) ospita a pranzo una borgognata goliardica ? Cosa succede quando Davide Cannavino non cucina quello che vuole lui, ma quello che gli viene commissionato?

Cosa succede quando Davide Cannavino ci mette lo zampino, birichino.



Non poteva essere un banale remake di piatti comandati: un po’ 80’s, un po’ francofoni. No, Cannavino in Mastering the art of French Cuisine con 5 kg di coda di bue, ci mette il suo tocco energico, irruente, eccentrico. 

Allegro, vivace, “ribelle”, ne combina di tutti i sapori, come un Arlecchino senza toque, ma con grembiule modesto da monello che a tutto pasto lascia tracce amare e acide spiazzanti nella morbida e rotonda cucina d’Oltralpe rinomata e codificata. Senza guarnizioni va dritto al punto, dritto al Goût de France, sbarazzino alla Cannavino.

N.B. Il pasto conviviale era di contorno alle sacre bottiglie in photo gallery. Ma la loro è tutta un’altra storia.
solo una parte ... N.D.R.




Gli snack d’accoglienza sono quelli del gastronomico di cui assaggeremo un'altra volta, sono un piccolo crescendo di bocconi esplosivi calibrati per accendere tutti i recettori del gusto. Ne cito alcuni d’effetto: i blandi panini al basilico al vapore ripieni di prescinseua, le spavalde brioche salate ripiene di fegato di merluzzo, i pomodorini spellati dal vago ricordo di Campari, la coppa di testa (di pesci) preparata in cassetta con tutti gli scarti, fresca e delicata, ben oltre il sentimentale no foodwaste, con vero senso di esser tale e un paio di champignon-contenitore di una cucchiaiata ricca di coda alla vaccinara, poco finger, intensi, gordi, fullflavour.

È il momento di un po’ di revival, con la terrina di coda di bue ‘80s style. È a tutto scazzo, voluto e studiato, gradito, vintage in semplice fettona adagiata a centro piatto. Poi la mangi e c’est perfect. Duttile che non lo puoi spiegare, senza l’effetto viscido che t’aveva traumatizzato alla vista, con l’acidità morbida della salsina in copertura (forse vinaigrette, sicuramente citrica) che non prende il sopravvento, prende “per mano” la carne in blocco.

Però Il fritto, nel brodo, proprio no. E così il cubotto fritto di bue, un po’ selvatico non si fa amare in brodo di bue, macis e acetosella. Amaro, si inciuccia del liquido, si affloscia fuori, perde la panatura a tocchi e lascia sola la carne, amaricata e dura.

Altra storia quella del Roast Beef. Vellutata la sfoglia di carne, ti aspetteresti la salsa, anzi la vorresti (convenzionalismo). E invece no, non c’è, ecco il discolo che esce: serve tutto a secco, con amarezze vegetali calibrate e fiocchi di Isotpepper, di piccantezza gentile tabacco e cacao. La carne è così convincente che finisce prima ancora di sentir la necessità di richiedere l’intercessione di una salsa. Salse Madri e Figlie 0 – Cannavino 1.

Plin di solo bue brasato in brodo di bue che doveva esser una glassa secondo ricetta comandata. Ma, ora e lì stanno meglio a bagno nel loro brodo con tutti i crismi e i sapori, soprattutto se la sfoglia è “svogliata” per scelta, grezza, spessa, presente.
Il ripieno di bue come deve essere c’è, ma ci sono anch’io (sembra sussurrare soddisfatto il disobbediente dalla cucina).

Le Roy du Borgogne est intouchable. Il Bue finalmente tutto il suo essere è alla Borgognona pura, rigorosa, in dadi grandi, stufato tutte le sue ore nella magnum di Vin Rouge scelta per l’occasione.Tenerissimo, deciso, dai profumi eterei di Bourgogne, sontuoso con verdurine e champignon come le origini contadine, le accortezze raffinate di Monsieur Escoffier e le casalinghe di Julia Child lo vogliono. Di contorno a quella che è una delle istituzione di Francia arriva un altro caposaldo, le patate in purea pallida e setosa e una chicca di stagione, le cimette di cavolfiore bianco al dente dal cenno muschiato.

Petit folies en pre dessert: un quadrotto di cioccolato morbido e compatto e un rischioso gioco di equilibri tra panna senza zucchero e… wasabi. Poco poco, giusto, aromatico, erbaceo. Centrato, divino.

La Cheese cake è scomposta, ma sarebbe da ricomporre. Nescia (in slang zeneise), anonima di sapori e consistenze, svilita forse dal contrappeso magico del dolce precedente. To try again.

Tra i petit four c’è la gelée di Sambuca, da only the brave. Quella gran genialata, miscellanea d’alcol e anice pungente, che ti acchiappa, ti stende, ti mette al tappeto. E da sdraiato a occhi sbarrati hai anche il coraggio di dire wow. Cannavino canaglia.

Piccola riflessione: Se questo è solo un assaggio, un poco di quello che è la Meridiana... ecco che la curiosità sale al livello 10/10.

Seeyouveryverysoon




Gli snack d’accoglienza sono quelli del gastronomico di cui assaggeremo un'altra volta, sono un piccolo crescendo di bocconi esplosivi calibrati per accendere tutti i recettori del gusto. Ne cito alcuni d’effetto: i blandi panini al basilico al vapore ripieni di prescinseua, le spavalde brioche salate ripiene di fegato di merluzzo, i pomodorini spellati dal vago ricordo di Campari, la coppa di testa (di pesci) preparata in cassetta con tutti gli scarti, fresca e delicata, ben oltre il sentimentale no foodwaste, con vero senso di esser tale e un paio di champignon/contenitore di una cucchiaiata ricca di coda alla vaccinara, poco finger, intensi, gordi, fullflavour.






È il momento di un po’ di revival, con la terrina di coda di bue ‘80s style. È a tutto scazzo, voluto e studiato, gradito, vintage in semplice fettona adagiata a centro piatto. Poi la mangi e c’est perfect. Duttile che non lo puoi spiegare, senza l’effetto viscido che t’aveva traumatizzato alla vista, con l’acidità morbida della salsina in copertura (forse vinaigrette, sicuramente citrica) che non prende il sopravvento, prende “per mano” la carne in blocco.


Però Il fritto, nel brodo, proprio no. E così il cubotto fritto di bue, un po’ selvatico non si fa amare in brodo di bue, macis e acetosella. Amaro, si inciuccia del liquido, si affloscia fuori, perde la panatura a tocchi e lascia sola la carne, amaricata e dura.


Altra storia quella del Roast Beef. Vellutata la sfoglia di carne, ti aspetteresti la salsa, anzi la vorresti (convenzionalismo). E invece no, non c’è, ecco il discolo che esce: serve tutto a secco, con amarezze vegetali calibrate e fiocchi di Isotpepper, di piccantezza gentile tabacco e cacao. La carne è così convincente che finisce prima ancora di sentir la necessità di richiedere l’intercessione di una salsa. Salse Madri e Figlie 0 – Cannavino 1.


Plin di solo bue brasato in brodo di bue che doveva esser una glassa secondo ricetta comandata. Ma, ora e lì stanno meglio a bagno nel loro brodo con tutti i crismi e i sapori, soprattutto se la sfoglia è “svogliata” per scelta, grezza, spessa, presente. Il ripieno di bue come deve essere c’è, ma ci sono anch’io (sembra sussurrare soddisfatto il disobbediente dalla cucina). 



Le Roy du Borgogne est intouchableIl Bue finalmente tutto il suo essere è alla Borgognona pura, rigorosa, in dadi grandi, stufato tutte le sue ore nella magnum di Vin Rouge scelta per l’occasione.Tenerissimo, deciso, dai profumi eterei di Bourgogne, sontuoso con verdurine e champignon come le origini contadine, le accortezze raffinate di Monsieur Escoffier e le casalinghe di Julia Child lo vogliono. 


Di contorno a quella che è una delle istituzione di Francia arriva un altro caposaldo, le patate in purea pallida e setosa e una chicca di stagione, le cimette di cavolfiore bianco al dente dal cenno muschiato.



Petit folies en pre dessert: un quadrotto di cioccolato morbido e compatto e un rischioso gioco di equilibri tra panna senza zucchero e… wasabi. Poco poco, giusto, aromatico, erbaceo. Centrato, divino.



La Cheese cake è scomposta, ma sarebbe da ricomporre. Nescia (in slang zeneise), anonima di sapori e consistenze, svilita forse dal contrappeso magico del dolce precedente. To try again.


Tra i petit four c’è la gelée di Sambuca, da only the brave. Quella gran genialata, miscellanea d’alcol e anice pungente, che ti acchiappa, ti stende, ti mette al tappeto. E da sdraiato a occhi sbarrati hai anche il coraggio di dire wow. Cannavino canaglia.




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