Così piccole le olive taggiasche
non le avevo mai viste.
Messe in salamoia sembrano uno
spreco, come lavorare al cesello un nocciolo.
Vestire un nocciolo.
Un inutile bikini su una adolescente.
Le guardo meglio da vicino, da un
centimetro, poi le assaggio, una, due, tre, quattro, cinque… tante, tantissime.
Mangiare e sputare,
sincronizzato.
Il cappero, di spalle - riflettendoci
sopra tridimensionalmente - resta uno
dei miei riferimenti, partendo da quello più piccolo del barattolo; di li si comincia,
poi ci possiamo ragionare se gli sta
bene un vita bassa.
L’ostrichina. No! Non datemi la
più grande per fare scena. Mi fa senso. Non sesso, solo senso. Io voglio la più piccola, la più piccolina,
dove ci sto dentro cerebralmente, appena appena.
Le vongoline: pericolose in mezzo
a tanti spaghettini, avranno la sabbia? Nasconderanno una carica più che batterica? Ma se proprio devo rischiare le lascio tutte
li a guardare quelle più grosse! E mi lecco solo le due più piccoline.
Un polpaccio di rana, non mi
spingo alla caviglia, mi concentro sul polpaccio, anche una dozzina, mais pas de
jambonettes de grenouilles, merci!
La cozza. Pelosa! No, non ce la posso fare, ma forse se piccola... La nocciola piemontese la trovo troppo chiusa.
Sono certo che un pinolo si senta
meglio tostato, prendendosi il tempo di farlo sentire così importante.
Les mirabelles, appena colte, ma solo
le più piccole, da prendere al volo, nella polpa e nella pelle, sputate al
momento del nocciolo, le altre, le più
grandi, al primo morso mi hanno già stancato.
Le cornichon. Tutto sommato
meglio piccolino anche quello, non si sa mai, potrebbe far danni troppo grande,
al Massimo sarà uno scherzo pessimo.
il mirtillo più buono è il più piccolo,
quello più grande lo vedi anche in un minestrone, come i cerotti dei cuochi, se non ha cambiato colore per l'emozione.
Di bosco: quota oltre i 200 euro, e li vale tutti, perché la fragolina, se è veramente selvaggia e l’hai incontrata per caso te la
ricorderai per sempre, anche se sembrava poca e cara .
Due fuochi a gas e un
forno da gestire è già un Foille da spremere.
Un cabriolet, due posti secchi;
tanto quelli dietro non li ho mai ascoltati, c'era vento.
Un metro e 70, di più non ci
arrivo, anzi: meno meno meno.
Tra gli altri report di fine
vacanze risultati assenti all’appello dopo aver fatto il giro dei soliti sospetti, noto che mi manca anche
questo. Capisco che sia un esercizio di stile degno di un sado-mouse quello che
sto facendo in questi giorni di fine agosto, però non mi basta leggere e
sorridere a denti stretti delle cronache e dei pareri visibili su Trip Advisor e su
qualche più affidabile forum/blog spagnolo. Mi manca una relazione italica e
competente che mi spieghi – prima di partir per Compartir- quali siano le
sensazioni che si provano andandosi a ficcare dentro questo bistrot catalano
gestito nientemeno che da tre dei migliori bracci destri e sinistri di Ferran
Adrià. Bistronomia alla catalana, dove per lo meno – nelle intenzioni espresse –
esiste un intenzione, una filosofia da applicare per rendere più accessibile e
democratica una parte della filosofia del vate.
Compartir, quindi condividere.
Quindi meglio non andarci da soli, salvo cercare compagnia per strada o sulla
playa di Roses prima di compartir il breve tragitto per Cadaqués. Condividere
para picar, ordinando alcuni piatti da mettere in mezzo alla tavola di legno,
non preoccupandosi di dover leggere un tomo prima di scegliere un vino comunque
difficilmente abbinabile con dei bunuelos de bacalao con espuma de miel.
I più attenti commentatori
iberici web criticano più che altro la povertà del sito web del Compartir, per
il resto sembrerebbe che il messaggio stia passando nella fessura giusta. Persino
il parcheggio pare sia agevole, ma più d’inverno e meglio se a pagamento. La
località è deliziosa, questo è risaputo. Sobrietà, rusticità e semplificazione
sono invece gli aggettivi più gettonati relativi all’ambiente e all’apparecchiatura.
Qualcuno lamenta problemi di
diversa origine sulle modalità del servizio, ma tutto sommato si intuisce che i
ragazzi sono giovani, rapidi e pratici, al limite del brioso galoppo. Qualcuno
non ha capito che: non spingono la vendita di più piatti per fare fatturato ma
perché è questa la filosofia del locale, e cioè portare al tavolo più cose da
compartir. I prezzi sono delicati ed invitanti: ogni piatto da compartir costa
anche meno di dieci euro e, solo quelli più complessi e che impiegano materie
prime particolarmente pregiate superano i 15 euro. Quindi sul buon rapporto
qualità prezzo non si discute, così come sulla chiarezza e la discreta ampiezza
di proposte in carta.
Mi pare veramente strano non aver
ancora trovato un bel report italiano sul web. Che succede? E’ finita la movida
verso la Catalunya?
Ho forse non cercato bene? O è successo come a un simpatico commentatore
iberico, che prima fa notare la difficoltà di compartir un uovo e poi domanda
scusa per non essersi ricordato di far le foto per poterle compartir con nosostros,
e infine chiude così, con un consiglio sibillino: Mejor ir solos, así no
tenéis que compartir con nadie.