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giovedì 14 agosto 2014

La nuova generazione dei cuochi d' assalto

-di Angelo Antonio Angiulli*- 

I nuovi master chef ed i loro anfitrioni avanzano con prosopopea. Parola d'ordine: stupire. La semplicità? Abbattuta. Piatti comprensibili? Ma non scherziamo, siamo creativi assemblatori di ultima generazione. 

Questa la nuova filosofia benvenuta da molta critica del settore, che invece di scandagliare  con occhio “critico”, assevera ogni “prodezza” oltre i ragionevoli dubbi sulla corretta componente dietetica, indispensabile in un'era di sfrenato edonismo culinario. 

Per la verità c'è stato in passato un precursore di razza nobile, col quale l'enogastronomia ha un debito di grande riconoscenza. Luigi Veronelli, la cui idea sulla digeribilità del piatto era del tutto opposta alla pienezza del gusto, era convinto che la sontuosa bontà di una preparazione dovesse essere ben oltre ogni filosofica didattica sulla leggerezza dell'alimento.

Ma oggi sembra che creare piatti in cui carni, pesci, formaggi, uova verdura e anche frutta, sia indispensabile per emergere nell'Olimpo della gastronomia. Ben altri tempi erano, quando i ristoranti furono obbligati a mettere in tavola il sale iposodico per aiutare la salute dei clienti. Quanta ipocrisia in quella disposizione, come altrettanta ce n'è oggi in quelle preparazioni che hanno lo scopo di stupire critica e clienti.

I critici, come insegna la storia della enogastronomia, hanno bisogno di idee tanto buone quanto strambe, perché in caso contrario a loro manca la materia prima per guadagnarsi una parte della pagnotta quotidiana.

Per loro è sufficiente definire genialità la componente stramba delle preparazioni. Riflettere sulla corretta unione e simbiosi degli ingredienti non è affar loro, bensì di quella miriade di scienziati dell'alimentazione che puntualmente predicano ogni volta che sono invitati dalle TV nazionali.

Molti clienti invece, dato che anche il più sfigato ristoratore ha il suo seguito di appassionati estimatori, finché non assaggiano l'erba più verde del vicino (ristoratore) cambiando magari opinione, chiedono di poter capire cosa diavolo hanno mangiato.

Certo, creare specialità con un solo tipo di proteina, è come andare in guerra armati della sola baionetta. E magari vincere ugualmente. A differenza di molti condottieri che in passato hanno perso qualche battaglia per il mal di pancia sopravvenuto la notte della vigilia. Chissà che fine avrà fatto il cuoco della situazione. Sursum corda. 


Triple AAA

*chef premiato con una stella Michelin per dodici edizioni consecutive. 17/20mi Guida L'Espresso

giovedì 6 settembre 2012

A.A.A. Assolutismi rifiutasi


Massimo Rating. Tanto l’hanno già definito Massimo di ogni scibile terreno. Non si offenderà mica di essere valutato più di una nazione? Potevano mancare i tortellini AAA+? Anche questi certamente al Massimo, almeno da come li ha lanciati Bonilli dalla Gazzetta Gastronomica, al top di categoria con straordinaria enfasi, ma sicuramente meritata. Lanciati e alzati sotto rete: non vi sia sfuggito il fine gioco persuasivo tra la rana e il tortellino, ma finora nessuno è andato su a schiacciarsele a due mani.

Da Tripla AAA in Tripla AAA, ma stavolta la Velier non c’entra niente, ahimè, pas de Sophie. Le Triple AAA stavolta sono quelle di un cuoco self made che arrivò nella considerazione di alcuni divulgatori gastronomici - nel suo piccolo -  ( e  non è una battuta ) ad una stella Michelin e a 16 /20mi. Da lui non era raro incontrare un Raspelli, un Restelli, un Vizzari o un Massobrio. Piano con le allusioni, il Maisobrio era io, una delle colonne portanti del ristorante del Tripla AAA: Angelo Antonio Angiulli.

Tortellini, raviolini, cappelletti, plin. Chiamateli come volete. E  allora? Niente di nuovo?  No, niente di nuovo si potrebbe pensare. Era il tempo dei cuochi TDM, non pochi, o li assecondavi o finivi fuori dalla porta.  Microravioli di piccione in doppio ristretto di piccione. Sei carni bollite o non bollite, arrostite o non arrostite, e poi inserite non solo in un involucro di pasta, ma anche in sei diversi involucri vegetali. Sei foglie di verdure diverse scottate e farcite di sei carni diverse prima di essere bollite in un grande brodo. E poi servite asciutte o condite,  tartufate e/o in brodo. Dove? Tra Biella e Vercelli, terra di risaie e rane.

Ma Angelo Antonio Angiulli non pensò alle rane. Fu quella la sua mancanza.  Meno male che ci è arrivato venti anni dopo il Massimo Rating.